Miriam Ballerini – Fiori di serra - a cura di Marcello Sgarbi
Miriam Ballerini – Fiori di serra -
Formato: Copertina flessibile
Pagine: 254
ISBN: 979-8511965703
Le esperienze di racconto della propria condizione di carcerato in cui finora mi sono imbattuto non sono molte. C’è il rotolo che contiene il testo di Le centoventi giornate di Sodoma: 11 metri e 88 centimetri di foglietti larghi 11,3 centimetri, incollati l’uno all’altro e scritti di nascosto, su entrambi i lati, con una calligrafia fitta e minuta dal marchese Donatien Alphonse de Sade nel 1785, mentre si trovava nelle prigioni della Bastiglia. Perso e recuperato più volte venne pubblicato soltanto settant’anni dopo, nel 1905, ispirando anche uno scrittore nonché regista celebre quale Pierpaolo Pasolini per il film Salò o le 120 giornate di Sodoma. Una delle più drammatiche testimonianze di detenuto è quella di Primo Levi in Se questo è un uomo, cronaca di un sopravvissuto all’interno del campo di concentramento di Auschwitz.
In tempi molto più recenti, poi, si può ricordare il resoconto delle proprie giornate in cella riportato da Edward Bunker in Come una bestia feroce, un libro che peraltro ho già recensito in questo spazio. Certo, non sono gli unici esempi.
A loro si potrebbero aggiungere classici della letteratura a volte addirittura adottati come libri di testo, quali Le mie prigioni di Silvio Pellico o il Don Chisciotte di Miguel de Cervantes, racconto epico – inizialmente intitolato L’ingegnoso hidalgo Don Chisciotte della Mancia, la cui origine è attribuita dall’autore stesso al periodo della sua detenzione a Siviglia. O le Lettere dal carcere di Antonio Gramsci.
O ancora – ma qui la condizione di chi narra è quella di una reclusione forzata a causa di un incidente aereo – il Notturno di Gabriele D’Annunzio: un diario intimo, introspettivo, riflessivo, scritto nel 1916 dal vate su sottili strisce di carta perché impedito dalla cecità, le cosiddette “liste sibilline”. Raccolte e riordinate dalla figlia Renata, vennero poi pubblicate nel 1921, cinque anni dopo.
Miriam Ballerini, invece, titolare di questo blog, un paio di anni fa con L’altro io – un noir che alla sua uscita ha suscitato notevole attenzione e riscosso un rilevante successo - ci ha fatto conoscere l’esperienza carceraria a partire da due punti di vista diametralmente opposti: quello di Nicla, la giornalista protagonista del romanzo, e quello del mostro delle lacrime, il serial killer antagonista della donna. In L’altro io c’è un momento nel quale, proprio nel carcere in cui è detenuto il criminale, i due si confrontano, evocando il faccia a faccia fra Clarence Sterling e Hannibal Lecter di Il silenzio degli innocenti. Prima ancora del suo esordio nel noir, però, Miriam Ballerini ha voluto provare di persona che cosa significhi vivere la quotidianità in una cella. Dopo avere pubblicato nel 2002 il suo primo libro, Il giardino dei maggiolini, l’autrice l’anno seguente ha esplorato da vicino e con fine scavo psicologico l’umanità nelle pagine di Dietro il sorriso del clown. E ancora di più in La casa degli specchi e Bassa marea, editi entrambi nel 2005. Sondare i misteri, le contraddizioni, i conflitti dell’animo umano è del resto una costante della scrittrice e poetessa appianese. Tanto che per Fiori di serra – pubblicato nel 2008 – aveva chiesto all’allora direttrice della Casa circondariale “Il Bassone” di essere incarcerata nella sezione femminile. La storia raccontata da Miriam in questo avvincente romanzo ha per protagoniste proprio le donne. Il personaggio centrale intorno a cui ruota la narrazione di Fiori di serra è Gloria, spinta a delinquere da Ivan – coprotagonista - forse quando lei per prima non lo vorrebbe. E nell’epilogo la donna sembra quasi trasformarsi in un alter ego della scrittrice, in un vis-a-vis che mette a confronto da una parte la consapevolezza di chi commette un crimine e dall’altra chi non vuole giudicare o condannare ma cercare soltanto di comprendere quale meccanismo possa portare a commettere un reato. La figura femminile conserva il suo ruolo di primo piano anche oltre l’epilogo, quando per chiudere Fiori di serra la scrittrice sceglie di sostituire alle sue parole il messaggio contenuto nelle lettere di alcune detenute della Casa circondariale “Il Bassone”.
La chiave del romanzo, però, riassunta da Miriam Ballerini nella dedica in coda ai ringraziamenti che precedono la prefazione spiegandoci anche la ragione di questo titolo è, come scrive l’autrice, “A tutti quelli che sbagliano e che ai loro errori sanno dare un senso. A chi sa riconoscersi fiore anche se coltivato in serra”.
© Marcello Sgarbi
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