IL
PROTOTOTALITARISMO COME FORMA DI DEMOCRAZIA ASSOLUTA TRASCENDENTALE
Riflessioni
di filosofia del diritto
I
totalitarismi del Novecento in tutte le loro forme sono la
prosecuzione del processo di dissoluzione dell’assolutismo
monarchico seicentesco. Questo processo subisce un colpo finale con
la Grande Guerra. Infatti nel 1918 crollano tutte le dinastie
ancestrali: gli Asburgo cattolici, gli Zar ortodossi, gli
Hohenzollern protestanti e i Sultani Ottomani mussulmani. Di fronte a
questo vuoto abissale i popoli smarriti e trafugati in follie
collettive, abbandonano il senno ed eleggono a loro capi i dittatori
popolani, come si faceva nell’antica Roma. Cincinnato fu preso
mentre arava i campi e fu nominato Dictator.
Il dittatore è il dettatore, colui che detta leggi. Il popolo è
impulsivo, non segue la ragione, ma il sentimento e si fa volentieri
travolgere dalle passioni collettive. Basta leggere Le Bon per
rendersene conto. Ecco perché tutti i tiranni novecenteschi
leggevano “La psicologia delle folle” e la “Repubblica” di
Platone. Le hanno lette certamente Mussolini, Lenin e Hitler. Popper
giustamente se la prendeva con Platone, padre di tutti i
totalitarismi. Folla ha a che fare con follia. La folla è folle, non
usa la ragione, è cieca. Purtroppo i punti comuni di ogni forma di
totalitarismo le troviamo pari pari nelle sperimentazioni di
democrazia assoluta, seguita alle rivoluzioni storiche, come quella
inglese, la francese e la russa. La democrazia trascendentale, cioè
nella manifestazione delle sue forme pure e kantianamente a priori
coincide di fatto con la dittatura della maggioranza, o di una
minoranza, il più delle volte, come quella dei bolscevichi, che non
avevano nulla di bolsc,
maggior
parte,
o della collettività assoluta. La “Volonté Général” di
Rousseau e la Volontà assoluta kantiana-schopenhaueriana esprimono
in modo simile questo concetto di assolutismo totalizzante delle
esecuzioni democratizzanti delle masse inerti. I punti comuni sono: -
sfruttamento dei diritti democratici delle masse, - fanatizzazione
delle masse; - creazione di forme parareligiose legate ai culti della
personalità, che nulla hanno da invidiare a quelli memori
dell’antico assolutismo, come il Re Sole, che diceva: Lo Stato sono
io! – crisi totale dei valori economici e morali – ex
chaos ordo;
- visione palingenetica della società, con modello a partito unico e
fusione totale di stato e società; creazione ad hoc di una dommatica
manichea del nemico e di una conseguente giustificazione
dell’aggressività. Il totalitarismo è un idealtipo weberiano che
segna il ritorno purtroppo a forme naturistiche ancestrali. La massa
non è il popolo, né la classe. La massa è un aggregato
atomistico-individualistico baumaniamente liquido. Hobbes aveva
inquadrato il vero tipo dell’animal
apoliticum
homo homini lupus.
Aveva individuato il carattere belluinico dello stato di natura. Non
si era reso conto però che necessariamente la monarchia è un
prodotto della stessa natura che si voleva superare con lo stato. La
forma predominante delle condizioni gregali dei mammiferi sono
monarchie assolute. Da Hobbes poi si vola a Malthus e da qui il salto
è fatto a Darwin ed al darvinismo storico-sociale. La lotta per la
sopravvivenza è la molla ancestrale che fa saltellare la storia e fa
traballare tutte le forme pacifiche di convivenza. La Grande Guerra e
la Seconda Guerra Mondiale sono ritorni all’ancestrale bellum
omnium contra omnes. Le
democrazie relative, o rappresentative funzionano solo nei periodi
deboli, ma nei periodi forti ci vogliono uomini forti, che anche in
sistemi democratici o pseudo-democratici sappiano incutere sicurezza
nelle folle smarrite. La rivoluzione è un altro esperimento di
ritorno al bellum
totale. Ogni
rivoluzione ha prodotto forme totalitarie: quella inglese ha prodotto
Cromwell, quella francese Robespierre e Napoleone, che era suo
seguace, quella del 1848 Napoleone III, Bismarck, quella russa Lenin
e Stalin. Il socialismo ha prodotto Mussolini ed Hitler. Il
collettivismo esagerato e l’individualismo esagerato sono i mali
che propagano il totalitarismo. C’è la coincidentia
oppositorum degli
estremi. Bodin già teorizza l’origine democratica dell’istituto
monarchico nel “De la Republique” del 1576. Grozio formalizza
l’antico contrattualismo di Democrito e di Epicuro. Questa teoria
ebbe maggior fortuna da Hobbes fino a Rousseau. Democrazia assoluta e
monarchia assoluta coincidono. Bossuet ripeteva a corte del re Sole:
un
roi, une foi, une loi! Perché
mai Luigi XIV si fa chiamare il Re Sole, come gli antichi faraoni
egizi? C’è un simbolismo platonico reminiscente che affonda le sue
radici negli archetipi junghiani collettivi. Re deriva dall’antico
dio solare Ra. L’Illuminismo poi fu sostanzialmente conservatore.
