LE GLORIE DI MILANO Poema storico di Frate Stefanardo da Vimercate Traduzione di Vincenzo Capodiferro a cura di Marco Salvario
LE GLORIE DI MILANO
Poema storico di Frate Stefanardo da Vimercate
Traduzione di Vincenzo Capodiferro
Il
duecento è il secolo d'oro dell'età comunale. La popolazione delle
campagne si trasferisce nelle città e nei villaggi, dove sta
nascendo una nuova ricchezza basata sul commercio. Alla vita misera e
isolata nei feudi, fondata sul faticoso lavoro della terra, si
sostituisce un nuovo dinamismo economico e culturale, che da un lato
pone le basi per un'ancora confusa idea di Italia, dall'altro si
radica fortemente nella propria realtà locale, aggressiva verso
l'esterno e caotica al proprio interno.
I comuni si scontrano tra di loro in interminabili guerre, stringendo e rompendo alleanze, mentre al loro stesso interno si confrontano in crudeli lotte fratricide. La vita di Dante Alighieri, ghibellino esiliato da Firenze, sarà segnata da tali eventi. Tuttavia, il fenomeno comunale si sviluppa soprattutto in Lombardia.
Frate Stefanardo, nato a Vimercate nel 1230 e morto intorno al 1297, è testimone e cronista degli eventi che si svolgono tra il 1259 e il 1277, narrati nei due libri del suo poema in latino 'Liber de gestis in civitate Mediolanesi'. Lungi dal presentare un racconto puntuale e ordinato, l'autore si sofferma su episodi, su giudizi morali, sulla sofferenza degli sconfitti e sul ricordo dei morti in battaglia.
L'opera affonda le sue radici nelle grandi opere del passato, che sicuramente Frate Stefanardo conosceva molto bene - Eneide, Odissea, Iliade - e a sua volta ha influenzato autori come Dante, Petrarca e, successivamente, Manzoni, Carducci e D'Annunzio.
Gran parte delle opere di Frate Stefanardo sono purtroppo andate perdute e anche nel suo poema ci sono delle lacune, in parte compensate dalle parti in prosa che l'autore stesso aveva inserito prima di ogni capitolo.
Vincenzo Capodiferro, laureatosi in filosofia alla Sapienza di Roma, attualmente residente a Varese e da sempre poeta, scrittore e filosofo, ha tradotto l'opera in italiano. Nella presentazione spiega chiaramente che l'opera, una <piccola, tascabile, “Iliade” dei Visconti> - i Visconti diventeranno nel 1277 Signori di Milano - è da lui destinata ai giovani, <coi quali ogni giorno condividiamo i valori della trasmissione delle culture>.
La traduzione raggiunge il suo scopo offrendo un testo piacevole alla lettura, vivace nella trama e coinvolgente. Come l'originale, è arricchito di note che chiariscono riferimenti spesso oscuri per noi, sia per la distanza cultura che per epoca.
Non voglio raccontare, come nel poema, la trama delle vicende della città di Milano sotto l'arcivescovo Ottone Visconti, né la lotta tra le famiglie dei Visconti e dei Torriani. I primi rappresentavano la classe nobile e ricca, i cavalieri, mentre i secondi si erano eretti a difensori del popolo, che combatteva a piedi.
Già dai primi versi, in cui il poeta invoca le Muse, si respira un'atmosfera dai toni antichi eppure sorprendentemente moderna. Non vengono cantati il trionfo, la vittoria o la gloria, ma 'il pianto' doloroso che ogni guerra genera:
Di Milan canto il pianto e lotte di lite civile,
del Vescovo l’esilio, il dubbio ovunque ostile:
un trionfo?
Il pianto di Milano è soprattutto legato alle lotte violente interne, non alle città nemiche, né a conquistatori stranieri. È il dolore per una città amata con orgoglio, la cui gloria viene cantata a voce distesa:
Milano, ricca di eroi, di popolo potente,
città nota e felice, celebre da antico evo
Città
un tempo felice, ora precipitata nel dolore. Il desiderio di potere e
di dominio inaridisce i cuori: si scatenano la rivolta e la guerra.
Lo sguardo del poeta non celebra i vincitori in festa, ma si sofferma sugli sconfitti, sui miseri fatti prigionieri e umiliati. Il suo dolore è personale: Stefanardo lamenta la rovina della sua famiglia con un sentimento sincero e vivo. Un ricordo straziante è per il proprio padre:
Perché
verso un misero vecchio la spada non
arrossisce? Non misericordia, né canizie
giova, né antico amor patrio, né il servizio
prestato alla milizia fin dai più giovani anni.
Alcun suffragio giova al misero.
Colui
che un tempo era stato un cavaliere potente e arrogante, ora, nel
ricordo del figlio, è solo un misero vecchio.
Le battaglie non sono però finite: si cercano alleanze e appoggi, specialmente dal papato, inviando ambascerie. Alla fine prevale l'arcivescovo Ottone e la classe dei nobili. L'arcivescovo porta e chiede la pace:
Cessino
ferite e stragi, riposi la stanca spada
dal sudore di sangue, divaghi dal rubro ferir
del fratello. Desistete lame dal tagliar le gole.
È finita la guerra civile. Patria! Sia il vostro
premio, a lungo sperato, avuto con dura fatica.
E ancora:
Perdonate la plebe innocente. Non spogliate
le case inermi. Non offendete nessuno!
Nessuna ingiuria al popolo che amiamo!
Tanti secoli sono passati, eppure questa invocazione alla pace suona attuale come allora:
... tutti acclamano: - Pace! Pace!
Auguri felice! Mai più guerra! - ...
L'ultimo canto del poema è un inno alla Virtù, perché solo attraverso di essa, dice il poeta, si possono raggiungere l'onore, la vera gloria e la gioia.
I 1463 versi di “Le glorie di Milano”, scritti probabilmente negli ultimi anni della vita di Frate Stefanardo, ci regalano una storia vera, vibrante e ricca di colpi di scena. Ma più ancora, sono il frutto delle riflessioni di un uomo di cultura, che trae dal passato lo spunto per indicare ai suoi contemporanei e soprattutto alle generazioni future, la via per una vita migliore e più giusta. Una vita che è sempre minacciata da terribili nemici: la discordia e le guerre.
Il documento include, come appendice, una sezione sui Tarocchi, con riferimenti a simboli, costellazioni, pianeti, cabbala. Vale la pena ricordare, che alcuni preziosi mazzi di tarocchi risalenti al XV secolo, sono legati proprio alla famiglia Visconti.
(c) Marco Salvario
Commenti
Posta un commento
I commenti sono moderati e controllati quotidianamente.
Tutte le opinioni sono benvenute. E' gradita la pacatezza.