VIA ROMAN SUR ISÈRE di Umberto Belardinelli a cura di Vincenzo Capodiferro
VIA ROMAN SUR ISÈRE
Un suggestivo romanzo esistenziale di Umberto Belardinelli
È uscito alle stampe “Via Roman sur Isère”, romanzo di Umberto Belardinelli, editore Salvatore Monetti.
«“Via Roman sur Isère” non è un semplice romanzo, è un crogiuolo di tesori narrativi che fondono e si intrecciano tra trame psicologiche e di formazione. Protagonista è questa altolocata via varesina, che come il palco di un teatro, accoglie l’Erlebnis dell’autore, un joyciano flusso coscienziale, in riferimento ai fatidici anni Settanta. La famiglia di Umberto Belardinelli, si era recata dalla Sicilia, già dal 1956, e precisamente dalla falce messinese a Varese. Dal 1967 si trasferisce a Via Romans sur Isère, una via che ci rammenta un centro francese, con cui Varese era entrata in gemellaggio. Si ricordano, gli amici, le avventure, le corse in bicicletta, le scappatelle sulle rive di magici stagni, le feste all’Europea, gli ingenui furti, tutte storie che vanno a ricomporre un meraviglioso puzzle esistenziale, un mosaico di ricordi. Come scrive l’autore: «La nostra esistenza è un percorso formato da molte vie e sembra quasi che ogni situazione, ogni periodo più o meno felice, segua un itinerario preciso, pare che riconosca tra molte, la strada giusta da percorrere. Un futuro già scritto? Forse»». Umberto Belardinelli, siciliano di nascita, varesino di adozione, classe 1956, fin da giovane ha amato la poesia e ci ha lasciato varie raccolte, dense di significato e di profondità: “La luce duplice del bene. Silloge per S. Faustina Kowalska” (2019); “L’albero de tempo” (2020); “Stella del mare” (2021); “Ontologia poetica (Figli di un Dio segreto)” (2023). Con il presente romanzo - “Via Roman sur Isère” - si cimenta con la narrativa, lasciandoci un vero e proprio diario esistenziale che ricorda gli anni della crescita e dell’avventura.
“Via Roman sur Isère”, che riprende un ‘paesaggio’ francese, gemellato a Varese, non è solo un romanzo, è la via dei ricordi, è un topos dell’anima, dove passa gente, amici, vivi e morti, giovani che si divertono con una semplicità disarmante, come era negli anni Settanta. Non c’erano cellulari, qualche telefono, qualche televisore, e tanto amore, c’erano slitte, biciclette, non come le biciclette odierne, che si affastellano sulle strade, e poi senti le bestemmie degli autisti, perché non si spostano. Il sottofondo è quasi simile a quello di un pasoliniano “Ragazzi di vita”. Si intrecciano storie, vissuti diversi, di gente che c’era e gente che veniva da lontano, trasportata dal flusso della vita, dalla ricerca del lavoro, inseguendo un mito. Una chitarra ed ecco: “Tanto pe’ canta!”. Si suona e si canta dove capita, anche sugli alberi, come Adamo ed Eva ad ascoltare i sibili serpentini, a consumare le mele dell’amore. Umberto come poeta è profondo, ma anche come narratore: non si ferma alle apparenze, ma si introduce nei meandri del cuore, negli abissi dell’anima. Abbondano le descrizioni, i flussi di coscienza, la narrazione scorre come un fiume, ora fluente, ora più lento, per poi ridiscendere con un sì e con un no a cascata. Si è portati dalla corrente del Panta rei. Quegli anni poi per Umberto sono gli anni dei fiori della giovinezza, ma anche dei figli dei fiori. Sono anni intensi, in cui si respira aria rossa, profumi di rivoluzioni, dappertutto, soprattutto nell’Italia del Nord, a Milano, e poi a Varese, lì ci sono fabbriche. Oggi è rimasto poco di quel parco archeo-industriale che era tutta la provincia di Varese. Il testo è stato presentato sabato, 29 novembre, presso la sala Kolbe di Varese. Ha annotato acutamente Carlo Zanzi a proposito: «In sala Kolbe, questo pomeriggio, sedevano molti dei protagonisti del romanzo di Umberto Belardinelli, poeta e ora anche narratore. Sedevano i ragazzi della piazzetta di via Romans sur Isère, al Montello, quel gruppo favoloso che nei fantastici anni della loro giovinezza … animavano i pomeriggi, le serate, le lunghe estati di un tempo che non si scorda, tanto che uno di questi ragazzi di allora, abile con la penna, ha sentito il dovere e il piacere di tramandare ai posteri quelle gesta, quelle avventure, memorabili per chi le ha vissute, interessanti anche per chi ora le può leggere, pur abitando altrove». Per l’occasione è intervenuto Lucio Filiti.
Salvatore Monetti, autore-editore, fotografo, artista, come sempre ha saputo intercettare queste sorgenti di inchiostro puro e genuino. Chi meglio di lui poteva farlo? Un editore che è egli stesso autore può capire bene certe cose. Siamo in tempi difficili. Questo romanzo è una autentica testimonianza di vita, un sussurro che ti scorge da lontano e ti racconta, proprio come facevano i vati antichi, all’orecchio, ciò che è passato, ma che non si dimentica, perché parla il cuore, fonte del ricordo, cioè del ritornare al cuore.
Vincenzo Capodiferro

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