03 agosto 2006

"Il filo e le tracce" di Carlo Ginzburg

La finzione nutrita dalla Storia (tratto da La Prealpina del 25 luglio 2006)

Come molti degli storici più acuti, anche Carlo Ginzburg ha dedicato un libro ad un problema filosofico, e di non poco conto: il rapporto tra il vero e il falso in cui, per chi fa il suo mestiere, si inserisce anche un terzo incomodo, il 'finto’. Che cosa è una 'fonte’? Quando si può definire 'vera'? E se risulta falsa, o finta (per esempio un'opera letteraria), va per questo scartata dal lavoro dello storico? Pur ricco di note e rimandi dottissimi, che al lettore comune appesantiscono non poco il percorso, 'Il filo e le tracce' procede senza noia tra gli argomenti e i temi più diversi per rispondere in modo non scontato a quelle domande: si parla della conversione degli ebrei di Minorca, degli sciamani, dei 'Protocolli dei Savi di Sion', dei cannibali brasiliani, di Stendhal, della cosiddetta 'microstoria’ e dell'Inquisizione. Il risultato è un percorso spericolato e appassionato che, al di là dell'interesse dei singoli argomenti (alcuni hanno sul lettore non specialista decisamente meno appeal di altri), ci spinge a non credere alla facile dissoluzione della «distinzione tra narrazioni storiche e narrazioni di finzione» ma anche a prendere atto e a ragionare sul ricco «inventario delle forme assunte dalla finzione al servizio della verità». Per provare quanto meno a mostrarlo in parte, Ginzburg ha preferito un elenco di «casi concreti», storie in miniatura in cui questo inestricabile rapporto si evidenzia e che «pongono una domanda senza fornire la risposta, segnalando una difficoltà irrisolta». «Nessuno - scrive Ginzburg - penserà che sia inutile studiare false leggende, falsi eventi, falsi documenti: ma una presa di posizione preliminare - che per Ginzburg è, oltre che una posizione professionale, anche etica e politica - sulla loro falsità e autenticità e, di volta in volta, indispensabile». E da questo punto di vista il capitolo sui famigerati Protocolli antisemiti è particolarmente significativo perchè da esso, benchè riconosciuto come falso, lo storico può far emergere molte «cattive cose nuove», cioè «verità sgradevoli su cui vale la pena di riflettere».
Dunque c'è il 'filo’, il filo del racconto, quello che vogliamo dire e dimostrare, ma ci sono anche le 'tracce', cioè «qualcosa di opaco», «elementi incontrollati» che ogni testo, letterario o documentario, lascia dietro di sè, e di cui lo storico può e deve tener conto. E' la «finzione, nutrita dalla storia» che diventa materia di riflessione, come nel caso dei processi per stregoneria che ci dicono molto di più sulle vittime della persecuzione che sulla persecuzione stessa (di per sè monotona e ripetitiva). Un caso tipico, per Ginzburg, di come si possa arrivare alla conoscenza del vero partendo dal finto e dal falso, come già nel caso dei Protocolli e come, in fondo, in quello più noto a tutti gli studenti del mondo, dell' Odissea di Omero.
«Gli storici, scrisse Aristotele - è la conclusione di Ginzburg - parlano di quello che è stato (del vero), i poeti di quello che avrebbe potuto essere (del possibile). Ma naturalmente il vero è un punto di arrivo, non di partenza. Gli storici (e in modo diverso i poeti) fanno per mestiere qualcosa che è parte della vita di tutti: districare l'intreccio di vero, falso, finto che è la trama del nostro stare al mondo». E forse non è un caso che il maggiore successo popolare di Ginzburg sia stato 'Il giudice e lo storico’, il libro con cui ha voluto ricostruire, da storico che analizza le carte giudiziarie, il controverso caso Sofri.

(Carlo Ginzburg – Il filo e le tracce – Feltrinelli - 338 pp. - 25 euro).

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