Conservatore fu anche Rousseau con la sua democrazia assoluta.
L’unica differenza è l’ascendenza dal basso o dall’alto, ma
monarchia assoluta e democrazia assoluta assolutamente coincidono. I
capi sono scelti democraticamente, come quelli dell’età antica. Il
fuhrer-prinzip è emanazione diretta del diritto naturale. Ciò che
incolla i regimi è sempre poi una religione laica, fatta di parate
fasciste e naziste, di rappresentazioni, di culti puramene umani che
trasfigurano come il lupo in san Francesco l’Homo
homini lupus in
Homo homini deus. Di
queste sistemazioni teocratiche ne troviamo esempi nel calvinismo e
nella Riforma. Per evitare il proto-totalitarismo vi è la solita
ricetta aristotelica della moderazione: in
medio stat virtus.
Cioè
in coeto medio stat virtus:
«Tre sono in ogni stato le classi dei cittadini: i molto ricchi, i
molto poveri, e quelli che sono in una condizione media tra questi
due estremi. poiché si è riconosciuto che la via di mezzo sono
sempre il meglio, ne consegue necessariamente che il possesso de beni
limitati costituisce la situazione più favorevole. In tale
situazione, infatti, si sanno ascoltare i comandi della ragione,
mentre è difficile riuscirci, quando si è dotati id straordinarie
doti di bellezza, di forza, di nascita o di ricchezza, sia quando la
povertà, la debolezza, la meschinità dominano» (Arist., Pol.
IV,9). All’utopismo di Platone Aristotele oppone una concezione più
realistica. Il collettivismo platonico scardina le istituzioni
fondamentali della società: la famiglia e la proprietà: «Se la
proprietà è collettiva, ciascuno si cura poco di essa, ma bada
piuttosto ai suoi interessi personali. Se in uno stato vi sono mille
fanciulli, e tutti appartengono al pari ad ogni cittadino, nessuno si
curerà veramente di quei fanciulli» (Ivi, II,1). Per evitare dunque
i proto-totalitarismi populistici occorre che siano attuate tutte le
politiche sociali ed economiche occorrenti a bilanciare le classi
sociali, a far convergere il più possibile le forbici sociali.
D'altronde la famosa “società comunista” si può raggiungere
solo in un livello ultraterreno, cioè puramente spirituale, laddove
non esiste più il legame alla materia e non ci sarà più la
proprietà privata, cioè in un regno celeste. Non ci portiamo i
soldi dall’altra parte. E badate bene: ricordate la parabola
dell’uomo che aveva preso sette mogli. Nel regno divino non vi sono
più né mogli, né mariti, quindi vi è il superamento anche della
famiglia, che era stato previsto sia da Platone, nella Repubblica,
che da Marx. Giustamente Aristotele ribatteva che l’uomo pensa a
ciò che è proprio e ciò che è caro Non dimentichiamo poi che i
primi cristiani già praticavano il comunismo, ed anche alcuni
riformatori lo predicavano proprio, come Muntzer, che fu fatto fuori
dai Principi tedeschi, mentre Lutero fu protetto, perché lanciò la
crociata contro i poveri contadini. I totalitarismi furono teocrazie
laiche. Non possiamo parlare di fascismo cattolico, di comunismo
cattolico, di democrazia cattolica, etc. Dio come totale gratuità
diventa fonte e garanzia di liberazione e non di alienazione.
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