16 aprile 2024

DOCUMENTO DI ECONOMIA E FINANZA, IL GRANDE REBUS di Antonio Laurenzano

DOCUMENTO DI ECONOMIA E FINANZA, IL GRANDE REBUS


di Antonio Laurenzano

Un quadro tendenziale e non programmatico delle dinamiche dei conti pubblici, la zavorra del debito appesantito dagli “effetti devastanti” del Superbonus (ministro Giorgetti), le proteste e i dubbi dell’opposizione sulla reale situazione della finanza pubblica: sono gli aspetti controversi del Documento di economia e finanza (Def) approvato dal Governo.

Nel corso degli ultimi decenni i documenti programmatici hanno assunto sempre di più un ruolo chiave nella definizione ed esposizione delle linee guida di politica economica del Paese. In una economia caratterizzata da continui e rapidi cambiamenti, anche geopolitici, essi svolgono una delicata e importante funzione informativa a livello nazionale, comunitario e internazionale, in grado di rendere pienamente visibili le politiche di governo. Il Def è il principale strumento della programmazione economico-finanziaria che racchiude la strategia del governo per l’anno in corso e per i tre anni successivi, i suoi obiettivi programmatici macroeconomici e di finanza pubblica, gli interventi da realizzare in linea con gli andamenti dell’economia. Con il Def vengono stabilite le linee guida di bilancio, in primis il saldo della pubblica amministrazione, che rappresentano paletti invalicabili delle decisioni successive. L’approvazione parlamentare gli conferisce il valore di un vincolo giuridico.


Come già successo in passato, anche quest’anno la presentazione del Def sta facendo discutere. In particolare, il documento varato dal governo ha suscitato riserve e polemiche per le stime sull’andamento dei conti pubblici rappresentate soltanto in base al cosiddetto “quadro tendenziale”, e cioè a legislazione vigente, in assenza di qualsiasi nuova misura da parte dell’esecutivo, e non in base al “quadro programmatico” con specifica indicazione delle scelte economiche del governo, con gli obiettivi che s’intendono raggiungere nel breve periodo. Un Def “leggero” privo di un’agenda programmatica di riferimento, secondo i partiti dell’opposizione, metterebbe a rischio la credibilità del Paese di fronte ai mercati finanziari, la fiducia in un governo incapace di darsi un Piano economico per i prossimi anni. Qualcuno ha parlato di “incapacità governativa”, di “truffa contabile del ministro Giorgetti” (Marco Turco, M5S). Tutto è chiarito nella nota governativa di presentazione del Def: “Il Documento è stato predisposto nel rispetto delle regole del Patto di stabilità e crescita, tenendo comunque conto della transizione in corso verso la nuova governance economica europea” con le nuove regole di debito e deficit. Nessuna reazione negativa da parte delle agenzie di rating: spread stabile, rendimento dei titoli di Stato invariato. Il Governo “rinvia la definizione degli obiettivi programmatici alla presentazione in settembre del Piano strutturale di bilancio a medio termine”, sperando in una più benevola lettura del deficit da parte della nuova Commissione Ue.

Proprio sul versante del deficit, il fattore che ha reso particolarmente difficile le previsioni del governo sono stati il Superbonus e i bonus edilizi ereditati dal passato che, pur incidendo sulla crescita e sul Pil in modo decisivo all’1%, hanno causato una revisione al rialzo del deficit nel 2022 (8,6%) e 2023 (7,2%). Il conto finale è arrivato a 219 miliardi di euro (sei volte di più rispetto alle previsioni iniziali di spesa), dei quali 160 relativi al Superbonus. Da compensare nei prossimi anni restano 163 miliardi di crediti, ossia circa 40 miliardi l’anno, due punti di Pil, che rischiano di essere “incompatibili” con le disponibilità di cassa e l’obiettivo di contenere il deficit che, rapportato al Pil, per il 2024 resta confermato al 4,3% e al 3,7% per il 2025. Conseguente la ricaduta sul debito che l’anno prossimo, pur in presenza di un aumento stimato del Pil dell’1,2%, sfonderà quota 3mila miliardi di euro, arrivando per la precisione a 3.109, per poi salire ulteriormente a oltre 3.200 miliardi nel 2026 e a 3.300 nel 2027. Un rapporto debito/pil del 138%, in aumento nel triennio, lontano dai parametri di Maastricht, che richiederà un negoziato con Bruxelles per il suo “aggiustamento” in sette anni.

A livello governativo non si vuole che il buco nella finanza pubblica del superbonus comprometta il taglio del cuneo fiscale nel 2025, né la conferma delle tre aliquote Irpef. Servono 15 miliardi che devono essere ancora trovati nel bilancio. Al conseguimento dell’obiettivo, escludendo manovre correttive di bilancio, potranno contribuire nuovi tagli di spesa, le privatizzazioni e le risorse del concordato preventivo biennale. Il problema di fondo, l’esame più severo da affrontare e superare è la riduzione del rapporto debito/pil: oltre al rigore sui conti e al rispetto delle regole comunitarie serve più crescita, più sviluppo. Molto dipenderà dalla capacità di far decollare davvero il Pnrr e la sua spesa effettiva per una programmazione economica e finanziaria sostenibile incentrata su riforme e investimenti. Una sfida da vincere al di là di ogni avventurismo elettorale e sterili polemiche di parte.


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