07 maggio 2024

AUTONOMIA DIFFERENZIATA, REBUS ISTITUZIONALE di Antonio Laurenzano

AUTONOMIA DIFFERENZIATA, REBUS ISTITUZIONALE           


   

di Antonio Laurenzano

Autonomia regionale differenziata, atto finale? Dopo il via libera del Senato e un tormentato passaggio in Commissione Affari Costituzionali della Camera, il disegno di legge Calderoli è approdato in Aula a Montecitorio per la discussione generale, ed è subito bagarre. Le prime avvisaglie di uno scontro politico su un tema fortemente divisivo. In dieci articoli il progetto di attuazione del Titolo V della Costituzione, in particolare dell’art. 116, che prevede che lo Stato possa attribuire alle Regioni a statuto ordinario “condizioni particolari di autonomia”. Sono venti le materie oggi di legislazione concorrente, cioè di comune competenza di Stato e Regioni (sicurezza del lavoro, salute, alimentazione, governo del territorio, infrastrutture, trasporti ed energia, finanza pubblica, ordinamento sportivo, professioni, protezione civile, beni culturali, ecc.), che potranno passare integralmente all’ente regionale. E potrebbero essere decentrate anche altre tre materie oggi gestite solo dallo Stato (giustizia di pace, istruzione, tutela dell’ambiente e dei beni culturali).

In discussione è la redistribuzione dei poteri, grazie a una diversa allocazione delle risorse pubbliche verso quelle Regioni che ne faranno richiesta, concordando con il Governo la “devoluzione” di competenze e risorse. Il capitolo più controverso è quello relativo alla fiscalità, cioè il trasferimento di mezzi finanziari alle Regioni che ricevono le nuove funzioni, e quindi la parte del gettito fiscale generato sul territorio che ogni Regione potrà trattenere. Per superare gli effetti distorsivi della “spesa storica” collegata al costo annuale del servizio reso (un meccanismo vantaggioso per gli enti con elevata spesa e risorse fiscali proprie, rispetto a quelli con limitata capacità fiscale), l’ultima versione del “regionalismo differenziato” introduce un nuovo indicatore: il “fabbisogno standard” che esprime le reali necessità finanziarie dell’ente locale per garantire servizi ai cittadini sulla base delle varie caratteristiche territoriali e della composizione sociodemografica della popolazione residente. E’ il costo del servizio differenziato per Regione che ha bisogno, in via preliminare, della determinazione dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) per le materie riferibili ai diritti civili e sociali dei cittadini, prescritti dalla Legge di bilancio 2023, per garantire i servizi minimi equamente su tutto il territorio nazionale. “Conoscere per deliberare”, secondo l’insegnamento di Luigi Einaudi.

E sono 237 i Lep stabiliti in 15 materie dal Comitato (Clep) istituito dal Governo, presieduto dall’accademico, giudice emerito della Corte Costituzionale Sabino Cassese (nella foto), per tracciare un quadro unitario e completo finalizzato a evitare squilibri economici fra le Regioni attraverso misure perequative, nel rispetto del principio costituzionale di solidarietà sociale ed economica. Molto dipenderà dai finanziamenti che lo Stato potrà mettere a disposizione per far convergere le prestazioni, oggi molto diversificate, verso lo stesso livello. E’ probabile infatti che emergano dei vincoli finanziari alla copertura completa dei fabbisogni legati ai costi standard dei livelli essenziali delle prestazioni laddove non coperti dalla capacità fiscale regionale. Ma, come ha ribadito Sabino Cassese nella recente lectio magistralis tenuta ad Atripalda (Avellino), sua città di origine, in occasione della “Cittadinanza onoraria” conferitagli dall’Amministrazione comunale, “l’ultimo miglio dell’autonomia regionale differenziata dipende da un’amministrazione che funzioni bene, perché i divari amministrativi in Italia purtroppo ci sono e non li possiamo risolvere in poco tempo con i Lep la cui erogazione di servizi richiede all’amministrazione che governa il territorio cultura amministrativa per una efficace capacità di spesa con una classe dirigente adeguata.”

Al centro del dibattito politico il problema di sempre: migliore efficienza dei servizi e partecipazione al controllo della spesa o strumento di sperequazione socio-economica e divisione tra Regioni? I nodi problematici ancora da sciogliere riguardano, in particolare, la ricaduta sul servizio sanitario e sul sistema scolastico, la frammentazione delle politiche pubbliche nazionali (servizi e infrastrutture logistiche), il rischio di cristallizzazioni delle disuguaglianze, la mancanza di condizionalità nelle richieste di maggiore autonomia, le modalità di finanziamento dei Lep da concordare con ogni Regione che, senza un coordinamento nazionale, genererebbero “un variegato assetto di tipo balcanico”. E non ultimo, in attesa dell’attuazione del federalismo fiscale, la tenuta della finanza pubblica per realizzare il giusto equilibrio fra differenziazione e uniformità della tutela dei diritti civili e sociali. Sviluppo economico, coesione, diritti primari delle persone sono i principi sanciti dall’art. 119 della Costituzione, principi da contemperare con l’autonomia differenziata per la salvaguardia dell’unità nazionale contro ogni pericolo di divisione e di ridimensionamento dei poteri dello Stato centrale. Valorizzare diversità e differenze proprie dell’autonomia conciliandole con l’eguaglianza. Una sfida difficile per una diversa architettura istituzionale.


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