James Ellroy Dalia nera a cura di Marcello Sgarbi


James Ellroy

Dalia nera(Edizioni La Biblioteca di Repubblica)


Formato: Copertina rigida con sovraccoperta

Pagine: 192

ISBN: 9770390107900


La letteratura del mistero è fitta di figure di donne vissute dai loro autori come vere e proprie ossessioni.

Fra i casi più emblematici ci sono quelli di Ligeia, Berenice, Morella, protagoniste degli omonimi racconti di Edgar Allan Poe: un punto di riferimento fondamentale per tutti gli scrittori, tanto più nel genere poliziesco di cui il bostoniano è stato precursore creando il personaggio di Auguste Dupin, che con La lettera rubata nel 1844 inaugura il romanzo di indagine.

Sì, certo, gli si potrà contrapporre il Wilkie Collins di La pietra di luna, ma il giallo dell’inglese – collaboratore, fra l’altro, di un certo signor Charles Dickens - arriva nel 1868, più di quarant’anni dopo il racconto di Poe.

Nel 1987 è ancora un americano, James Ellroy, a dare corpo ai suoi incubi trasponendo il fantasma della madre – uccisa quando lui aveva solo dieci anni – nel personaggio di Elizabeth Short, meglio conosciuta come Dalia Nera.

E in questo senso, l’esergo di questa edizione è quanto mai eloquente.

La Short, un’aspirante e avvenente attrice, nota con il soprannome di Dalia Nera nell’ambiente dei locali notturni, è l’identità chiave nonché la protagonista del noir omonimo, vittima di un crimine atroce ed efferato commesso nella Los Angeles disperata e senza possibilità di redenzione, luogo di nascita dello scrittore e già teatro di quasi tutte le sue opere.

Da Prega detective a La collina dei suicidi – il primo vero successo editoriale di James Ellroy – da Le strade dell’innocenza aWhite jazz, per continuare con L.A. Confidential e con l’autobiografico I miei luoghi oscuri, è ancora lo scenario losangelino a fare da sfondo a una vicenda torbida e inquietante.

Dopo il ritrovamento del cadavere della Dalia Nera, sfigurato e massacrato, sono due poliziotti appassionati di pugilato ad essere coinvolti nella vicenda in un modo così pervasivo da arrivare a pregiudicare le loro stesse esistenze.

Il tenente Lee Blanchard e l’agente Dwight “Bucky” Bleichert, complici nell’investigazione e avversari sul ring, ma combattuti anche nella loro relazione con Kay Lake – eccezionale comprimaria dei due protagonisti – saranno sempre più condizionati dai loro problemi personali. Tanto che l’esito delle indagini avrà quasi più un sapore di sconfitta che di vittoria.

Da questo capolavoro di James Ellroy – forse il migliore che abbia mai scritto -teso, asciutto, dal ritmo serrato come tutti i suoi libri, è stato tratto il film Black Dahlia diretto nel 2006 da Brian De Palma.

E a proposito di cinema, nonostante la bravura del trio di attori composto da Josh Hartnett, Aaron Eckhart e Scarlett Johansson, secondo me la pellicola non riesce a trasmettere lo stesso livello di tensione garantito dall’opera originale di Ellroy. Anche – è il mio parere – per certe libertà che il regista, peraltro fra i miei preferiti, decide di prendersi.

Una nota a margine: la traduzione del libro in questa edizione - una delle tante che, se ve lo ricordate, apparivano tempo fa in edicola in allegato a quotidiani e periodici – è a cura di Luciano Lorenzin. Pur non raggiungendo i vertici di Carlo Oliva, traduttore di buona parte dei noir di James Ellroy, come per esempio White jazz o L.A. Confidential – Lorenzin si fa apprezzare per l’essenzialità e la precisione.

Si era fatto pomeriggio inoltrato e senza più Koenig addosso mi sentivo come un facchino a cui era stata tolta la soma”.

De Witt scoppiò a ridere. Una risata selvaggia, di quelle che tolgono il dolore per poi farti stare peggio”.

Voltandomi mi ero trovato di fronte un vecchio corpulento. Il viso pareva uno strato di cuoio disteso sopra un ammasso di ossa rotte. Pareva un punching ball, ma la voce non era quella di un pugile suonato”.

Il direttore mi rivolse lo sguardo che di norma si rivolge a uno scarafaggio sgattaiolato fuori dal muro e mi informò che Kay aveva presentato le dimissioni il giorno stesso in cui erano apparse sui giornali le notizie che mi riguardavano”.


© Marcello Sgarbi 


 

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