15 marzo 2021

QUALE ITALIA NEL DOPO COVID19 ? di Antonio Laurenzano

 



QUALE ITALIA NEL DOPO COVID19 ?

di Antonio Laurenzano

Torneremo alla normalità una volta superata la pandemia di coronavirus? Probabilmente sì, ma non sarà più la normalità precedente. All’orizzonte un paese impoverito e con scarse prospettive di crescita sullo sfondo di uno scenario in cui l’incertezza, in assenza di una politica adeguata, potrebbe aggravare la crisi economica e rallentare la ripresa. E’ questo il risultato del sondaggio di Confcommercio incentrato sull’impatto sociale del Covid19 e relative prospettive condotto dall’associazione 50&Più con oltre 330.000 iscritti su tutto il territorio nazionale, in collaborazione con l’istituto di ricerche di mercato Format Research.

Sul tappeto problemi diversi, da tempo irrisolti: dalla coesione politica a quella sociale, dalla competitività di mercato alla spesa pubblica, dalla giustizia al fisco, al welfare. L’indagine ha evidenziato, in particolare, il forte peso della pandemia sul mercato del lavoro, un fattore confermato dalla recente rilevazione Istat. Il 2020 ha registrato un calo degli occupati senza precedenti: 456 mila posti di lavoro in meno, per una perdita del 2% che spezza la crescita ininterrotta dei precedenti sei anni, seppure rallentata a partire dal 2017. Una situazione destinata a peggiorare nei prossimi mesi a causa dello sblocco dei licenziamenti. A pagare il prezzo più alto all’emergenza Covid sono i giovani, l’anello debole del sistema: un giovane su quattro non studia né lavora. Tra gli under 25 lavora solo il 16,7% contro il 31,4% dell’Eurozona. Tasso di disoccupazione attestato al 29,7%, peggio di noi solo Spagna e Grecia. In caduta nel 2020 il numero di nuovi rapporti di lavoro avviati, un dato che ripropone lo scollamento fra il mondo dell’istruzione e quello del lavoro. Si pagano i ritardi nella formazione e le politiche populiste degli ultimi anni che, privilegiando uno sterile assistenzialismo, hanno azzerato ogni incentivo alle imprese finalizzato a uno strategico piano di assunzioni.

Da ormai un anno la pandemia di Covid19 ha modificato le nostre vite e segnato un brusco rallentamento di un’economia già in affanno. La luce in fondo al tunnel è ancora coperta dalle nubi del vaccino. Ci vorrà un periodo indeterminato per uscirne fuori, impegnativo sarà lo sforzo a cui è chiamato il Governo per sostenere il ritorno alla normalità, superando disoccupazione, diseguaglianze e squilibri settoriali. Ci troviamo oggi di fronte a sfide di dimensione inaudita senza avere ancora messo a punto idee e mezzi per intervenire, dopo ormai due decenni all’insegna della stagnazione. La crisi indotta dalla pandemia ha ampliato a dismisura l’intervento dello Stato nell’economia, ma questo attivismo è tutto basato sul breve termine senza che riesca ad emergere se non una visione, almeno uno scorcio di cosa si intenda fare per il prossimo futuro. Il Covid19, assieme a tutti i problemi che ha generato, ha anche esaltato ciò che da tempo era sullo sfondo: l’incapacità della politica economica di agire in un contesto dove disoccupazione, alta propensione al risparmio (1682 miliardi di euro a settembre 2020), distacco tra economia reale e finanziaria e dominio dei giganti digitali, hanno creato un modello economico nuovo, profondamente differente da quello del secolo scorso.

Le prospettive dell’economia italiana a medio termine sono avvolte da un rilevante grado di incertezza, connesso alle dinamiche della diffusione del coronavirus. E gli effetti esercitati dall’incertezza sul Pil sono devastanti. Se manca un quadro economico di riferimento certo (sistema produttivo, giustizia, politica fiscale, sanità pubblica, istruzione e ricerca) non decollano i consumi, gli investimenti, la produzione, i livelli occupazionali. E la fotografia scattata dall’Istat sul quadro economico del 2020 è impietosa, lascia poco spazio all’immaginazione: caduta del Pil a -8,9%, rapporto deficit/Pil pari a 9,5%, debito/Pil pari a 155,6%, con un salto di 159,3 miliardi di euro in soli dodici mesi.

L’Italia, come ha auspicato il premier Draghi nel suo discorso d’insediamento, deve richiamarsi allo spirito di ricostruzione post bellica per affrontare unitariamente i difficili passaggi che ci aspettano. E’ importante la visione del futuro per definire il nuovo modello di sviluppo sostenibile e la società che vogliamo promuovere. Il tempo a disposizione rischia di non essere molto. Il tutto gira attorno al piano vaccinale per il superamento della emergenza sanitaria e al Recovery Fund per la ripresa economica. Ridisegnare con unità d’intenti una strategia di medio-lungo termine accantonando interessi di parte e di breve termine, nella consapevolezza che è in gioco il futuro del Paese e quindi quello delle nuove generazioni. Condivisione e responsabilità le parole d’ordine. Tocca a Mario Draghi e allo spirito di servizio di tutte le espressioni politico-parlamentari del suo Governo la ricerca di una soluzione strategica che rimetta l’Italia sulla strada di uno sviluppo socio-economico durevole nel solco della sua storica vocazione di Nazione co-federatrice dell’Europa Unita.


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