16 maggio 2020

Matteo B. Bianchi Generations of love a cura di Marcello Sgarbi


Matteo B. Bianchi

Generations of love – (Editore Fandango)

Pagine: 284
Formato: Brossura
ISBN 9788860444936

Ne sappiamo sempre poco sull’omosessualità. Ecco allora un libro interessante per avvicinarsi all’argomento. Già distante da Tondelli, più che per età per il modo di vivere le proprie scelte (nelle opere del reggiano, molto vicino a Pasolini, si sente a tratti ancora un vissuto colpevole), Matteo Bianchi racconta di se stesso con giusto distacco e piacevole autoironia e anche nei passaggi più scabrosi riesce a essere leggero e divertente. Con una narrazione sciolta, a metà strada fra il diario e il racconto, ricca di riferimenti e citazioni soprattutto musicali, l’autore ci mostra aspetti inediti di un mondo che diamo per molti versi scontato. Eccone alcuni.

Da piccolo sapevo benissimo di chi fossi innamorato. È sconvolgente come la cultura, da sempre, rimuova i sentimenti infantili, come tenacemente si sforzi
di farci dimenticare di aver amato, appassionatamente, nell’infanzia. Un amore goffo e istintivo come può essere il sentimento di un bambino, ma non per questo
meno reale. Io, a cinque anni, amavo il cugino Lorenzo”.

Io ero estasiato all’idea che un adulto preferisse la mia compagnia a quella dei suoi simili. Per quello amavo così intensamente il cugino Lorenzo.
Perché è stato il primo ad accorgersi che ero una persona, e non un bambino”.

È curioso come certe verità, per quanto banali ed evidenti, impieghino anni
per divenirci note”.

Ho delle foto di quella vacanza. Pochi scatti, ma di un’intensità sorprendente.
Case, chiese, viuzze tortuose, spiazzi adornati di bandiere e striscioni.
E noi due, in varie gradazioni d’innamoramento estivo. Ce n’era una, in particolare, su cui tutti si soffermavano. Io e Ricardo su una panchina che sorridiamo all’obiettivo. Tutti e due arcuati in avanti, con i gomiti appoggiati alle ginocchia, gli occhi spalancati e brillanti.
Siete venuti benissimo qui’, commentavano gli amici.
Quella l’abbiamo fatta durante una gita vicino al Castello de São Jorge’, spiegavo io.
Palle. Non c’era stata nessuna gita. La panchina era a cento metri dall’appartamento di Ricardo. E quella era la foto che avevamo autoscattato la mattina dopo aver fatto l’amore per la prima volta. Incredibile come tutti cogliessero il mistero di quell’immagine, come se sentissero il bisogno di interrompersi mentre sfogliavano il piccolo album. La verità è che sfoggiavo un’espressione talmente radiosa, una felicità così sfacciata che era impossibile ignorarla.
Avevo avuto la mia illuminazione. All’età di diciannove anni, in pieno luglio,
a Lisbona. Ero trasfigurato, e lo ero visibilmente”.

(c) Marcello Sgarbi



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