LA RICERCA DELLA FELICITÀ Un romanzo attraente e nobile di Silvia Spaventa Filippi recensione di Vincenzo Capodiferro
LA RICERCA DELLA FELICITÀ
Un romanzo attraente e
nobile di Silvia Spaventa Filippi
“La
ricerca della felicità” è un romanzo di Silvia Spaventa Filippi, edito da
Pietro Macchione, a Varese, nel 2014. Silvia nasce a Varese, ma fin
dall’infanzia «si nutre di letteratura ed arte grazie alla fertile educazione
familiare». Il nonno Silvio Spaventa Filippi, infatti, era un grande
intellettuale lucano ed aveva curato, tra l’altro, il “Corriere dei Piccoli”, fondato
e diretto da lui fino al 1931. Sulla storia del “Corriere dei Piccoli” Silvia
ha già pubblicato due saggi pedagogici. L’autrice scrive poesie, fiabe. Tra le
sue ultime pubblicazioni ricordiamo “Sogno e realtà”, a cura del Circolo
Culturale Silvio Spaventa Filippi, stampato a Potenza nel 2008. La “ricerca
della felicità” è un rapporto felice di fanciulli, da Aurora a Serena, è un
intreccio di storie, che si stagliano a puntate, quasi come un piccolo
“Decamerone”, e di poesie, che occupano l’ultima parte del romanzo. Già i nomi
rimandano simbolicamente al cielo terso e beato dell’infanzia e della
giovinezza. La felicità si trova in cose semplici. E come non ricordare il
fanciullino di Pascoli? «Egli è quello che ha paura del buio, perché al buio
vede, o crede di vedere, quello che alla luce sogna, o sembra sognare,
ricordando cose non vedute mai; quello che parla alle bestie, agli alberi, ai
sassi, alle nuvole, alle stelle, che popola l’ombra di fantasmi e il cielo di
Dèi … egli è l’Adamo che mette il nome a tutto ciò che vede e sente» (G.
Pascoli, “Miei pensieri di varia umanità”, 1903). Non a caso il più delle volte
questa condizione di naturale beatitudine viene arginata ai tempi adamitici. Il
peccato originale è la perdita di questo piacere divino. Anche Rousseau pensava
che l’uomo era felice in quel fantasmagorico stato di natura. E tutti i poeti e
gli scrittori ricordano i “Saturnia regna”! La belluinità che Hobbes falsamente
riponeva nello stato naturale è, invece, propria proprio del cattivo stato sociale.
Come potevano gli uomini primitivi farsi la guerra, laddove mancavano perfino
di un’organizzazione atta alla guerra e non conoscevano ancora l’invidia,
l’odio, la rapacità - homo homini lupus -, che nascono solamente nei rapporti
sociali? Questo mondo favoloso dell’infanzia dell’umanità si proietta
nell’infanzia di ogni piccolo-grande uomo: la filogenesi rimanda
all’ontogenesi. Oppure questo mondo favoloso viene proiettato in un futuro
paradisiaco, di eterna beatitudine. Eppure, senza ricordare Jiddu Krishnamurti
- “La Ricerca della felicità” -, la felicità sta proprio in questa eterna
ricerca, che si muove imperterrita dal passato remoto al futuro remoto, come
mirabilmente Silvia redarguisce: «Durante tutte le stagioni della mia vita
nella realtà e nel sogno, nella gioia e nel dolore, ho sempre cercato di capire
cosa fosse la felicità e, ancor più, cosa si potesse fare per mantenerla a
lungo o addirittura conservarla in uno stato di equilibrio permanente. Ancora,
se la felicità esistesse veramente o fosse patrimonio di brevi istanti, legata
più a un evento contingente o a un intrinseco bisogno di armonia. Non ho avuto
e non ho ancora trovato una risposta che potesse e possa darmi un appagamento
interiore o una stabile certezza. E non so neppure se la felicità sia una
condizione umana. Ma non per questo sono stanca di ricercarla» (pp. 9-10).
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