Palazzo “TURSI”… ma che vuol dire “TURSI”? a cura di Giovanni Gatto
Iniziamo una serie di articoli sulla città di Genova a cura di Giovanni Gatto
Palazzo “TURSI”… ma che vuol dire “TURSI”?
Palazzo Tursi, oggi sede del comune di
Genova, fu costruito a partire dal 1560, nell’ambito della grande
ristrutturazione della zona di Via Nuova (oggi Via Garibaldi), per
conto di Nicolò Grimaldi. È il più grande dei Palazzi dei Rolli,
poiché costruito su oltre due dei lotti di terreno messi all’asta
nel 1555 dalla Repubblica di Genova.
Nicolò Grimaldi era il
banchiere più ricco di Genova, chiamato “u sciù re”, per le sue
enormi ricchezze; si dice che lui amasse addirittura farsi chiamare
“u re di re”, poiché quasi tutti i regnanti d’Europa, grandi e
piccoli, erano indebitati con lui. Purtroppo per il nostro Nicolò, i
re di Spagna avevano, a quei tempi, il vizietto di dichiarare
bancarotta quando non riuscivano più a ripagare i debiti o anche
semplicemente gli interessi sul debito.
Dal al 1570 in poi, i
monarchi e i nobili di Spagna, impegnati in costose guerre con la
Francia e vittime della pirateria inglese che colpiva i mitici
“galeoni” che portavano in Europa – talvolta direttamente a
Genova - le ricchezze delle Americhe, iniziarono a pagare gli
interessi cedendo terreni, città e titoli nobiliari dell’Italia
del Sud.
Infine intorno al 1580, con la definitiva dichiarazione
di insolvenza della corona di Spagna, Nicolò dovette ridimensionare
il suo stile di vita (tranquilli! Non divenne povero…) e nel 1593
fu costretto a vendere anche il suo palazzo a Giovanni Andrea Doria,
nipote del grande Ammiraglio e pure lui banchiere, che lo diede in
dono al figlio, insieme al titolo nobiliare di Duca di Tursi.
A
proposito: Tursi è un paesino della Basilicata, in un angolo remoto
della provincia di Matera, di neanche 4000 abitanti, il cui unico
vanto, credo, sia quello di dare il nome al più grande palazzo di
Genova.
Ultima genovesissima nota: Nicolò Grimaldi pur
vantando ricchezze enormi condusse una vita piuttosto ritirata e
defilata dalle contese politiche del tempo. Da buon Genovese si
mostrava poco in pubblico, non dava feste se non in occasione
dell'arrivo di qualche importante ospite venuto nel suo palazzo a
chieder palanche in prestito, e di lui non esistono ritratti
ufficiali, come invece era consuetudine tra i nobili e i ricchi, che
spesso chiamavano a Genova i migliori artisti del tempo per farsi
immortalare: "Maniman ne vegnan a rumpì u belin"...
Per i non genovesi, l'ultima frase è una tipica espressione genovese, che si potrebbe tradurre con "magari, finisce che vengono a rompermi le scatole".
© Giovanni Gatto
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