07 marzo 2016

LA RICERCA DELLA FELICITÀ Un romanzo attraente e nobile di Silvia Spaventa Filippi recensione di Vincenzo Capodiferro

LA RICERCA DELLA FELICITÀ
Un romanzo attraente e nobile di Silvia Spaventa Filippi

“La ricerca della felicità” è un romanzo di Silvia Spaventa Filippi, edito da Pietro Macchione, a Varese, nel 2014. Silvia nasce a Varese, ma fin dall’infanzia «si nutre di letteratura ed arte grazie alla fertile educazione familiare». Il nonno Silvio Spaventa Filippi, infatti, era un grande intellettuale lucano ed aveva curato, tra l’altro, il “Corriere dei Piccoli”, fondato e diretto da lui fino al 1931. Sulla storia del “Corriere dei Piccoli” Silvia ha già pubblicato due saggi pedagogici. L’autrice scrive poesie, fiabe. Tra le sue ultime pubblicazioni ricordiamo “Sogno e realtà”, a cura del Circolo Culturale Silvio Spaventa Filippi, stampato a Potenza nel 2008. La “ricerca della felicità” è un rapporto felice di fanciulli, da Aurora a Serena, è un intreccio di storie, che si stagliano a puntate, quasi come un piccolo “Decamerone”, e di poesie, che occupano l’ultima parte del romanzo. Già i nomi rimandano simbolicamente al cielo terso e beato dell’infanzia e della giovinezza. La felicità si trova in cose semplici. E come non ricordare il fanciullino di Pascoli? «Egli è quello che ha paura del buio, perché al buio vede, o crede di vedere, quello che alla luce sogna, o sembra sognare, ricordando cose non vedute mai; quello che parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle, che popola l’ombra di fantasmi e il cielo di Dèi … egli è l’Adamo che mette il nome a tutto ciò che vede e sente» (G. Pascoli, “Miei pensieri di varia umanità”, 1903). Non a caso il più delle volte questa condizione di naturale beatitudine viene arginata ai tempi adamitici. Il peccato originale è la perdita di questo piacere divino. Anche Rousseau pensava che l’uomo era felice in quel fantasmagorico stato di natura. E tutti i poeti e gli scrittori ricordano i “Saturnia regna”! La belluinità che Hobbes falsamente riponeva nello stato naturale è, invece, propria proprio del cattivo stato sociale. Come potevano gli uomini primitivi farsi la guerra, laddove mancavano perfino di un’organizzazione atta alla guerra e non conoscevano ancora l’invidia, l’odio, la rapacità - homo homini lupus -, che nascono solamente nei rapporti sociali? Questo mondo favoloso dell’infanzia dell’umanità si proietta nell’infanzia di ogni piccolo-grande uomo: la filogenesi rimanda all’ontogenesi. Oppure questo mondo favoloso viene proiettato in un futuro paradisiaco, di eterna beatitudine. Eppure, senza ricordare Jiddu Krishnamurti - “La Ricerca della felicità” -, la felicità sta proprio in questa eterna ricerca, che si muove imperterrita dal passato remoto al futuro remoto, come mirabilmente Silvia redarguisce: «Durante tutte le stagioni della mia vita nella realtà e nel sogno, nella gioia e nel dolore, ho sempre cercato di capire cosa fosse la felicità e, ancor più, cosa si potesse fare per mantenerla a lungo o addirittura conservarla in uno stato di equilibrio permanente. Ancora, se la felicità esistesse veramente o fosse patrimonio di brevi istanti, legata più a un evento contingente o a un intrinseco bisogno di armonia. Non ho avuto e non ho ancora trovato una risposta che potesse e possa darmi un appagamento interiore o una stabile certezza. E non so neppure se la felicità sia una condizione umana. Ma non per questo sono stanca di ricercarla» (pp. 9-10).

Vincenzo Capodiferro

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