08 giugno 2018

“Vicolo Calusca” di Umberto Lucarelli a cura di Vincenzo Capodiferro


VICOLO CALUSCA
Una memoria che è flusso, semplice amore del tempo”

Vicolo Calusca” è l’ultimo libro di Umberto Lucarelli, edito da Bietti, a Milano, nel 2018. «Vicolo Calusca è un cammino interiore e un andare per le vie del Ticinese sulle tracce dei luoghi dell’estrema sinistra milanese dei cosiddetti anni settanta … I volti, le vite, le scelte delle persone che in quegli anni, in quelle strade, in quella città – Milano -, si sono raccolte attorno alla libreria Calusca di Primo Moroni e hanno sognato una rivoluzione». Umberto Lucarelli ha pubblicato diverse opere che abbiamo anche recensito in questo sito. Ricordiamo le ultime: “Sangiorgio e il drago”, Ibis 2008, “Rivotrill”, Bietti 2011; “Commiato”, Bietti 2014. Ci sono state diverse ondate rivoluzionarie: 1848; 1917; 1968; 1977, tra le ultime, non vogliamo scomodare l’89 francese, o la Pacifica e Gloriosa Rivoluzione, se ci è permesso ammettere una rivoluzione pacifica. Ma esempi non ne sono mancati: la rivoluzione della gandhiana non-violenza fa da eco alla pacifica Rivoluzione inglese. La storia d'altronde è costellata di rivoluzioni. Ma tutto è svanito? Ancora oggi si dice: è successo un quarantotto! Per ricordare il 48 europeo! E che cos’è “Vicolo Calusca? «”Vicolo Calusca è un libro sulla memoria,» annota nella prefazione Tommaso Spazzali: «Qui invece la memoria è la vera protagonista». «Sulla vita di Moroni, poi, Lucarelli non può aver dubbi, ha in mano ciò che un tribunale chiamerebbe la prova regina, una confessione in cui Primo Moroni racconta tratti importanti, rari, talvolta sconosciuti della propria vita. Si tratta di numerose audio-cassette, registrate nella seconda metà degli anni ottanta, in cui primo parla e Umberto ascolta». Una cosa si è capita: la rivoluzione ha bisogno di rivoluzionari. Senza i rivoluzionari, cioè le menti, le ideologie, tanto oggi contestate e bollite nel calderone della società liquida baumaniana, le rivoluzioni non si fanno. L’Illuminismo prepara la Rivoluzione Francese, il Socialismo la Rivoluzione Russa. Vero è che il popolo partecipa o poco, come nel Risorgimento, o alla fine, perché come diceva Cuoco, «il popolo si muove solo per fame», ma dipende dalla fame. A volte il popolo ha fame e sete di idee più che di pane e vino. Panes et circenses non risolvono tutti i problemi. Primo Moroni è uno di questi rivoluzionari. Ecco un bel quadretto che ce ne offre Umberto: «Da ragazzo facevo riunioni, per cambiare il mondo e la società. Moroni parlava ed io l’ascoltavo, intanto anche lui beveva mentre parlava, e un po’ di schiuma di birra rimaneva sui suoi baffi lunghi fini e filacciosi, il suo viso era di un colore un po’ giallognolo e qualche pelo lungo qua e là disseminava una barbetta pelosa che non si poteva chiamare barba, forse una specie di pizzetto sfilacciato. Aveva iniziato a lavorare nelle trattorie che suo padre apriva e che poi puntualmente fallivano e che poi riapriva e nelle trattorie aveva conosciuto gli operai del PCI e si era iscritto anche lui al PCI fino a quando dopo la morte di Ardizzone nel 1962, schiacciato dalle camionette del Battaglione Padova durante una manifestazione a favore di Cuba aveva visto il vero volto del partito ed insieme ad altre centinaia di compagni non rinnovò più la tessera». Quanti compagni delusi? Chi erano i veri rivoluzionari? Lenin, Trockij, Che’! Ed i falsi? Stalin?! La rivoluzione aveva preso una brutta piega. Come l’89 aveva prodotto il bonapartismo, il 48 aveva prodotto l’imperialismo, il 17 aveva prodotto il totalitarismo, di cui lo stalinismo riveste una buona parte. Ad un certo punto possiamo dire chiaramente. Borghesia capta ferum victorem coepit. Il problema è che le ideologie non sono sparite nel nulla. Guardate cosa succede oggi? Un’altra “Onda” rischia di risucchiare tutta l’Europa, quella del nazionalismo sfrenato. Come ravvisava Bobbio prima di morire: torneranno i nazionalismi e le guerre di religione! E la Sinistra dove è? Ci sono i rivoluzionari di destra, i populisti al contrario, i nuovi Narodniki, i nuovi Nihilisti, che ricordano i “padri e figli” di Turghenev. Da dove proviene quest’onda? Proprio da est, dalla Russia! Il post-comunismo si è trasfigurato in neonazismo, in Russia coi nuovi Zar, in Cina coi nuovi Imperatori laici. Ma questa operazione di nazionalizzazione del socialismo era stata già avviata da Stalin. Egli ha corrotto la rivoluzione, si