22 giugno 2007

Whitman, sogno di un carpentiere americano


di Augusto da San Buono


In "Camden 1892", Borges descrive il vecchio Walt Whitman, morente, che giace prostrato e bianco nella sua dignitosa e povera abitazione di Camdem (fu povero per tutta la sua esistenza), e noi lo osserviamo, come dietro uno schermo, mentre "stancamente guarda il suo volto nello specchio", con la mano distrutta dai tremiti del parkinson. Sa che "non è lungi la fine e la sua voce dichiara: /quasi non sono, ma i miei versi ritmano la vita e il suo splendore. Io fui Walt Whitman". E Walt Whitman era l'America, - dirà Pound - con la sua crudezza e il suo fetore enorme. E' la cavità nella roccia che rimanda l'eco del suo tempo. Egli cantò l'era cruciale dell'America, egli ne è stato la voce trionfante. Disgustosa. Orribilmente nauseante. Ma porta a compimento la sua missione fino in fondo. Fu un vero genio, perché ebbe sempre un'esatta visione di che cosa egli rappresentava, di quali fossero le sue funzioni. Sapeva di essere un inizio e non un'opera classicamente compiuta, come dirà nella prefazione ad una delle tante edizioni di "Leaves of Grass" (Foglied'erba): "Questo è il canto che io non vi offro completo, ma che vi accenno appena perché, con robusto esercizio, lo facciate vostro. Io non ho fatto il lavoro, né posso farlo. Siete voi a doverlo compiere e a fare del canto che segue quello che esso è." Ma prima aveva enunciato con chiarezza la propria tematica: "Fra tutte le nazioni comparse in ogni tempo sulla terra, l'americana ha probabilmente la più ricca natura poetica. Qui vi è qualcosa nelle azioni degli uomini che corrisponde ai vasti moti del giorno e della notte. I poeti americani dovranno assommare in sé così i vecchi poeti e i nuovi, poiché l'America è la razza delle razze." E' con lui che nasce il sogno americano, è con lui che nasce la poesia americana, con questo autodidatta, educato ai princìpi della democrazia jeffersoniana, questo illuminista con lo sguardo rivolto a terra, che abbraccia e canta il 'sogno americano' Niente è mai veramente perduto, o può essere perduto. Ma deve affrontare la terribile esperienza della sanguinosa guerra civile, in cui sarà infermiere efficiente dolente e partecipativo, oltre chè cantore. Un 'democratico' costretto ad abbandonare il partito che ha tradito i suoi ideali e che trova nel repubblicano Lincoln una risposta positiva, subito messa alla prova dall'assassinio del presidente (una delle più belle elegie scritte in morte di un presidente), che aveva ristabilito l'unità della nazione. Cresciuto nell'età di Emerson e Thoreau, in un'america agraria che sotto i suoi occhi diventa la terra dei Carnegie e dei Mellon, del capitalismo rampante, e mette alla prova i suoi sogni egualitari. Il "free verse", il verso libero di Whitman - scrive Carlos Williams - era un assalto alla fortezza della poesia in se stessa, una sfida rivolta a tutti i poeti viventi, a spiegare per quali motivi non dovessero anche loro scrivere allo stesso modo. Una sfida che ancora dura, dopo centocinquant'anni, che fa proseliti come Allan Ginsberg: "Dove andiamo, Walt Whitman? Tra un'ora chiudono le porte? Dove si volge questa sera la tua barba?


"Walt Whitman ha voluto fare per l'America - dice Pavese - quello che i vari poeti nazionali hanno fatto nei tempi dei loro popoli, e tutto invasato di quest'idea romantica, che lui per primo ha trapiantato in America, egli vede l'America e il mondo soltanto in funzione del poema che li esprimerà nel secolo XIX e tutto il resto al confronto non conta. Egli vive intensamente solo per questa idea, per questa missione. Egli non fece il poema primitivo che sognava, non fu il dio Pan in persona, né il novello Adamo rinato tra noi, ma scrisse il poema di questo suo sogno. Il Song of Myself ( Io canto me stesso) non è forse affatto poesia, ma una delle più stupefacenti espressioni di energia vitale che siano mai entrate in un libro. Io celebro me stesso, io canto me stesso,/ e ciò che io vi presumo devi pure tu presumere.


E in te stesso - gli fa eco Ginsberg - tu celebri l'America, caro vecchio Walt. "Io sfioro il tuo libro e sogno la nostra odissea al super-market e mi sento assurdo. Passeggeremo tutta notte per strade solitarie? O gli alberi aggiungono ombra all'ombra, luci spente nelle case, ci sentiremo soli. Cammineremo sognando la perduta America dell'amore lungo automobili azzurre nei viali, verso casa nel nostro cottage silenzioso? Ah, caro padre, grigio di barba, vecchio solitario maestro di coraggio, che America avesti quando Caronte smise di spingere il suo ferry e tu scendesti su una riva fumosa a guardare la barca scomparire sulle acque nere del Lete?" E' tornano alla mente i suoi canti dei mestieri, i poemi del lavoro quotidiano, le ballata di Boston, i canti democratici, i Rulli di tamburo, l'elegia in morte del presidente Lincoln, e tutta la sua unica vastissima raccolta di poesie, "Foglie Verdi", quel suo unico libro circolare, in cui, - attraverso lui, questo suo profeta di Long Island, questo carpentiere, tipografo (stampò il libro a sue spese e lo fece con le sue mani), questo predicatore, giornalista, straordinario infermiere della guerra di secessione - l'America canta se stessa. E' un inno appassionato e audace, tumultuoso e veemente, che ha ritmi e cadenze di vasto respiro, tali da esprimere quel senso di libertà assoluta, di comunione con la natura e l'umanità, di esaltazione delle forze fisiche e spirituali dell'uomo ("Ascolta, disse l'anima, scriviamo per il mio corpo"), che racconta dell'aquila e della nuvola ambigua, delle ali imperiose e dello spazio istantaneo sorrisi elampi e lacrime. E sogni, atomo di felicità e lenzuoli funebri , dell'uomo che ode se stesso motore in una nuvola, torri altissime e spettri di fumo. Questo è anche il libro dell'esplodere dell'eros, della la vita e della morte viste da vicino, in cui nasce una poesia nuova che forse non è poesia, ma è vita, vita profondamente radicata nelle vaste pianure nordamericane da cui ogni singola "foglia d'erba" trae energia, una poesia non poesia, intensa, profonda, mistica, che ci dice delle possibilità ideali dell'individuo e del mondo in cui vive, che celebra la divinità della natura umana e il miracolo della realtà quotidiana.


