Matteo
B. Bianchi
Generations
of love
– (Editore Fandango)
Pagine:
284
Formato:
Brossura
ISBN
9788860444936
Ne
sappiamo sempre poco sull’omosessualità. Ecco allora un libro
interessante per
avvicinarsi all’argomento. Già distante da Tondelli, più che per
età per il modo di vivere
le proprie scelte (nelle opere del reggiano, molto vicino a Pasolini, si sente
a tratti ancora un vissuto colpevole), Matteo Bianchi racconta di se
stesso con
giusto distacco e piacevole autoironia e anche nei passaggi più
scabrosi riesce
a essere leggero e divertente. Con una narrazione sciolta, a metà
strada fra il
diario e il racconto, ricca di riferimenti e citazioni soprattutto
musicali, l’autore
ci mostra aspetti inediti di un mondo che diamo per molti versi
scontato. Eccone alcuni.
“Da
piccolo sapevo benissimo di chi fossi innamorato. È sconvolgente
come la cultura, da sempre, rimuova i sentimenti infantili, come
tenacemente si sforzi
di
farci dimenticare di aver amato, appassionatamente, nell’infanzia.
Un amore goffo e
istintivo come può essere il sentimento di un bambino, ma non per
questo
meno
reale. Io, a cinque anni, amavo il cugino Lorenzo”.
“Io
ero estasiato all’idea che un adulto preferisse la mia compagnia a
quella dei suoi simili. Per quello amavo così intensamente il cugino
Lorenzo.
Perché
è stato il primo ad accorgersi che ero una persona, e non un
bambino”.
“È
curioso come certe verità, per quanto banali ed evidenti, impieghino
anni
per
divenirci note”.
“Ho
delle foto di quella vacanza. Pochi scatti, ma di un’intensità
sorprendente.
Case,
chiese, viuzze tortuose, spiazzi adornati di bandiere e striscioni.
E
noi due, in varie gradazioni d’innamoramento estivo. Ce n’era
una, in particolare, su
cui tutti si soffermavano. Io e Ricardo su una panchina che
sorridiamo all’obiettivo. Tutti e due arcuati in avanti, con i
gomiti appoggiati alle ginocchia, gli occhi spalancati e
brillanti.
‘Siete
venuti benissimo qui’, commentavano gli amici.
‘Quella
l’abbiamo fatta durante una gita vicino al Castello de São Jorge’,
spiegavo io.
Palle.
Non c’era stata nessuna gita. La panchina era a cento metri
dall’appartamento di
Ricardo. E quella era la foto che avevamo autoscattato la mattina
dopo aver
fatto l’amore per la prima volta. Incredibile come tutti
cogliessero il mistero di
quell’immagine, come se sentissero il bisogno di interrompersi mentre
sfogliavano il piccolo album. La verità è che sfoggiavo
un’espressione talmente
radiosa, una felicità così sfacciata che era impossibile ignorarla.
Avevo
avuto la mia illuminazione. All’età di diciannove anni, in pieno
luglio,
a
Lisbona. Ero trasfigurato, e lo ero visibilmente”.
(c) Marcello Sgarbi
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