24 marzo 2009

"Il giovane Holden" di Jerome David Salinger

di Augusto da San Buono
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1. Uno scrittore fantasma
“Il giovane Holden” (The Catcher in the Rye) è un libro che fu pubblicato quasi sessant’anni fa da uno scrittore fantasma, Jerome David Salinger, che da quasi 50 anni non scrive praticamente più nulla (Frannie and Zooey, l’ultimo suo racconto, risale al 1961), indifferente a qualunque tipo di richiamo, ed è uscito di casa una sola volta per andare a vedere la Callas al Metropolitan, ma poi arrivò in ritardo e non fece in tempo a sentire la grande diva lirica. Salinger, che ora ha novant’anni, essendo nato nel 1919, vive praticamente murato vivo nella sua casa di Cornish, una cittadina del New Hampashere, in un allusivo misticismo che si richiama alle filosofie orientali e che sembra voler rispecchiare lo stato d’animo di crescente impotenza e totale rinuncia ad agire, a “ fare”, movimento che si era diffuso nell’America degli anni sessanta fra i giovani anticonformisti, di cui “Il giovane Holden” è l’emblema, il portabandiera indiscusso. Ed è per questo che quando uscì il romanzo, nel 1951, fu subito un grandissimo successo, un best seller, tradotto in tutte le lingue possibili. Ma è stato ( ed è tuttora ) un libro mitico, un vero e proprio “totem” per molte generazioni di studenti “perduti” e non, aspiranti scrittori e non. Dopo aver letto “Il giovane Holden” capisci meglio alcuni mostri sacri della letteratura come Kafka (Holden non è così radicale e metafisico) o Proust (Holden non è certamente così colto e raffinato); capisci meglio perfino alcuni classici dell’ottocento, ad esempio “L’Ortis” di Foscolo o “L’Adelchi” di Manzoni. Certo, Holden ha più ritmo, più ironia, ma c’è in lui qualcosa di quei personaggi tragici e romantici. Ritrovi in Holden una eco del dolore di Ortis, di Adelchi e anche di Werther. Infatti il suo motto è “soffri e sii grande”. Ma in questo gioco letterario possiamo spingerci ancora più in là, fino ad affermare che tutti gli eroi decadenti della letteratura di questo secolo, noi li ritroviamo in Holden, ma in uno scenario più vicino al nostro, in un linguaggio colloquiale, talora gergale, sicuramente più affettuoso e immediato, in un contesto sicuramente più credibile e accessibile alle nostre emozioni quotidiane.

2.Ma chi è Golden Caufield?
E’ presto detto, uno studente di sedici anni, alto un metro e novanta, che è stato cacciato dal “College” per la quarta volta e che invece di ritornarsene a casa e dichiarare il proprio fallimento ai genitori, decide di andarsene in giro per New York dove trascorre tre giorni e tre notti senza meta. Fa un po’ come il Leopold Blom (quello dell’Ulisse di Joyce) che gira 24 ore per Dublino ciondolando il suo testone “ senza sapere che cavolo fare”. Anche Holden è un bugiardo matricolato con un talento particolare nell’inventare e raccontare le sue storie che alla fine sembrano vere a tutti, anche a lui stesso. Del resto l’unica cosa che gli interessa è la letteratura, leggere i romanzi. “Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere, e tutto quello che segue, vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle e chiamarlo al telefono tutte le volte che ti gira“ (sic!). Quella di Holden è la storia di un’età eternamente inquieta, fotografata al volo, un attimo prima che venga inghiottita dalla banalità e dall’ipocrisia della vita degli adulti, spazzata via dall’artificiosità e dalla turpitudine della maggior parte delle nostre esistenze. In fondo è una storia semplice, una sequenza di foto in bianco e nero, ma di una notidezza assoluta che registra, nella sua perenne attualità, la delusione della scuola e dei proff (“Dormite sodo, stronzi”) e i giorni di solitudine a vagabondare in giro - ieri nei night, oggi nelle discoteche del sabato sera , - navigando tra nostalgia e sogno. E poi gli scontri-simbolo, quello con la prostituta (il misterioso rito di iniziazione sessuale) e quello sentimentale, dolcissimo, ma che non durerà, non può durare . E’ un viaggio breve quello di Holden che si conclude come tutti i viaggi, con il ritorno a casa, ma solo per una visita clandestina alla sorellina Phoebe.
3. Un’età “contro”.
La storia di Holden finisce in tronco (è il suo stile) quando proprio non te l’aspetti. “E questo è tutto quello che son disposto a raccontarvi“. E tu lettore ci rimani male, perché ti eri affezionato a Holden Caufield, il giovane Ulisse del nostro tempo. Ma di Ulisse sappiamo tutto, sappiamo che torna anche lui clandestino, estraneo nella sua Itaca per poi riconquistarla cacciando i proci. Di Holden non sappiamo se è riuscito a riconquistare la sua Itaca. Sappiamo però che è riuscito a salvarsi dal dirupo scosceso di quella giovinezza costretta sempre ad essere un’età “contro”. Contro gli adulti, ma anche contro quelli della sua età , e finanche contro sé stessi. Un’età da piangersi addosso. “... Allora d’un tratto mi misi a piangere. Non potevo trattenermi e piangevo in modo da non farmi sentire, ma piangevo. La vecchia Phoebe si prese uno spavento da morire, quando mi misi a piangere e mi venne vicino e cercò di farmi smettere, ma quando uno comincia non può mica smettere di punto in bianco, accidenti… Poi però smette e via… ”OK, vecchio Holden, ora vattene per la tua strada con “l’infanzia schifa e compagnia bella e via discorrendo”… Vattene con le tue intuizione e le tue profezie ( “A New York, ragazzi, è il denaro che parla”), vattene con la tua verginità intatta (con la puttana non ha funzionato). Ormai il tuo tempo è finito, vecchio Holden, perché tu appartieni ad un’altra epoca, il novecento, e noi siamo ormai da un pezzo in un altro secolo, un secolo incontrollabile. Ma dal duemila e nove, dove ci troviamo, senza sentimentalismi, anche noi ti diciamo che sentiremo un po’ la tua mancanza, Holden, come tu, alla fine della tua storia, sentivi un po’ (vero?) la mancanza di tutti quegli “ stronzi dormienti” di cui ci avevi parlato.
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Fonte per l'immagine di copertina: www.ibs.it

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