BILANCIO E DEBITO PUBBLICO di Antonio Laurenzano


  BILANCIO E DEBITO PUBBLICO

di Antonio Laurenzano

Work in progress. E’ in fase di “costruzione” nel cantiere della Legge di Bilancio 2025 il dossier della manovra finanziaria sulla quale pesa il macigno del debito pubblico, caduto di nuovo sotto la lente di Bruxelles con il ritorno del Patto di stabilità. In attesa, per fine mese, dell’approdo in aula del disegno di legge governativo per l’iter parlamentare, le prime anticipazioni sui futuri impegni di bilancio sono arrivate dal Piano strutturale di Bilancio 2025-2029 (PSB), trasmesso da Palazzo Chigi alle Camere. Il nuovo documento segna la tappa di avvio della procedura di bilancio ridisegnata dalla riforma della governance economica dell’Ue. In 235 pagine, articolate in tre capitoli, fotografate le dinamiche della finanza pubblica, indicati gli spazi fiscali per le prossime manovre, dettagliati i piani di riforme necessari per allungare da quattro a sette anni il periodo di aggiustamento dei conti pubblici, con una riduzione strutturale del deficit di circa 13 miliardi all’anno. Nel testo sono racchiuse le (pie) intenzioni del Governo per il futuro: quelle immediate che potranno trovare concretezza proprio nella prossima manovra e quelle di medio termine che dovranno essere realizzate continuando sulla strada degli investimenti e delle riforme già intraprese con il percorso del PNRR, dalla Giustizia al Fisco. Priorità al taglio del cuneo fiscale e contributivo, alla riforma delle aliquote Irpef, ai trattamenti pensionistici e alle misure per la natalità, la sanità e i contratti della P.A., in linea con le nuove regole europee che richiedono coperture di bilancio “strutturali”, cioè ricorrenti negli anni.

La parte più significativa del PSB è quella riservata al programma economico di riduzione del deficit e del debito pubblico con due indicazioni fondamentali per risolvere la procedura di infrazione Ue per disavanzo eccessivo. L’Italia si impegna a tornare sotto il 3% del rapporto deficit/Pil nel 2026 (attualmente 3,8%), stimando nei prossimi anni tassi della spesa primaria netta intorno all’1,5%. Successivamente, l’obiettivo è garantire, in concorso con una crescita stimata intorno all’1,1%, la riduzione del rapporto debito pubblico/Pil (sfiora oggi il 138%), di gran lungo superiore ai parametri di Maastricht (60%).

Nella valutazione del Governo “la situazione economica, occupazionale e di finanza pubblica dell’Italia è in miglioramento malgrado la caduta dei livelli produttivi dell’industria, il preoccupante allargamento dei conflitti internazionali e sfide tecnologiche e ambientali di crescente complessità.” Il Piano muove da un’idea di economia sociale di mercato dinamica e aperta con una cornice di regole e di linee fissate dall’attore pubblico per promuovere una crescita economica a vantaggio del lavoro e dello sviluppo complessivo della nostra società. In tale contesto, “il Piano non lascia indietro nessuno”, ha dichiarato il Ministro dell’Economia e delle Finanze Giorgetti. Si concentra sulla sostenibilità del sistema pensionistico e la qualità del sistema sanitario, puntando a rafforzare, per arginare il calo demografico, le politiche per la famiglia, sostenendo la natalità e la genitorialità.

Le dolenti note del PSB sono quelle relative all’elevato stock di debito pubblico e al relativo onere per interessi che “hanno spiazzato ogni margine per disegnare politiche pubbliche di sostegno alla crescita negli ultimi decenni”. Aggredire questo fardello, vicino ai 3mila miliardi, alleggerendolo in modo strutturale, rappresenta “la sfida più grande per il Paese”. Restiamo “osservati speciali”, con un debito pubblico che ci colloca in Europa al secondo posto dopo la Grecia. In interessi passivi spendiamo ogni anno l’equivalente della spesa per l’istruzione, circa 85 miliardi. Serve la crescita, serve un costo contenuto di finanziamento del debito, serve accrescere la fiducia dei mercati. Uno stock di debito così alto, e incontrollabile, riduce il margine di manovra dell’azione governativa, ipoteca in negativo le decisioni del futuro, paralizza ogni scelta politica. Non è più lo Stato che controlla l’economia, ma è l’economia che controlla lo Stato, a danno della sua sovranità. Il Bilancio, che è una previsione per il futuro, resta così condizionato dal passato, rischiando di divenire un grigio documento contabile privo di prospettive di crescita socio-economica.

La strada (difficile da percorrere) è quella di sempre. Intervenire sulla fiscalità con una lotta seria all’evasione, non con ricattatorie strane forme di condoni (Concordato preventivo biennale), contenere la spesa pubblica drogata da molte bandierine di partiti e clientele elettorali, recuperare la progressività dell’imposta senza ricorrere a nuovi prelievi fiscali, nel ricordo dell’insegnamento dell’economista scozzese del XVIII secolo Adam Smith: “Se ogni tassa serve solo a pagare i crescenti interessi, la liberazione del debito pubblico sarà mediante bancarotta”.

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