è lasciato abbindolare da Hitler. Eppure l’Europa intera nel 68 e nel 77, il principio a la fine dell’onda, come chiaramente delinea il Lucarelli, respira di nuovo l’ondata rivoluzionaria. Alla fine ha vinto il nazismo: Germania capta ferum victorem coepit. Moroni l’aveva capito bene: «Era necessario fare una netta distinzione tra gli anni ’70 ed il ’77. Io in fondo ho vissuto solo gli ultimi anni delle lotte vere e proprie, quando ormai stava andando tutto alla malora, mi sono detto sulla strada di sera: sono stato travolto dagli anni Ottanta che sono stati anni di risucchio, come un’onda che torna indietro e sbatte sulla rena tutti i residui, gli amici che si sono perduti…». Vicolo Calusca ci offre uno spaccato interessantissimo della Milano sessantottesca. Il giovane Umberto Lucarelli vive intensamente quel periodo foriero dal 1968 al 1977. Umberto è un giovane intellettuale, un rivoluzionario ardito, un sentimentale, fino al ristabilimento dell’ordine sociale degli anni Ottanta: un periodo di ribollimento sociale, economico. Il 1968 è l’ultima rivoluzione europea, paragonabile al 1848. La rivoluzione del sessantotto è un’estensione del 17, fatta dai veri comunisti, gli idealisti, i delusi, non gli asserviti al potere, gli “yes man”, non Stalin, ma le vittime dello stalinismo! Stalin ha fatto fuori tutti i veri rivoluzionari, Trockij in primis. Egli è la controrivoluzione. Egli ha nazionalizzato il socialismo. Il suo fu solo un nazional-comunismo borghese, parallelo al nazismo. Perciò favorì Hitler. Perciò il patto Ribbentrop-Molotov: lasciò basiti i compagni veri! Il putinianesimo è il diretto discendente dello stalinismo. Il Sessantotto in Italia fu una rivoluzione attiva o passiva, come quella risorgimentale, come venne delineata nei “Quaderni” da Antonio Gramsci? «Le idee hanno sempre pervaso tutto il mio essere, decine, centinaia, migliaia di idee, idee di tutto, idee di niente, idee che all’improvviso si manifestavano come incendi e iniziavano a divampare, mettendo in moto altre idee,» scrive Umberto. Gramsci risponderebbe: le idee hanno mani e piedi. Milano di nuovo nel 1968 vive le sue gloriose “cinque giornate”. Di nuovo è la protagonista - Milano - la nuova regina d’Italia. C’è di nuovo la lotta di classe. Ma tra quali classi? Le nuove classi sono la classe dominante e la classe dirigente. Gramsci aveva visto bene. Umberto apparteneva alla classe degli intellettuali, allora: come primo Moroni, come tanti altri, come quel segreto che ha legato «Bellini, Scalzone, Brancher, Crocé, Timini, Barbierato, Nessunozero, Buonfino, Lucarelli, Moroni, e tutti gli altri, compresa quella sequela di avvocati e avvocatesse che spuntano da tutte le pagine, ogni volta con un diverso ruolo». Il Partito doveva e poteva diventare, come voleva Gramsci, il moderno Principe machiavellico. Ma quell’onda di risucchio - gli anni Ottanta - ha distrutto tutta la fucina degli intellettuali. Alla fine ha prevalso la classe dirigente. I rivoluzionari, gli intellettuali sono stati fatti fuori. È la fine. E poi le generazioni del 68 erano sanguigne, le nuove generazioni sono flemmatiche. Il testo di Lucarelli si legge tutto di un fiato, non vi sono interruzioni, capitoli. Parla il cuore, il ricordo ha a che fare con cor: ciò che rimane nel cuore. Sottolineiamo ancora solo l’incontro con Merini: «Alla Pontremoli avevo conosciuto Merini, la poetessa dei Navigli, ma l’aveva presentata la Di Maio, la signora elegante della libreria, Merini mi diceva – mi ricordo ora – Non devi leggere devi scrivere, leggere non serve a niente». Il linguaggio, lo stile, somiglia molto a quello di Passeri: ermetico, scarno, essenziale, ricorsivo. Anche la punteggiatura futurista rispecchia il linguaggio del cuore, quello non-verbale, che si interseca con quello verbale. In questo quadro, cui rimane attaccata la mente di Lucarelli, si può notare la nostalgia di una rivoluzione mancata, il grande rammarico ed il pianto degli intellettuali, la memoria della contestazione giovanile. Ad ogni rivoluzione di solito segue un’involuzione, un totalitarismo. Vogliamo ricordare Cromwell, o Robespierre, o Napoleone, o Stalin, con tutto ciò che nel bene o nel male hanno combinato? Però questi eventi non sono passati invano. I valori sono passati, anche se gli eroi sono morti, se i potenti sono tornati a trionfare, se i fascismi stanno riconquistando l’intera Europa.

Vincenzo Capodiferro

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