22 luglio 2020

RIPOSO IN LIBERTÀ - DANIELE CARLETTI a cura di Maria Marchese


 RIPOSO IN LIBERTÀ - DANIELE CARLETTI         (COLLAGE 60x70) 

"Tu l'ignori mia vergine il tuo corpo ha nove porte. Ne conosco sette e due mi sono nascoste. Ne ho aperte quattro vi sono entrato spero di non uscirne più” . (Guillaume Apollinaire) 

Con l’opera “RIPOSO IN LIBERTÀ” , Daniele Carletti realizza e osserva, quale creatore, il disvelarsi di una donna, addentro il proprio reale immaginario. Ella ignaramente ivi giace: il maestro ferrarese ne eleva via via l’essenza incontaminata, liberandone i risvolti a lui inconsapevolmente noti e quelli che rimarranno dimorati nell’ignoto arcano. Nel contesto creato dall’esteta, egli annulla la tela, quale effige della laiason con l’evoluzione esistenziale e artistica del passato, perché essa divenga unicamente un supporto materico ove esprimere, ab imis, una proficua e pacifica ribellione personale. Essa si esplica attraverso la realizzazione di una complessità tessutale intuitiva e formale. Dopo aver frantumato la realtà patinata, assolvendola quindi dal ruolo che la vincola alla sfera sensibile del fatto, dell’informazione, della quotidianità, del clamore e delle implicazioni ed esso legate, la destina a divenire il serico drappo ove addova un virginale e lascivo riposo dell’essere femminile. Vi adagia quindi l’armonia sprigionata da capaci seppur spontanei aneliti di energia oleosa, che si discioglie tra i verbi di uno spagirico eloquio, esprimendone, poi , una dilettosa e poetica silloge visiva. Uno spontaneo gioco di velate trame diviene il nucleo in cui fiorisce e riposa la donna di Daniele Carletti: ella riluce tra tenuità tonali che echeggiano in una stagione aggiunta. In essa respira la sensualità, il cambiamento e la femminilità, mentre la forma perde senso. “Io stringo il vostro ricordo come un vero corpo E quel che le mie mani potrebbero prendere della vostra bellezza Quel che le mie mani potrebbero prendere un giorno Avrà forse più realtà Perché chi può prendere la magia della primavera E quel che se ne può avere non è forse ancor meno reale E più fugace del ricordo E l’anima tuttavia afferra l’anima stessa di lontano E più profondamente più completamente ancora” (Guillaume Apollinaire) Il maestro ferrarese rende onore alla donna effigiando, in quest’opera, un sensibile e capace processo conoscitivo, che ne rivela una sagace e seducente sinossi figurata. L’essere femminile ivi viene corteggiato dal fervido intelletto e dalle indiscusse capacità formali dell’esteta, che riesce alfine a ricondurre a sé ciò a cui Apollinare anela da lontano.

Testo a cura di Maria Marchese. 

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