13 settembre 2008

Giulio Sordini, poeta romanesco: un sorriso in bilico che fa proseliti

di Augusto da San Buono

“Roma per me – ha detto lo scrittore Alberto Bevilacqua - è Scipione , Sordi , Fabrizi , Moravia e Proietti ; Roma è la città più accogliente del mondo, è un ventre morbido che non lascia cadere nessuno, è sensuale , è ospitale , accoglie tutti con grande civiltà”.

Roma , per me , invece, è tante altre cose , il Casermone , Donna Olimpia, Villa Pamphili, San Pancrazio , Villa Sciarra e il Gianicolo , con Garibaldi e Anita , a cavallo , con la pistola e il bambino in braccio , tutti ricordi di ieri , della mia infanzia , e poi c’è la Roma di oggi , più distante dal centro , più ovattata, più silenziosa , più verde, con il parco della Madonnetta, le vie quasi deserte dei pittori moderni di Acilia-Malafede, e quelle dei grandi artisti filosofi e letterati dell’antica Grecia dell’Axa-Palocco , con il verde e le quiete ville signorili adagiate nel verde geometrico delle aiole , e i versi di Giulio Sordini, con i suoi baffi alla Ronald Colman, i suoi occhietti ridenti , piccoli laser che ti trafugano dappertutto, con bonaria voracità, e poi il suo sorriso che apre porte e pensieri e fa proseliti nei circoli sportivi, nei ritrovi in, per le piazze e lungo i viali alberati , che t’invita ad un momento bello e conviviale, ironico , spassoso , senza preoccupazioni, insomma da “carpem die”.
E’ uno che ha la sua voglia d’avventura , gli piace andar per mare , il vecchio rugoso mare , a pescare pesci che poi magari si regalano alla gatta di casa , o per i boschi , da fine intenditore , a cercar elfi e funghi che stanno insieme lungo i sentieri tutt’altro che misteriosi di ciò che è rimasto della pineta di Ostia ; è uno che si porta appresso la sua natura cordiale di certi momenti di grazia , quando ognuno è un po’ parte dell’altro, quando si è “amici” perché inscindibili da qualcosa di comune e di immenso e ci si chiede dove possa risiedere l’amore , e si tenta di guardare in alto; uno che c’ha dentro il “fanciullino” pascoliano e la voglia , magari , di ripercorrere un sogno infantile ed eroico , come quello del trombettiere del Generale Custer , il mitico trombettiere del 7° Cavalleggeri , ch’era in realtà un romano nato in via delle Zoccolette , Giovanni Martini , passato alla storia come John Martin, l’unico scampato al massacro dei Sioux della famosa battaglia di “Little Big Horn” , quello che nei film di Ford viene ripreso in primo piano con la mitica tromba che sprona i soldati alla carica…..

Ecco, questo personaggio , questo amico dalle larghe intese e dagli orizzonti incrociati , che ha vissuto , ineluttabilmente, ogni tipo di esperienza umana , nei suoi sessantotto anni , farsi portatore d’una memoria a fior di pelle , con le sue tele a olio , i suoi pennelli , le sue spatole , i suoi colori, le sue misture , le sue alchimie , la sua pittura – di cui non parleremo in questa sede - , e le sue poesie , i suoi versi romaneschi , che corrono sul filo della tradizione , sul tam tam inevitabile di un Gioachino Belli , genio poetico senza pari, di livello europeo e dunque mondiale , in perenne bilico tra sarcasmo e malinconia, giocosità e tragedia , barocco e grottesco, rito e maschera, speranza e disperazione.
Certo, i tempi sono cambiati e anche la lingua , corpo vivo in costante evoluzione , non è più la stessa , ma lo stile e la voglia di popolo, un popolo cinico, satiresco, con la battuta sempre pronta, sì, è la stessa . Non a caso , Giulio è antico figlio di Testaccio, il quartiere “core de Roma” , dove iniziarono le imprese della squadra di calcio e dove un tempo le vie erano piene di cocci e di ragazzini colle toppe ai calzoni , e i buchi ai calzini che giocavano con una palla quadrata e le madri affacciate dai balconi , li chiamavano a squarciagola , spesso minacciandoli con improperi e parolacce perché era l’ora della cena e quelli non volevano proprio saperne di salire a casa, per non parlar d’andare a letto. ( “A ma’ che ‘n te ricordi / che quanno ero coll’artri piccoletto/ facevamo finta d’esse sordi/ se strillavi. E’ ora d’anna’ a letto!”)

