29 ottobre 2006

La falce della luna

La falce della luna di Francesco Ogliari (tratto da "La Prealpina" del 15 ottobre 2006)

L’hanno paragonata a un’immensa falce di una luna sfrangiata d’oro e argento dalla sabbia e dalle schiume del mare, da un estremo all’altro dell’arco nel quale si distendono le due Riviere.L’Appennino, come sorta di ramaglia staccata dal tronco delle Alpi, aggredisce da presso le zone costiere con le sue catene trasformate in altrettante masse rocciose dall’aspetto di ricami che si gettano a picco o dolcemente in acqua, un’acqua eternamente blu. Quando non assume tonalità nerastre su cui s’evidenzia il chiarore delle ondate nei giorni di tramontana. Le cime fanno da fondale immediato a paesaggi da presepe dove non mancano palmizi e giardini. Ci sono insenature e vallate dove meno di dieci chilometri a volo di uccello separano in dislivello di mille e trecento metri: il paesaggio montano immerge l’estremità nelle onde azzurre.Ripidi e velleitari, i corsi d’acqua s’appianano solo in prossimità dello sbocco in mare dopo un bizzoso percorso dall’alveo quasi sempre in secca e graziosamente concesso a giochi di bambini, razzolare di polli e anatroccoli, alte erbe e cespugli, qualche fiore cresciuto tra i sassi su una zolletta di terra. Succede a volte improvviso, nell’estate arida e afosa, uno di quegli acquazzoni scesi dalle vette non lontane. Il letto asciutto si riempie bruscamente di flutti furiosi portando al largo nelle acque ogni sorta di materiale travolto dall’iraconda gittata, salvo che il mare non voglia ricevere questa bizzarra contaminazione di arbusti, rottami, sporcizia e il tutto finisca, calato il vento e inarcato l’iride che segna la fine del temporale, per stratificarsi nell’ultimo tratto pianeggiante del fiumiciattolo. E’ nelle stagioni di mezzo che dovremmo rivisitare luoghi d’alto richiamo, celebrati per bellezza d’ambiente e clemenza d’atmosfera. Come la principessa sul pisello, questa splendida terra dei Liguri (il popolo di più antica stirpe nella tradizione storica: ma di lui né qui né altrove c’è la minima traccia) non teme soprassalti di clima, fremere di masse tettoniche, arsura o siccità o volenza di mare o manomissione d’asfalto, acciaio, cemento.Raffiche di maestrale accompagnano un’alba livida dopo aver flagellato per l’intera nottata la costa occidentale, una pioggia più stizzosa che intensa che piega le palme così da farle sembrare imbizzarrite, sbatte sulle persiane, solleva e rovescia gli ombrelli, scende di traverso e non dà requie, come se il mare avesse deciso d’innaffiare gli alti terrazzi costruiti da generazioni di floricoltori e contadini sui fianchi delle aspre colline, elemento tipico del paesaggio.I lampioni sul lungomare di Bordighera fin verso mezzanotte tenuti accesi al completo, cioè a grappoli di tre globi, sul far del giorno per ovvie misure antispreco s’accontentano di offrire una pallida luce quasi lunare ai pochi passanti indotti da ragioni di lavoro ad affrontare il maltempo: una lampada sola per ogni palo, presto anche quella si spegnerà quando la cellula fotoelettrca avrà deciso a suo inappellabile giudizio che è giorno fatto. Dov’è il sole, dov’è il clima incantato che ha messo le ali ai madrigalisti, poeti e viandanti di mezzo mondo che l’hanno visto come fonte di luminosa chiarezza e ingentilire le facciate d’umili case di pescatori come quelle dei palazzi, donando i riflessi di velluto e seta anche a qualche straccio appeso tra due muri ad asciugare?Letteratura d’occasione, di circostanza. Marinetti, non sprovvisto davvero d’ingegno, la chiamava letteratura ferroviaria: libri gialli, parole incrociate, raccolte di barzellette, rotocalchi di svago, romanzi rosa del calibro d’una "Madonna degli Sleeping-Cars" di Maurizio Dekobra o un poco più impegnati come ne suggerivano i favolosi convogli, gli Orient Express, all’Agatha Christie e a Graham Greene.In certi paesi dalle parti del Col di Nava fra il Tanaro e l’Arroscia, immersi tra i castagni e gli ulivi sopra il mare di Oneglia, nei primi giorni di maggio le ragazze trovavano al risveglio un rametto sul davanzale: se era di pino significava omaggio (non disinteressato) alla beltà della fortunata figliola, saggia ancorchè molto piacente; un rametto di ciliegio le faceva capire che doveva considerarsi piuttosto civetta; un pezzetto di mimosa ne evidenziava volubilità, leggerezza, in una parola inaffidabile. Disapprovati anche i vedovi che si consolano passando a seconde nozze: rumorose manifestazioni a notte - le baccilate - avvertivano i nuovi sposi che i giovani avevano qualcosa da dire.Rito ormai andato in disuso, avevano un loro fondo pagano che si ritrovava magari alle stesse cerimonie funebri come la veglia attorno alla bara collocata sul focolare spento.Deserto e triste, dal famoso Muretto di Alassio, una ragazza dall’ampio pastrano bordato di visone ai polsi e al collo. Di malumore come il tempo, non ha quasi sollevato lo sguardo dal libro - l’Ulisse, di Joyce -. Così sussiegosi grigi pensieri, in un contesto d’agitata, dolce malinconia di stagione.

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