24 febbraio 2012

Donne e totalitarismi


DONNE E TOTALITARISMI
Storie di ordinarie eroine

Riprendendo l’inserto di Lorenza Mondina su La guerra delle donne, volevo riportare sul sito delle testimonianze storiche su delle belle figure femminili, che hanno avuto il coraggio di sfidare i massimi sistemi della storia nel silenzio e nella quotidianità. In tempi in cui la cortina di ferro spartiva l’Europa coi suoi aculei acuminati, Sofia Sokolova, esule a Roma, denunciò la dolente condizione femminile in Russia nei suoi frequenti traumi dell’aborto imposto, nelle tragedie della coabitazione, della prepotenza maschile, dell’alcolismo, dell’abuso sessuale, di cui la donna russa era vittima. Quella donna russa che moriva in media a quarant’anni ed era già vecchia e grassa, era costretta a lavorare stacanovisticamente come una schiava ed a nutrirsi di pane e patate. Nel settembre del 1979 sei donne di Leningrado, rivoluzionarie antirivoluzionarie ebbero il coraggio di fondare una rivista dal titolo “Donne e Russia”. Queste sei eroine erano Tatjana Goriceva, Tatjana Marnonova, Iulia Vasnessenskaja, Vera Golubeva, Sofia Sokolova, Natalja Malakhovskaja. Le autorità sovietiche non permisero neppure il numero uno dell’almanacco: il Kgb lo sequestrò il giorno stesso del debutto. Le redattrici furono arrestate, interrogate, processate, internate ed in tempi non sospetti espulse dall’Unione Sovietica. Furono accolte in Europa, alcune a Parigi, altre a Roma. Anche la rivista “Maria”, di ispirazione religiosa, fu subito sequestrata. La questione femminile trovava nella figura di Maria il riferimento storico di una redenzione sociale ed umana. Il movimento femminista occidentale fu laico e di massa, quello russo oltre a ciò, fu soprattutto religioso ed elitario. L’età dei totalitarismi fu anche quella degli esasperati maschilismi, sia a destra, che a manca. E quanto dovettero soffrire le donne dei regimi, nelle famiglie dei regimi, anche quelle più vicine ai vari fuhrer dalle camice brune, nere o rosse e alle loro furerie, che non guadavano in faccia a nessuno, neppure ai loro cari. Pensiamo ad esempio ad Edda Ciano. Pensiamo a Svetlana, figlia di Stalin, la quale, si profonde ormai estenuata, in America secondo quelle sentite parole che le sono attribuite, parole di sollevazione e di liberazione da quel Padre-padrone: «Sono stata allevata in una famiglia in cui non si parlava mai di Dio. Ma una volta divenuta adulta, mi sono resa conto che è impossibile vivere senza avere Dio nel cuore. Sono arrivata a questa conclusione da sola, senza l’aiuto di nessuno, ma questa ha avuto una grande importanza per me, perché nell’istante stesso in cui l’ho raggiunta, i principali dogmi del comunismo hanno perso per me ogni significato». Il grande Dostoievskij aveva ammonito: «Togliete Dio dal cuore dell’uomo e l’uomo diventerà la peggiore delle bestie!». Ma quale comunismo si professava? Stalin, il nuovo zar, che copiava la corte dei Romanov, aveva distrutto quel genio profondo che aveva animato i grandi rivoluzionari bolscevichi: aveva ucciso lo spirito di Lenin e il corpo di Trotzkij, la vox clamantis: «La rivoluzione socialista non può esaurirsi nell’ambito nazionale … La rivoluzione socialista comincia sul terreno nazionale, si sviluppa nel quadro internazionale e si conclude a livello mondiale». Non certo Platone aveva voluto far regredire la donna, né certo Marx. La donna sarà del tutto eguale all’uomo, e non un semplice “mezzo di produzione” del capitalista, aveva profetizzato il filosofo della prassi. La famiglia nel senso borghese, essendo soltanto un’unità economica, cesserà di esistere. Sarà sostituita dalla piena indipendenza individuale e dal libero amore, mentre «la cura e l’educazione dei figli diventerà una funzione pubblica». Ed in una società più maschilista di quella greca antica, ove l’uomo veniva adorato al limite della pubblica omofilia, mentre la donna degradata a deformazione della natura, il filosofo delle idee aveva profetizzato la comunanza, oltre che dei beni, delle donne e dei figli. La donna nello Stato platonico ha gli stessi diritti e gli stessi doveri dell’uomo. Eppure Aristotele, il discepolo prediletto, quasi quasi obiurgava: «se in uno Stato vi sono mille fanciulli, e tutti appartengono del pari ad ogni cittadino, nessuno si curerà veramente di quei fanciulli». La donna nello stato dei mammiferi aveva fatto la natura, ma si era redenta nella lotta della storia per la libertà, contro il sopruso dei maschi. Quella lotta dell’autocoscienza muliebre nel progresso verso la liberazione è passata anche attraverso l’esempio silente ed obliato di queste sei eroine, che hanno avuto il grande coraggio di sfidare un regime per affermare il riconoscimento dei diritti umani e sociali della donna e per l’emancipazione femminile.


Vincenzo Capodiferro

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