19 dicembre 2022

LUNA DI MIELE FINITA FRA GOVERNO E UE? di Antonio Laurenzano

 


LUNA DI MIELE FINITA FRA GOVERNO E UE?

di Antonio Laurenzano

Luna di miele finita fra Governo e Ue? Il richiamo di Christine Lagarde, presidente della Bce, con l’invito rivolto all’Italia a “ratificare velocemente la riforma del Mes” in concomitanza con la stretta sui tassi di mezzo punto che, con effetto a catena ha causato il crollo della Borsa (Piazza Affari ha perso il 3,45%) e un’impennata dello spread a quota 207, ha gettato ombre su una difficile tregua. Immediate le reazioni dell’Esecutivo di Giorgia Meloni con la piccata replica del Ministro della Difesa Crosetto (“decisioni prese con leggerezza e distacco”) e del Ministro dell’Economia Giorgetti (“auspici comunitari legittimi, ma sul Mes decide il Parlamento nazionale”).

Si preannunciano giorni inquieti nei palazzi romani della politica. Il Meccanismo europeo di stabilità (Mes), il cosiddetto “fondo salva Stati”, da tempo monopolizza il dibattito politico e alimenta lo scontro fra i partiti. Il Mes è la “cassaforte” dell’Eurozona, istituito nel 2012 per dare sostegno ai Paesi in caso di crisi finanziaria e di rischio default previa l’attuazione di un piano di riforme strutturali della finanza pubblica “sorvegliato” dalla “Troika” (Commissione europea, Bce e Fondo monetario internazionale). Hanno finora beneficiato del programma di aiuti Grecia, Spagna, Cipro, Portogallo e Irlanda. Con sede in Lussemburgo, il Mes è gestito dal Consiglio dei Governatori costituito dai ministri dell’economia dell’Eurozona e da un Consiglio di Amministrazione. L’Italia è il terzo maggiore socio del Mes (17,8%), dopo Germania e Francia, con 14 mld di capitale versato e 125 mld di capitale sottoscritto su un totale di circa 700 mld.

Dal 2017 si parla di riforma del Mes per rafforzare la coesione dell’Eurozona nell’affrontare le crisi e a tutelarne la stabilità finanziaria. Una ipotesi che in Italia ha dato il via a un profondo dibattito per le “condizioni di accesso” alle linee di credito giudicate particolarmente rigide: non essere in procedura d’infrazione, rapporto deficit/Pil inferiore al 3% da almeno due anni, rapporto debito/Pil inferiore al 60% (o con una sua riduzione di almeno 1/20 negli ultimi due anni). Per i dieci Paesi della zona euro (Italia compresa) fuori dai parametri di Maastricht l’obbligo di sottoscrivere un gravoso “memorandum”, un dettagliato accordo di riforme impopolari, non ultima la “ristrutturazione del debito sovrano”, con i conseguenti rovinosi effetti sui risparmiatori privati che hanno investito nei titoli di Stato. Una “calamità immensa” che generebbe distruzione di risparmio, fallimento di banche (detengono il 70% del debito pubblico) con ripercussione sui correntisti per effetto del “bail in”, crisi economica, disoccupazione di massa e un generale impoverimento sociale.

La riforma del Trattato ridisegna gli aiuti tradizionali del Mes, con l’obiettivo di prevenire le crisi invece che intervenire drasticamente una volta scoppiate, con i programmi di salvataggio che sono costati la cattiva fama al Mes. L’intento della riforma è rafforzare e semplificare l’uso degli strumenti a disposizione del Mes prima del ripescaggio di un Paese, cioè le linee di credito precauzionali, utilizzabili nel caso in cui un Paese venga colpito da uno shock economico e voglia evitare di finire sotto stress sui mercati. La riforma elimina il contestatissimo “memorandum” (le cosiddette “condizionalità”), quello passato alla storia per aver imposto alla Grecia condizioni rigidissime, sostituendolo con una lettera d’intenti che assicura il rispetto delle regole del Patto di stabilità.

La riforma del Mes è uno dei tasselli mancanti dell’Unione bancaria fortemente voluto dall’Italia. Rappresenta un momento importante nel processo d’integrazione istituzionale, economica e finanziaria dell’Eurozona. Una rete finanziaria da usare sia in caso di crisi dei debiti sovrani, sia in caso di crisi del sistema bancario europeo, nell’ottica della “mutualizzazione” del rischio e di una maggiore trasparenza dell’ordinamento monetario. Ma perché l’Italia, unico Paese dell’eurozona, non ha ancora ratificato la riforma del Mes? Sono in discussione le forti criticità del meccanismo: la semplificazione delle “clausole di azione collettiva” da parte dei creditori di uno Stato per chiederne la ristrutturazione del debito, nonché il carattere intergovernativo del Mes che non risponde al Parlamento europeo, fuori quindi dalle istituzioni comunitarie. Con l’allargamento delle competenze, la riforma sposta il potere economico dell’Eurozona dalla Commissione al Mes.

Luci e ombre dunque che alimenteranno nei prossimi mesi il dibattito politico in Parlamento fra una riluttante maggioranza e un’opposizione che spinge il Governo a “uscire allo scoperto per ratificare la riforma nell’interesse nazionale dell’Italia”. E l’Europa ci guarda.

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