01 febbraio 2008

Il sorriso della Gioconda

di Augusto da San Buono

Un atto di venerazione
Vi è forse capitato, come è capitato a me diversi anni fa (e a tanti altri, credo), di andare a Parigi solo per vedere la Gioconda, incanalati, pressati come sardine, lungo la Grande Galerie del Louvre, nella sala VI, dietro migliaia di persone, per l’incessante quotidiano pellegrinaggio alla Regina incontrastata dell’Arte, all’opera più famosa di tutti i tempi? Allora avrete capito che non è una visita, ma un vero e proprio atto di venerazione, uno straordinario sincretismo religioso , che si realizza in nome dell’arte. Gente di tutte le latitudini, di tutte le religioni, di tutte le razze, di tutti i ceti sociali, di tutte le lingue, si ritrova là, disposta a semicerchio, nel santuario di Monna Lisa, davanti alla “reliquia” , alla silente icona di Parigi ( ironia della sorte per un’opera italianissima) dipinta da uno dei più grandi geni – forse il più grande – che l’Italia e l’umanità abbia mai avuto: Leonardo da Vinci. E tu ti ritrovi lì, a fulminare di flashes quell’oggetto misterioso , quel sorriso enigmatico, insieme ad altri affamati di mistero, in particolari ai giapponesi che fanno clic-clic ovunque, al bidè sbreccato, alla nuca del corazziere, alla coda del cavallo, alla manica del prete, all’ombra del cane sull’asfalto, alla risata, la monetina, la marmellata, al cinto ernario, immaginiamoci alla Gioconda.

Sorrido perché so di potervi far del male
Ma in realtà Monna Lisa tu non la vedi , tutt’al più la intravedi . C’è una distanza di sicurezza, c’è la vetrina blindata che racchiude l’immaginetta – fissata alla parete col cemento , protetta da due lastre di vetro antiproiettile a tripla lamina , poste a venticinque centimetri l’una dall’altra . Tu la puoi solo immaginare, la Gioconda. Alla fine te la rivedi sul depliant, o ne compri una delle tantissime orrende copie che stanno vicino alla biglietteria. E ti porti a casa quella , oppure quella presa in fotografia, ma potrebbe essere una qualsiasi magari costruita da te stesso, come hanno fatto a milioni, artisti celebri compresi ( Legér , Dalì, Duchamp, Magritte , Warhol , Botero , ecc) nell’intento di sacralizzarla, o dissacrarla. E’ una specie di wudu, Monna Lisa, che trovi dappertutto dai purganti ai preservativi. Quando fu trasferita a Tokio , nel 1974, molti giapponesi passarono la notte sui marciapiedi per avere accesso tra i primi al fanum dove li aspettava – scrive Ceronetti – “col sorriso alzato , la crudele Lisa... Circa cento milioni di giapponesi pazienti, muniti di una o più macchine fotografiche con rullo vergine, si sono messi in fila , dalle isole settentrionali dell’arcipelago al monte Fuji, per godersi dieci secondi d’immersione in quel sorriso gelato, più mercuriale del mare di Minamata... Era come far bere loro una cesellata tazzina di cicuta. Con quell’ ambiguo sorriso dipinto , sapientemente svuotato di umano, molto più simile al sorriso delle immagini visnuite e shivaite indiane che a quelle di una donna dell’Occidente , con quel sorriso che è una trappola aperta sembrava che la Gioconda dicesse:”Sorrido perché so di potervi far del male”. Ed è questa la ragione di molti sorrisi, conclude Ceronetti.

Da Napoleone a Orlan , tutte le follie in nome della Gioconda
E tuttavia chissà cosa darebbe uno , non necessariamente giapponese , per poter aprire quel tabernacolo blindato , per poter vedere da vicino quel sorriso stregato , che eccita tumulti e follìe, da Francesco I , che la acquistò, a Napoleone Bonaparte che se la portò in camera da letto, a Gautier (“sta in piedi silenziosa/ accanto ai flutti risonanti”) Baudelaire ( “Angelo sorridente/ specchio misterioso”) Valery e D’Annunzio che delirarano dinanzi alla femme fatale , ma c’è chi , da lei sedotto, addirittura la rapì , come Vincenzo Peruggia , un decoratore italiano che lavorava al Louvre , che se la portò sottobraccio uscendo dal museo. Fu un affare di Stato. Si sospettarono dapprima i tedeschi, poi Apollinaire ( che finì in prigione ) e la banda Picasso, ma anche i marinettiani, tutta gente che aveva più volte manifestato verso la Gioconda intenzioni omicide. I servizi segreti la cercarono ovunque, a Pietroburgo, in America, in Nuova Zelanda. Finchè ricomparve, consegnata agli Uffizi di Firenze, dove avrebbe dovuto stare, secondo il ladro pittore dilettante italiano, e il 31 dicembre 1913, con una folla delirante, ritornò nel suo covo, a Louvre, pronta a ricominciare, con la folla incredibile di devoti sparsi in tutto il mondo , alla teoria degli sguardi, dei sospiri e dei delirii, delle mai sopite follìe ( c’è stato , nel 1956, un boliviano , Hugo Unzaga Villegas che scagliò una sassata contro la tavola, danneggiandola all’altezza del gomito, perché non poteva resistere al suo sorriso; e l’industriale Leon Mekusa che s’innamorò perdutamente della Gioconda al punto da vendere tutte le sue imprese e farsi assumere come custode del Louvre, in modo tale di essere il primo la mattina a salutare Monna Lisa. Ma il massimo della stravaganza lo ha compiuto ,nel 1990, una donna , tale Orlan, che si è sottoposta a intervento di chirurgia plastica per assomigliare “ esattamente” alla Gioconda) . Ma la Gioconda deve subire anche delle visite tecnico-sanitarie, come se fosse una creatura in carne e ossa.