Un libro circolare, dicevamo, che era, anche fisicamente, l'autore medesimo, Walt Whitman (chi tocca questo libro, tocca un uomo), un libro che egli scrisse vivendo la propria vita, un libro che sarebbe cresciuto parallelamente al suo paese ("Alla lunga, il mondo farà quel che vuole del libro"), anche se allora, appena stampato, (siamo nel 1855, centocinquanta anni fa) se ne vendettero trenta copie. I critici lo ignorarono. Solo Emerson gli scrisse una lettera entusiasta, ma lo rimproverò poi per averla resa pubblica. Pensate che in quello stesso anno furono invece vendute 50 mila copie di Longfellow, e un milione di copie vendette il signor Thimoty Shy Arthur, autore di storie edificanti e di appelli contro l'uso degli alcoolici. Walt fu sempre visto dai contemporanei con fastidio, sospetto e scandalo (era omosessuale, e il suo linguaggio era costellato di metafore sessuali). Ho mangiato e dormito con te, il tuo corpo non è più solo tuo né ha lasciato il mio corpo solo mio. Mi dai il piacere dei tuoi occhi, del tuo viso, della tua carne, passando, in cambio prendi la mia barba, il mio petto, le mie mani. Walt, inoltre, era uno che si presentava senza cravatta e in tenuta da lavoratore, un oratore-poeta che denunciava l'instabilità politica del paese e difendeva gli ideali democratici, ma nell'intimo viveva la crisi dell'isolamento, dell'idea della morte e arrivava a prendere coscienza delle sue tendenze omosessuali e autoerotiche, che riuscì a canalizzare , o meglio a sublimare in sentimenti di fratellanza umana, compassione e comprensione. Ma il fastidio e sospetto perdurano a lungo, come aveva previsto Williams: infatti il suo centenario della morte (1992) fu festeggiato in sordina nel suo paese, e solo una esigua parte della critica accademica, pur restando le sue poesie nelle antologie scolastiche, continuò ad occuparsi di lui. E nemmeno oggi, a centocinquant'anni dalla pubblicazione di Leaves of Grass, esattamente il 4 luglio 1855, la Independence day, la festa nazionale degli Stati Uniti questo libro che avrebbe segnato la presa di coscienza della letteratura americana, il poema americano per eccellenza, che segna la nascita della nuova poesia americana, dell'età moderna, uno squillo di tromba che avrebbe echeggiato attraverso l'immenso accampamento dell'America, il libro insomma più liberatorio della letteratura americana, che finalmente si svincolava da quella inglese, è pienamente compreso, tenendo comunque conto che l'arte di Whitman non è affatto facile e sfugge a troppo precise definizioni.

Questo bardo visionario e inquieto poeta dell'io e della collettività, del presente e della democrazia cosmica e panteista, questo poeta della natura e dei sensi, questo autodidatta che aveva smesso di andare a scuola all'età di 11 anni e aveva fatto tutti i mestieri, incontrò allora (e anche in parte oggi) l'ostilità degli accademici, accaniti a guardare con una lente di ingrandimento le tessiture strofiche delle sue odi che andavano guardate invece come strade maestre, distese marine, conglomerati urbani. Dai campi lunghi ai primi piani, dalle montagne rocciose ad una culla dondolante, egli seppe rendere qualsiasi cosa poetica, semplicemente elencandola, come disse Ruben Dario, che l'aveva conosciuto: nel suo paese di ferro vive il grande vecchio, il bel patriarca, santo e sereno, il corrusco cipiglio, d'olimpico splendore comanda e conquista con nobile incanto. La sua anima pare specchio dell'infinito, le sue stanche spalle sono degne di manto, come arpa scolpita da una vecchia quercia, come nuovo profeta canta il suo canto. Sacerdote che il divino soffio alimenta annuncia nel futuro un tempo migliore dice all'aquila: «Vola», e, «Voga» al marinaio e «Lavora» al robusto lavoratore, così va il poeta sulla sua strada con superbo rostro imperiale! I sogni, i sentimenti, i progetti, il camiciotto da carpentiere, il verme e la farfalla, la lucciola e le stelle, gli attrezzi degli operai, le carrozze, i battelli i fiumi, le città e i bambini, gli amanti che si abbracciano e il miracolo quotidiano del filo d'erba che si erge verso il cielo in sintonia con l'universo e in contraddizione con tutto ciò che cade e muore, anche se è solo apparenza, perché tutto è un eterno presente e un eterno divenire.
---------------------------------

Libero circuito culturale, da e per l'Insubria. Scrivici a insubriacritica@gmail.com

Nessun commento:

Posta un commento

I commenti sono moderati e controllati quotidianamente.
Tutte le opinioni sono benvenute. E' gradita la pacatezza.

51a Edizione Ravenna, 3-13 maggio 2024

                                                  51 a Edizione Ravenna, 3 -13 maggio 2024   Una panoramica geografica sul jazz, dagl...