13 aprile 2008

Pierri e Alda Merini

di Augusto da San Buono
“In ognuno di noi / c’è un Cristo sconosciuto / da amare che si rivelerà”… prima o poi , magari con una gazza sulla spalla, con cui parlare , come faceva il vecchio Pierri negli ultimi mesi di vita . E quando il Cristo sconosciuto riapparirà ci sarà ancora un Giuda ad aspettarlo , “ libero dal tradimento”. Lo bacerà di nuovo, ma stavolta “nell’amicizia / del cuore … E anche Giuda avrà una mite gazza sulla spalla”. Nessuno metterà (crudelmente) la gazza nell’orcio come facevano i salentini al tempo della “Luna dei Borboni” di Bodini, grande poeta che ci si ostina a lasciare tra le carte e nella muffa dei conferenzieri universitari eruditi, invece di farlo circolare nelle scuole, spiegandone il furore e l’amara malinconia.
In una sorta di alleanza ermetica-surreale e chiaroscurale con Bodini , ecco sorgere la parola di Michele Pierri, medico tarantino , che usa il bisturi come un crocifisso , o il crocifisso come il bisturi , sbagliando sempre le mosse e non riuscendo a trovare una sua via precisa e decisa , una sua identità storica. “Si direbbe – scrive Antonio Corsaro – “ che il suo processo evolutivo non abbia storia , come non ha storia la sua vita offerta alla medicina . Pierri si è occupato di periodici provinciali , ha scritto racconti quasi in segreto e paginette di critica, ha collaborato a riviste letterarie , ma senza dare a simili esercizi di scavo culturale che un puro peso di mestiere , con la volontà di mettere a fuoco le esigenze dell’anima”. C’è , però, dentro di lui , un paesaggio simile ad una strana macchia d’artiglio , a una realtà che non è solo realtà, ma qualcosa che la trascende in un misterioso rapporto di bene e male , di amore e odio, dove si fanno colloqui a distanza tra uomini e angeli invisibili , gli uomini sono uomini e gli angeli assumono le sembianze di gazze, gazze blu con striature bianche, bolse , ma eleganti nel breve volo….Aggiungiamo , per la cronaca , che Michele Pierri fu uno dei co-fondatori della c.d. “ Accademia Salentina “ del “poeta barone” Girolamo Comi , quando la popolazione salentina era all’ottanta per cento ancora analfabeta… Ma oggi di lui onestamente si trova poco o nulla , e quel poco è quasi sempre associato al nome di Alda Merini , con la quale convisse per alcuni anni , subito dopo la morte della sua adorata moglie , Aminta E in quegli anni di fiato a fiato in un condominio del centro di Taranto , il dottor Pierri non fece altro che parlarle di lei, alla povera Alda , della moglie morta novella Beatrice , che stava in paradiso aspettandolo , pronta a far “spazio per essere l’unica/ ad accoglier(lo) , al transito”…
Comprenderete che la poetessa milanese, trovandosi peraltro in quella fase di ossessionante delirio metaforico , o follìa d’amore , che caratterizzò una fase importante della sua vita e della sua poesia , con tutta la gratitudine e l’ammirazione che poteva avere per lui , non è che fosse felicissima di sentir parlare della defunta: “ Tu mi parli della tua vita e dell’angelo/ che ha lasciato in te il profumo della presenza, / tu mi parli di solitudini/ e di antiche montagne di memorie/ e non sai che in me risvegli la vita/ , non sai che in me risvegli l’amore/ parlandomi di una donna”.
E’ vero che il sodalizio tra i due fu quasi esclusivamete di natura spirituale e intellettuale, considerando che Pierri era un anziano vedovo e l’Alda una donna sola , con problemi esistenziali gravi (era alcolizzata) e senza risorse economiche .
Probabilmente fu Giacinto Spagnoletti , amico di entrambi , che convinse il medico-poeta ad accoglierla nella sua casa , più come una paziente sensibilissima e nullatenente , una sorella minore ( tra i due c’erano oltre vent’anni di differenza) che come una donna vera e propria che potesse in qualche modo sostituire la compagna scomparsa. Però è strano che Pierri non considerasse l’effetto che potevano avere le parole, le lacrime di rimpianto , e i versi tutti indirizzati alla buonanima su un animo sensibilissimo di una discepola avida di carezze e “gelosa” come Alda:
“…Io penso a quella che fui/ quando morii mill’ani or sono/ e adesso tua discepola e canto,/ scendo giù fino al Golfo/ a toccare la tua ombra superba ,/ o stanco poeta d’amore/ fissato a una lunga croce…”…”Odio e amo. Forse mi chiederai come sia possibile./ Non so, ma sento che avviene , e mi tormento”….