Intelligente , fantasioso e tenace , il ragazzino ha studiato, si è laureato, ha vinto concorsi, è divenuto un avvocato, un Signor Dirigente, ha messo su famiglia , ha lasciato il suo quartiere per trasferirsi all’Axa, terra bonificata che ora sa di salici e di magnolie, di palme e kiwi, un vasto giardino odoroso, un moderno Eden di cui è padre pellegrino , e - possiamo ben dirlo - una sorta di Sindaco in pectore della zona dei villini. E se ci fosse una elezione nel quartiere , sarebbe sicuramente il primo ad essere votato. Lui ci farebbe su una battuta, perché , lo conoscono tutti, in zona, è un artista dell’auto- ironia , non si prende mai troppo sul serio, sa essere umile, irride alla retorica e a ogni megalomania. Da buon romano sa prendere le distanze da grandezze fasulle , un “no grazie” e una buona risata , in questi casi, è sempre la migliore delle terapie. Sa che ogni cosa della vita è costantemente erosa dalla sua stessa vanità.

Ma da vecchio equilibrista sul filo senza rete della fantasia , che vive di emozioni e di sentimenti, da uomo sanguigno e inappagato , che ha necessità di estrinsecarsi , eccolo cimentarsi nell’esercizio della nobile e difficile arte della poesia , cercar di conferire alla parola la fissità e al tempo stesso la mobilità di una farfalla, l’incisività di una massima scolpita su una lastra di marmo. “La vita è come sta’ s’un treno in corza:/ guardi er panorama da li finestrini, / ariva la galleria e la luce te se smorza”.
La poesia Giulio ce l’aveva dentro , anzi lo chiamava , di tanto in tanto, ma lui non voleva ascoltarla , aveva tante altre cose a cui pensare, tante altre cose da fare. La carriera , metter su famiglia , farsi una posizione sociale, una vita stabile e agiata. Ma una sera , all’Axa …“ Era d’estate ‘na notte un sacco bella,/ faceva un callo che nun se respirava, / la luna tonna come ‘na padella/ arta su ner cielo sbrilluccicava… ’Na regazza bella e trasognante / stava ar davanzale tra li fiori , / salutava timidetta er suo amante… La poesia gli apparve ed ecco ‘che “ De la tastiera co’ l’accompagnamento/ er canto me sdurcinava er core/ e la maggìa forte di quer momento/ me scancellò de dosso ‘gni dolore”.

Era bastato solo che si ponesse all’ascolto, ora la poesia fluiva da ogni dove , da rami dei pini del viale dei Pescatori, ma anche dai rovi , sterpi, grovigli, fogliami caduti, muffe, dalle zanzare, dai fiori tristi, dai vermi , dalle erbe opache , dall’albicocco che molti anni fa piantò nel suo giardino, dagli anfratti della memoria dell’infanzia e dell’adolescenza con tutta una sequela di personaggi memorabili.
Er Sor Enzo che “S’accomodava davanti ar portone/ su na sediaccia mezzo sgangherata, / appoggiava er barbozzo sur bastone/ pe’ passa’ così tutta la serata”, Gastone er cassamortaro, e Giggi er bullo, una specie di Rugantino dei tempi nostri . Sordini , con un magica stecca da biliardo, tocca questi personaggi , li fa rotolare e li manda in buca , uno dopo l’altro con perfetta carambola, oppure capita che la biglia arriva in fronte allo stesso Giggi er bullo e “ je fece ‘n corno grosso come un monte, / da cura’ giusto ar pronto soccorso”.

Poesie scopertamente ironiche, piene di umorismo, di sapidità, ma anche di malinconie. Poesie romanesche che danno voce al popolo, a quel che di popolo è rimasto ancora di Roma , con la sua proverbiale arroganza e cialtroneria . Ma non esistono più i Rugantino, oggi c’è un umorismo pesante, materiale , e una violenza di stampo orientale. Da Pasquino, a Trilussa, via Zanazzo e Pascarella, oltre al grande Belli già citato , da Filippo Chiappini a Mario Dell’Arco, da Aldo Fabrizi a Mauro Marè , - laureato in giurisprudenza come lui, - Sordini appartiene a quella pletora di poeti romaneschi con il sorriso sulle labbra e il coltello non solo tra i denti, - come annota Flavia Weisghizzi, - ma nel cuore, perché è poesia fatta di attese di un rimorso prevedibile, di una diminuzione necessaria di se stesso.
La sua poesia – scrive Sara Morina – è immediata, incisiva, ironica, bella e profondamente umana, una serie di ritratti in corsa, di flashes irrelati, come l’incontro con la bimbetta al semaforo in attesa del verde: “Me sorideva mezza sdentata/ in punta de piedi stava arzata/ , arivava appena allo sportello, / du’ occhioni neri, er muso bello“.

