20 aprile 2019

BYE BYE LONDRA di Antonio Laurenzano

                       
BYE   BYE   LONDRA  di Antonio Laurenzano

Oltre Manica, all’ombra di Buckingham Palace, regna  sovrana … la confusione! Al Regno Unito non sono bastati oltre mille giorni  per dare una risposta istituzionale al referendum del giugno 2016 quando il 51,9% dei sudditi di Sua Maestà votò per il “leave Ue”. Fra convulse votazioni a Westminster per scongiurare il no-deal, minacce di dimissioni della premier Theresa May e petizione popolare per un nuovo referendum continua il lungo day after di Brexit. Per evitare una separazione traumatica dai risvolti economici imprevedibili, anche per la stessa Unione, il Consiglio europeo ha concesso una nuova proroga: il divorzio “consensuale” slitta al 31 ottobre. Sarà così?
Sei mesi di tempo per lasciare l’Europa, mantenendo al Regno Unito la qualifica di membro a pieno titolo dell’Ue, con tutti i diritti e doveri, ivi compresa la partecipazione alle prossime elezioni europee. La farsa continua, una vera desolazione! Si paga con gli interessi l’illusione populista, l’emotività di un voto, il suo uso strumentale voluto dall’ex premier Cameron per rispondere agli attacchi alla sua leadership in forte calo di consensi. Il paradosso è che Brexit, con le sue conseguenze negative sull’economia reale, finirà per impoverire ancora di più quegli stessi soggetti che nel voto contro l’Unione europea hanno riposto le speranze  di un riscatto sociale ed economico. Un voto espressione sì di profondo disagio, ma soprattutto di una carica emotiva alimentata dalla demagogia e dalla miopia storico-politica di governanti allo sbaraglio!
A distanza di oltre settant’anni dal discorso di Winston Churchill all’Università di Zurigo in cui l’ex Primo ministro inglese auspicava la nascita degli “Stati Uniti d’Europa”, i suoi “nipotini” vorrebbero fermare l’orologio della storia del Vecchio Continente, minando la costruzione della comune casa europea ritenuta una gabbia di regole e di tasse. Ma il nodo centrale della Brexit è politico per la dura lotta di potere in atto a Londra fra laburisti e conservatori. E Big Ben ha detto stop!
Si chiude così la lunga stagione delle ambiguità iniziata nel 1973 con l’ingresso nell’Unione della Gran Bretagna, una storia tormentata, una convivenza difficile. Con un Pil  alla fine degli Anni Cinquanta fra i più bassi d’Europa e il tasso di disoccupazione tra i più alti, Londra puntò sull’Europa e indirizzò la domanda di adesione all’allora Cee che venne rifiutata in due occasioni prima di essere accolta. Un matrimonio d’interessi spesso in crisi: una prima volta nel 1984 quando la Lady di ferro, Margaret Thatcher, pretese dalla Comunità europea il riconoscimento della clausola “our money back”, la restituzione  dei contributi versati per la politica agricola comune (Pac). Ancora più clamorosa la presa di posizione britannica nel 1988 contro la “federalizzazione” dell’Europa.
 Una presenza ingombrante nell’Ue quella del Regno Unito, da sempre “con i piedi in Europa ma con la testa oltre Oceano”. Un partner critico, arrogante nelle sue incessanti rivendicazioni sovrane, geloso del crescente potere politico ed economico della Germania, uno dei sei Paesi fondatori dell’Unione. Una partecipazione comunitaria del tutto singolare, una posizione di grande privilegio  consolidatasi nel tempo con negoziati condotti spesso sul filo del compromesso istituzionale. Il Regno di Sua maestà, per sua scelta, è fuori dall’Unione monetaria e dai suoi parametri, è fuori dal sistema Schengen, beneficia di un trattamento di favore sul contributo che ogni Stato membro versa al bilancio Ue rapportato al suo Pil, può non applicare la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, fruisce di significative deroghe in materia comunitaria di giustizia e affari interni. Un mix di benefit che nel tempo hanno alleggerito sempre più i vincoli comunitari del Regno Unito il cui peso decisionale è rimasto però inalterato! La Gran Bretagna ha scelto di liberarsi dei lacci e laccioli comunitari, l’Unione europea  si libera di un Paese che colpevolmente ha dimenticato la lezione della storia. Un divorzio nel segno di un anacronistico nazional-populismo. Ma alla fine della telenovela (e del caos) c’è da chiedersi: per la Gran Bretagna, nel mondo globale, sarà ancora  “splendido isolamento”?      



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