16 marzo 2009

"La fattoria degli animali" di George Orwell

di Augusto da San Buono
1. Un paladino dei miserabili
Parlando della “Fattoria degli animali” di Orwell, tale professor Giampaolo Castracani, da San Severo, provincia di Foggia, ha detto papale papale che è una “minchiata”. Cerchiamo intanto di capire come è nata questa famosa opera, facendo un breve profilo dell’autore, Eric Blair, in arte George Orwell. Era figlio di un piccolo coloniale inglese che si mostrò particolarmente dotato negli studi. Il padre pensò bene di mandarlo in un collegio in Inghilterra dove il ragazzo si mise in luce e vinse una borsa di studio per Eton, dov'erano notoriamente tutti i figli di papà inglesi e lo trattarono come un paria, facendogli sentire pesantemente la sua appartenenza ad una classe inferiore. Gli fecero degli scherzi crudeli e infamanti tali da farlo rinunciare agli studi universitari e renderlo un frustrato per tutta la vita, accentuando in lui a dismisura una coscienza di classe fino ad allora appena avvertita e un forte sentimento di rabbia e senso di rivalsa. Da allora in poi, e per tutta la sua breve vita, cercherà un compenso, un riscatto alle proprie umiliazioni, manifestando disprezzo per gli intellettuali e i dottrinari riformatori del mondo. Si arruolò nella polizia imperiale indiana e visse cinque anni in Birmania, denunciando e condannando il sistema coloniale. Quando ritornò in Europa, a 25 anni, il forte sentimento di solidarietà per i poveri, gli sfruttati, i reietti, i drop out, gli ultimi della società, fece di lui un paladino solitario, triste e disilluso, una specie di Don Chisciote, un cavaliere dalla triste figura alla rovescia, che cerca invano un contatto, un accordo con la realtà di un mondo dal quale viene sistematicamente trascurato, respinto, tradito. Per diciotto mesi vive in mezzo ai poveri e ai barboni parigini e londinesii, come in una forma di autopunizione. Poi, come un apostolo , un missionario laico del proletariato , farà esperienza tra le masse di vagabondi impiegati nella raccolta del luppolo , e quella di insegnante mal pagato e sfruttato dalle istituzioni , di giornalista che indaga sulla vita dei minatori , di attivista del partito socialista inglese , di volontario nella guerra civile di Spagna a fianco della milizia comunista , che non esiterà a condannare nei suoi eccessi, prima con una critica radicale del comunismo ( "Homage to Catalonia") e poi.... E poi con la sua grandiosa favola (“Animal Farm”) che ben quattro editori si rifiutarono di pubblicare, dove seppe leggere con molto anticipo l'effetto corruttore dell'assolutismo e la distopia di un futuro regime totalitario. La sua fu, però, più che una visione politica, una dolorosa presa di coscienza di ciò che si sarebbe sempre più allargato, come una forbice mostruosa, delle differenze di vita spaventose tra una piccolissima parte della umanità, ricca e prospera, e l'altra infinita moltitudine degli esseri umani destinati a sopravvivere agli stenti e alla fame. Ecco questa sua partecipata difesa dei deboli, insieme alla presa di posizione ferma e vigorosa in favore della libertà, della giustizia e della sanità intellettuale, è la sua vera grandezza, il suo valore di narratore, tutto il resto è secondario.
2. La vera faccia del comunismo
George aveva un animo candido e comunque si sarebbe battuto per i poveri , ma forse non con quella energia e volontà feroce , se non ci fosse stato in lui , sempre presente, come una ferita aperta e dolorosa, quel sentimento di frustrazione, di offesa e di umiliazione subito a Eton, dai virgulti di una classe aristocratica e intellettuale di un impero Inglese che stava decadendo e si stava disfacendo proprio grazie a uomini-simbolo degli straccioni, uomini di fede tenacissima e ostinati più di loro, come Gandhi, che cominciarono a dare delle grosse spallate alla storia della loro grande immensa terra fatta di sopraffazioni , crudeltà e ingiustizie da parte dei colonialisti inglesi. Con “Omaggio alla Catalogna”, scritto di getto quale passionale reportage delle sue esperienze dirette, con le pallottole dei cecchini franchisti ancora fresche e con la sua povera gola sanguinante, e quindi con tutta la freschezza e franchezza delle vicende appena vissute, documento di eccezionale valore storico, testimonianza diretta della guerra civile spagnola e presa di coscienza, Orwell - a cui si svela la vera faccia del comunismo e del "potere" in genere - dichiara il proprio assoluto organico rifiuto contro ogni totalitarismo , a qualunque ideologia appartenga, destra o sinistra che sia ( ed è questa la sua grandezza di uomo e scrittore), ma "La Fattoria" non è certamente una minchiata, se mai la " continuazione" di quella presa di coscienza e la volontà di informare la gente quanto ci sia di stupido, doppio, crudele, machiavellico, disumano dietro la facciata del comunismo, è la storia, (la sua storia) in forma di satira, con la struttura della fiaba classica , di una rivoluzione fallita, di un credo illusorio e utopistico. Non era facile scrivere contro il comunismo allora, cinquant’anni prima della caduta del muro di Berlino - seppure sotto forma di fiaba classica -, non era facile dire alle masse che erano disinformate, raggirate, ingannate sulla vera natura del comunismo che allora sembrava essere la nuova dottrina dei poveri, il nuovo vangelo. Ecco perchè , Prof. Castracani , la fattoria non è una sciocchezza, una stupidaggine, ergo, una minchiata, ma lo è certamente la sua asserzione, di questo ne sia pur certo. (Tremo al solo pensiero di ciò che insegnerà ai suoi allievi!).
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La foto di copertina proviene da www.ibs.it

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