I segreti di Monna Lisa rivelati da un tecnico
Una volta l’anno , infatti, s’apre il tabernacolo di Monna Lisa, si misura la temperatura della Gioconda, se ne verifica l’integrità, si controllano le eventuali dilatazioni del supporto ligneo. Sono solo pochissimi i privilegiati che possono affermare di aver visto veramente la Gioconda, di averla annusata, odorata, toccata. La massa adorante dei visitatori si deve accontentare dell’ostensione più che della visione. “Entrano nel museo docili – diceva Bernard Berenson – al comando delle guide, corrono davanti al capolavoro, si inchinano dinanzi ad esso ed escono felici senza aver capito nulla”. E’ vero, purtroppo. Posso confermare. Ma un giorno ho avuto il raro privilegio di parlare con uno degli studiosi che hanno visto veramente la Gioconda. Non posso rivelare il suo nome, né le circostanze del nostro colloquio, ma ecco quel che mi ha detto sull’opera più celebrata del mondo, che sembrerebbe fatta di una materia particolarmente preziosa….“In realtà – mi dice Antoine (nome convenzionale, ovviamente) – si tratta di una tavoletta di pioppo alta settantasette centimetri e larga 53, che forse, in un lontano passato, è stata addirittura ridotta perché non si adattava alla cornice, oppure si dovevano rifare i bordi ammalorati. Se c’era un legno che Leonardo non usava mai era il pioppo (gli preferiva il noce, il cipresso, il sorbo, il pero e mille altri legni), ma stavolta, forse l’unica volta, lo fece. Ci passò sopra uno strato fine ma molto compatto di gesso e sopra questa preparazione stese i colori di base: blu nella zona superiore del paesaggio, rosso nella zona inferiore. La pittura a olio venne applicata per strati di velature con uso di ocre rosse e gialle , biacca e forse anche lacche. Ci lavorò un mucchio di tempo, quando ce l’aveva il tempo (praticamente mai) , ma non la finì. Non sono state completate le due colonne che incorniciavano ai lati la signora, il parapetto alle sue spalle e un punto del paesaggio a sinistra. Il ritratto risulta essere stato modificato in corso d’opera . Leonardo aveva impostato diversamente il volto , privo di velo, più smagrito nelle guance, senza i capelli che cadono in prossimità del petto e soprattutto senza sorriso.
La Gioconda senza sorriso? Ma è proprio sicuro?

Certo che sono sicuro. Aveva la bocca serrata in un’espressione seriosa, quasi amara. Sovrapponendo colore, mediante sottili e ripetute velature, il maestro cambiò i connotati della dama, e questo conferma la lunga elaborazione del quadro e la graduale trasformazione fino al punto che osserviamo oggi.
C’è qualche traccia d’antichi restauri, ma la materia pittorica della Gioconda si è perfettamente conservata, se si escludono una fenditura visibile in alto sopra il capo della donna e il piccolo danno sul gomito sinistro , provocato da una pietra lanciata contro il quadro da uno squilibrato nel 1956. C’è da dire però che l’ingiallimento delle vernici hanno alterato le tonalità originali dei colori; Se ci si fa caso, l’incarnato appare giallastro e il paesaggio è accordato su toni verdastri. Non si riesce inoltre a capire se Leonardo abbia dipinto o meno le sopracciglia. Secondo alcuni testimoni del 1600 la donna non doveva averle , secondo il Vasari invece ce l’aveva e come, e Leonardo li dipinge da par suo: “Le ciglia …i peli nella carne, dove più folti e dove più radi …non potevano essere più naturali”. E’ un enigma. Ma si è propensi a credere che maldestre puliture antiche abbiano fatto sparire quei fragilissimi particolari di natura, dipinti in punta di pennello.
Ma c’è chi, come Federico Zeri, avrebbe voluto invece ulteriormente pulire quel quadro. “Le strane atmosfere sfumate in realtà non esistono e sono dovute solo alle innumerevoli mani di vernice, e allo sporco che stanno sulla superficie del quadro… Una volta restituita al quadro la sua pelle originaria, il mistero della Gioconda si vanificherebbe”.
Naturalmente nessuno osa avventurarsi in un’operazione del genere a rischio di cancellare il famosissimo “sorriso” della Gioconda.