” Molti diedero al mio modo di vivere un nome/ e fui soltanto un’isterica”.
Quando Alda scrisse questi versi , probabilmente non avrebbe mai immaginato che le posizioni tra lei e il dottor Pierri si sarebbero invertite radicalmente e che lei , la
“ barbona” , la “ disperata”, la “ isterica”, la “ disturbata” non solo avrebbe superato di gran lunga il “maestro” , ma che addirittura il Signor Pierri sarebbe stato ricordato quasi esclusivamente per aver dato ricetto a lei , ritenuta una demente, una alcolizzata senza alcun futuro , con il pallino della poesia , ( che è appunto “roba” per pazzi , complessati e originali . Nessuno che sia “normale” si mette a perdere tempo e a rendersi ridicolo con i versi. ) . Oggi Alda Merini è uno dei poeti italiani più considerati , apprezzati , discussi e amati , al centro di ogni forum , consesso, barnum letterario e poetico, inzeppata di premi prestigiosi , riconoscimenti nazionali e internazionali , con la stiva di casa ben fornita di sigarette e liquori a volontà. Ci sono addirittura Editori che le fanno la corte , nonostante sia notorio che i libri di poesia non abbiano mercato …ma i suoi sono versi “diversi”, versi della “pazza della porta accanto” , di una che è stata in manicomio e ha un background tutto particolare , hanno fatto breccia nello spettacolo e nel teatro, dove sono stati realizzati recital e piéces sulla sua vita e sui suoi versi ,senza contare , poi , che l’Alda , volendo , scrive altrettanto bene anche in prosa…. La poesia le giunse sulle ali del vento del suo disordine interiore , anche se lei aveva ( e ha ) paura di quel vento che la risospingeva per sentieri troppo tortuosi e profondi facendola vagare là dove si incontrano i ricordi e le speranze disattese, i visi dei morti e quelli dei vivi che non sanno più dire parole . Anche oggi , che ha i suoi ottantatré anni compiuti, si ritrova immersa nella solitudine , con il bisogno , la fame d’amore , in quel palazzo sui Navigli di Milano , al secondo piano, in un appartamento disordinato e misero , si ritrova nell’ ombra e continua a scrivere poesie, a fumare sigarette e a bere whiskie , le uniche cose belle della vita , insieme alle bolse gazze salentine che volano basse . I suoi pensieri furono quelli di una gazza ladra, tenera e solitaria , santa e meretrice , sanguinaria e ipocrita , rapida nel rubare l’oro e lenta nel volare sul ramo ; anche lei vive di un amore personale fatto di sogni , che quasi esclude il rapporto con il maschio . Amori intensi e infelici , come quelli di una gazza ladra, amori grandi e inesistenti , così grandi da elevarsi oltre l’umanità.
E del suo maestro Michele Pierri , che ne è stato ? Anche lei forse se lo chiede, ma non più di tanto, poiché i rapporti con i figli e gli eredi Pierri sono tutt’altro che buoni. La trattarono come un’appestata , quando fu ricoverata per la prima volta nell’infame manicomio di Taranto, qualcosa di più orrendo dell’inferno dantesco.
Di Michele Pierri si è persa ogni traccia? Chissenefrega.