Poesia che riflette l’uomo con le sue miserie e le sue crudeltà, i suoi gesti sublimi e le sue cose immonde , le sue speranze e le sue disperazioni , i suoi rimorsi ; è una ricerca del vero , come annota Diana Palma, un viaggio lungo le strade e le sponde dell’io , una ricerca di traiettorie di salvezza in un mondo che sembra inevitabilmente chiuso all’avvenire . “Le onde sul mare / si son spente/… Nero di seppia/ sporca il cielo/ e tutte le altre cose” , un ripiegamento su se stesso, sui suoi mancamenti verso gli altri , su i suoi fallimenti di padre, marito, uomo che cerca la felicità e non riesce a trovarla: “Tutta la vita a guarda’ pe’ tera/ a la ricerca de la felicità, / quella che sempre dura, quella vera/ e sino a mo’ l’ho ancora da trova’”.

Con tutta la sua umanità, la sua generosità, la sua simpatia , il suo vivo senso dell’ospitalità e del dialogo , la sua cultura , la sua intelligenza , la sua capacità dialettica , il suo modo di essere romanesco anche senza usare le parole ( il romanesco , infatti , come qualcuno ha osservato, è un comportamento, più che un dialetto o un gergo) , che ne fanno un amico davvero straordinario e delizioso , pieno di grazia e complicità ( non a caso Giulio ha tanti amici sparsi un po’ dovunque) , Sordini in realtà soffre di solitudine e la poesia , che è una sorta di altra vita, tra fuori e dentro, tra l’altro e noi, tra l’istinto animale e il collegamento divino, tra il reale e l’inconscio, registra questa sua grande solitudine, i fallimenti , le inevitabili sconfitte , i grigi silenzi, i dolori, le svanite epifanie, le indifferenze, i mancamenti della coscienza, i rimpianti, le parole non dette “. ”Quanno ripenso a mamma mia/ er core me se strigne drent’ar petto, / sento er rimpianto e la nostalgia/ de dije quer che mai j’ho detto…, le preghiere salite al cielo come tracce di speranze: “A ma’, sì è vero che me senti, / me piacerebbe accarezzatte er viso, / poi quanno li lumi se so spenti, / venitte a trovà in paradiso”.

La sua poesia ha un valore proprio per questa sua capacità di farci ridere e commuovere, con l’ordinarietà delle cose di cui è fatta l’esistenza, con la semplicità dei sentimenti di sempre , con l’oro del cuore che conosce cose che la mente non sa, disse Pascal, ma anche con quella sua indubbia maestria di saper mescolare i toni e i colori, come si fa con la musica e la pittura , che sono in fondo le altre scusanti dell’esistenza, per questa sua vita sempre in corsa tra la matematica delle futilità dei tornei di Burraco , e la chimerica felicità da tutti inseguita , la triade dei “soldi sesso e potere “, per questa altalena costante di rimorsi ( vds. Zahrà, San Francesco) in cui noi , - “omini de panza”- , viviamo tutti i giorni per i molti, troppi diseredati della terra che incontriamo ai semafori , - dove sostiamo con le nostre macchine “de panza” , i Suv, che difendono e offendono, che fanno il vuoto intorno a sé, - per i troppi bambini che muoiono di fame ogni giorno, anzi ogni minuto, e per quel dubbio , quel rovello che ci portiamo dietro sull’aldilà, sul giudizio finale che è l’epitaffio di Giulio: “Siederò sull’orrido abisso/ col cuore tremante/ che palpita ancora/ per te”.

Un’ impalcatura , quella di Giulio Sordini, sospesa tra malinconia e ironia , tra attese e delusioni, speranze e amarezze , apparenza e realtà ( tutto è vero, niente lo è) , una dimensione in bilico ora fatta di irrequietezze , ritrosie, scontentezze , sconforto, vuoto , aride carcasse d’umano; ora di pacata dolcezza ,incantamento, ebbrezza, amicizia del cuore, un passaggio, un transito da una stagione all’altra , tutte impassibili nella loro tenace assurda voglia di rinascere , e lui sempre in bilico, tra stupore e risata, con il suo sorriso. La sua poesia è un sorriso ironico e , insieme , dolente che resta sospeso nell’aria , in bilico, ma che si propaga e fa proseliti, senza nessuna fatica.
Libero circuito culturale, da e per l'Insubria. Scivici a insubriacritica@gmail.com

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