Ma chi è veramente la donna raffigurata?
Oggi ci sono un’infinità di supposizioni, di ipotesi, le più assurde, fantasticate , strampalate, ma secondo me bisogna rifarsi al Vasari e lui dice che si tratta di Lisa Gherardini nata a Firenze nel 1479 da una famiglia di non altissimo lignaggio, una bellissima madonna fiorentina che a diciannove anni aveva sposato il mercante e notabile fiorentino Francesco del Giocondo, già due volte vedovo, e vent’anni più anziano di lei. Nel 1502, o 1503, Del Giocondo aveva commissionato a Leonardo il ritratto della giovane moglie, ma non fece i conti con la lentezza e la mania di perfezione del maestro, che si portò con sé il ritratto quando si trasferì nel 1507 in Lombardia. Leonardo lo tenne con sé anche quando si trasferì in Francia, nel castello dsi Cloux presso Amboise, al servizio di Francesco I, e lo finì tra il 1510 e il 1513. Alla sua morte ( 2 maggio 1519) il quadro venne in possesso del suo allievo Gian Giacomo Caprotti da Oreno detto il Salaì (il diavoletto), che aveva seguito Leonardo in Francia. E il Salaì, (o i suoi eredi) lo vendette al re di Francia per ben 2604 lire tornesi, pari a 12mila franchi, allora una cifra molto considerevole.
Il Vasari aveva conosciuto la Gioconda, che visse fino all’età di sessantatre anni, e dice che Monna Lisa era bellissima, e mentre il maestro la ritraeva, c’era chi sonasse, o cantasse per lei, e buffoni che la facevano stare allegra, per levarle quel che di quel malinconico che c’è quasi sempre nei ritratti “Et in questo di Lionardo vi era un ghigno tanto piacevole che era cosa più divina che umana a vederlo, et era tenuta cosa meravigliosa, per non essere vivo altrimenti".
Con buona pace di Zeri, quel sorriso (o ghigno) incantatore c’era già, ed era quello che aveva esercitato un’attrattiva irresistibile su Antonio Betis, il segretario del Cardinale d’Aragona, che si era recato a Amboise a far visita al maestro nell’ottobre del 1517, e poi ne parlò al suo padrone, e questi al re Francesco I di Francia, che volle il quadro ad ogni costo e, vedutolo, se ne invaghì follemente. Se lo portò nel suo museo personale, il castello di Fontainebleu, e lì rimase fino alla sua morte.
La Gioconda, come abbiamo accennato , è stata anche molto odiata, soprattutto da artisti e critici contemporanei. Ma c’è stata – e c’è tuttora – gente che ha trascorso un’intera vita per carpire il segreto, o i segreti della Gioconda. C’è stato chi nel quadro ha ricercato rapporti matematici, geometrie occulte, riferimenti astrologici, e c’è stato chi ha sostenuto che la Gioconda è in realtà il ritratto non di una donna, ma di un uomo, Leonardo stesso. E c’è stato chi recentemente ha ravvisato una impressionante somiglianza con l’attore americano Michael Douglas.
Una donna incinta?

Ma il segreto della Gioconda , il segreto del suo sardonico sorriso, fa parte dei misteri dell’universo, è nel volto del vecchio, come nello sguardo del bambino, nel mare, o in un tramonto . Certo siamo di fronte ad un’opera senza precedenti nel campo della ritrattistica, non solo per la forte introspezione
psicologica che il volto esprime, ma perché lo stesso Leonardo avverte l’esigenza di dare una svolta alla pittura ed esorta i pittori ad essere “universale”, come annota nei suoi appunti. Un ritratto deve risultare assolutamente diverso e innovativo rispetto a quelli impeccabili, ma senza vita, della tradizione italiana e fiamminga del quattrocento. Bisogna che i ritratti respirino, come creature vive, bisogna dare un’anima al volto che si dipinge. E lui gliela data l’anima a quel volto di Monna Lisa. Con infinite sottilissime velature le ha dato il palpito del sangue sotto la cute, le ha dato l’intensità di uno sguardo con occhi lucidi, le ha dato quel sottile gioco espressivo dei muscoli facciali che formano il sorriso. Ed anche le mani sono eloquenti veicoli di verità, come il paesaggio sullo sfondo , in una atmosfera pregna di sostanza aerea. Bisogna – dice il maestro – che il ritratto si trasfiguri in un ritratto ideale, che contenga tutti i ritratti possibili, nel quale la posa, la bellezza del soggetto, il suo armonioso inserirsi nel contesto naturale, rimandino a valori più alti, ovvero alla virtù, moralità, nobiltà, castità, amor di Dio. Forse è quella impalpabile bellezza interiore , il vero segreto della Gioconda, e il suo sorriso non è sardonico, non è ambiguo, non è un ghigno, ma l’espressione della verecondia modestia di una donna sposata, e forse anche incinta.

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