Pierri, chi era costui? … Era un poeta vero , di notevole spessore , con un’anima religiosa , chiusa, ascetica , ma un’anima mortificata, insaziata , fermentata di ribellioni, che si piega ad ascoltare la voce dei fanciulli e delle gazze tarantine che portarono consolazione alla sua esistenza chiusa e appartata; ascoltò la ragione della coscienza, esplorò , indagò sul perchè delle cose , si confuse con i sogni, i fantasmi e i misteri della natura , per specchiarli in un colore e in un dolore densi e frantumati , come il ritmo del suo verso , che ora s’attorce e s’ingroviglia e non ti concede tregua , né respiro, sembra quasi che strida e arrivi fino a patire , a “fingere il dolore che sente davvero”, come disse Pessoa…
Era un poeta vero , che brilla di luce propria . Non ha bisogno di essere preso al rimorchio della Merini , che è una grande poetessa , ma ha avuto la fortuna ( dopo le disgraziate vicende sanitarie) di tornarsene a Milano e non a Taranto o nelle regioni di estrema periferia ed emarginazione del meridione come il Salento fino a pochi anni fa . Quella sfortuna è toccata a Pierri, che ha vissuto appartato , schivo, nascosto, quasi obliato. Donato Valli , che ebbe diversi incontri con lui , scrisse , in occasione del centenario della sua nascita (21 maggio 1998): “Si citano immancabilmente tre autori salentini , Bodini, Comi e Pagano, ma quasi nessuno fa riferimento a Michele Pierri , un poeta, che meriterebbe di essere collocato sullo stesso piano dei suddetti tre.” Era nato nello stesso anno di Betocchi , con cui aveva instaurato uno dei sodalizi di più intensa qualità spirituale . Altri amici profondamente legati a Pierri erano Oreste Macrì e i già citati Comi e Spagnoletti, che curò e pubblicò alcune raccolte di liriche del Pierri. Suo amico carissimo fu , durante la prima stagione letteraria del novecento , il padre dell’ermetismo storico italiano, Carlo Bo, che scrisse la prefazione del suo primo libro, “Contemplazione”. Anche Giorgio Caproni, il lirico ligure-toscano, il cantore di “Annina” , ritenuto per un certo periodo il più grande poeta italiano di quest’ultimo scorcio di secolo, fu ottimo amico del Pierri e tra loro per un certo periodo di tempo ci fu un carteggio degno di rilievo. Queste frequentazione “alte” del Pierri - sostiene Valli - ci offrono un’idea su quali fossero le fonti del suo pensiero e della sua poetica, che si agganciano all’avanguardia simbolista, successivamente irrobustita dalla letture di scrittori mistici quali Santa Teresa D’avila, San Giovanni della Croce e Jacopone da Todi.
Ma non va trascurato l’influsso filosofico di grandi pensatori “irregolari” , dichiarati eretici , quali Giordano Bruno e Tommaso Campanella, attraverso i quali Pierri è confluito nell’orfismo classico moderno ispirato dalla scuola pitagorica. Un’altra componente della poesia di Pierri passa attraverso una costante dialettica reiventata di un marxismo purificato e idealizzato come forza redentrice. L’azione di queste due forze è evidente in “Contemplazione” (1950) e in “De consolatione” (1953) in cui si avverte l’urgenza della realtà che ci assedia con forza fisica, quasi materiale e da questo assedio ci si può liberare solo mediante la parola, che però trasmette solo pensieri, non sensazioni. Ed ecco la voluta ricercata ambiguità della scrittura di Pierri, tra l’urgenza della fisicità e quella dello spirito.
Nel 1971 fu pubblicato un poemetto di 54 versi , “Chico ed io”, sulla Rivista “L’Albero” fondata da Comi, un poemetto dedicato ad una gazza , che allietò alcuni mesi della sua vita e poi morì, forse avvelenata. Pierri passava diverso tempo ad allevare le gazze, non lo faceva certo da esperto , ma da “fratello” ( c’è in lui “ l’indipendenza dialettica del cristiano giullare” tutta francescana) perché tali considerava tutti gli animali: fratelli di viaggio , oppure da “comunicatore” di sensazioni misteriose. La bellissima gazza di Pierri non era come la capra di Saba , legata e dal viso semita , anche se “ il dolore è eterno / ha una voce e non varia” , ma era una creatura “libera e felice” che faceva sentire libero e felice anche il poeta . Con “ Chico” , Pierri trascorreva delle magnifiche giornate , giocavano e parlavano , in un linguaggio assolutamente misterioso e misterico, per iniziati , che conoscevano soltanto loro due.
Il poemetto “Chico ed io ” non è una favola , né una metafora ( La “ Gazza Ladra”-Alda Merini , che intanto trova spazio perfino sulla copertina di Time , non c’entra per nulla) , ma piuttosto la descrizione di una presa di coscienza più alta e consapevole da parte dell’uomo: noi e gli animali siamo sullo stesso piano , essi hanno pari dignità, gioiscono e soffrono, sono capaci di renderci felici, meritano il più assoluto rispetto. Pierri , in definitiva, intende suggerire agli uomini un pietoso pensiero verso tutti gli esseri sensibili, vuole diffondere l’idea che “ allargare la cognizione del dolore extra umano non è conquista di certo inferiore a quella della conquista degli spazi”. E noi concordiamo pienamente con lui.
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