18 maggio 2007

Ippolito Nievo racconta Garibaldi

di Antonio di Biase

Secondo l’opinione di Franco Della Peruta – uno dei massimi studiosi del Risorgimento - è molto difficile inquadrare la figura dello scrittore veneto Ippolito Nievo in una categoria politica rigida. Fece senz’altro parte di quella schiera di intellettuali di secondo ordine – se non fosse perché morì a ventinove anni sarebbe giusto ricordarlo in questo modo – che non distinsero in maniera marcata, o forse del tutto, l’impegno politico e l’azione dall’impegno nello studio, nella poesia e nella prosa.

Proprio la bella antologia di Della Peruta intitolata “Uomini e idee dell’Ottocento italiano” (Franco Angeli)– che consiglio nonostante il prezzo di 20 euro per la semplicità e la scorrevolezza con la quale gli argomenti sono trattati-, mette in evidenza che il XIX secolo di belle teste e bei cuori come Nievo ne ebbe molti, a volte tanto acuti e bizzarri quanto poco noti; nel poeta padovano è però molto interessante sottolineare, proprio perché persona asciutta ed istruita, l’autentica venerazione che costui ebbe nei confronti della figura di Giuseppe Garibaldi, col quale salpò da Quarto assieme a Nino Bixio, a bordo del battello “Lombardo”.

La figura di Garibaldi, si è detto proprio di recente, andrebbe depurata da quella sterile mitologia di stampo anticlericale che ancora oggi – a duecento anni esatti dalla nascita -, continua ad accompagnarlo; ma fu indubitabilmente persona di grandissimo fascino. Sciupafemmine di prima classe, con i disertori si dice avesse il plotone d’esecuzione piuttosto facile, ma anche doti umane non comuni ed un inguaribile “pollice verde” – oggi si direbbe così – che lo avrebbe spinto ad affrettarsi dopo l’incontro di Teano, perché gli erano state regalate delle sementi che voleva piantare a tutti i costi. Né si può escludere sia stato un bandito o quantomeno un predone – come qualcuno ha sottolineato – nelle molte campagne militari sostenute al di qua ed al di là delle Colonne d’Ercole.

Quel che conta qui è l’immagine che ci lascia Nievo nella raccolta di versi “Gli amori garibaldini”, componimento che fra l’altro ha contribuito notevolmente alla costruzione del mito dell’Eroe dei due Mondi, di cui si è parlato sopra.

Ha un non so che nell’occhio,
che splende dalla mente
e a mettersi in ginocchio
sembra inchinar la gente;
pur nelle folte piazze
girar cortese, umano
e porgere la mano
lo vedi alle ragazze

[…]

Stanchi, disordinati
lo attorniano talora,
lo stringono i soldati.
D’un motto ei li ristora,
divide i molti guai,
gli scorsi lor riposi,
né si fu accorto mai
che fossero cenciosi

[…]

Conscio forse il cavallo
di chi gli siede in groppa,
per ogni via galoppa
né mette il piede in fallo.

Talor bianco di spume
s’arresta, e ad ambi i lati
fan plauso al loro nume
la folla dei soldati.

Nievo, dopo l’impresa dei Mille e le guerre d’indipendenza, morì giovanissimo nel naufragio del piroscafo Ercole, nel 1861; non prima però di averci lasciato le sue “Confessioni di un italiano”.
«Quanto sei bella, quanto sei grande, o patria mia in ogni tua parte!»
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