01 febbraio 2009

Geografia: le riforme agrarie

Nota enciclopedica
Le riforme agrarie nascono o come rivendicazione sociale, con l’obiettivo di ridistribuire la ricchezza in mano a pochi, o come rivendicazione economica tesa a rendere più efficace la produzione. In genere si tratta di precise scelte politiche attuate dai governi in carica, le quali tendono ad assegnare la terra a chi la lavora oltre che a renderla produttiva. Una caratteristica dei paesi islamici, a questo proposito, risiede nel fatto che le riforme non hanno avuto carattere rivoluzionario, poiché volute dalla classe dirigente.
Di seguito riportiamo, sempre seguendo il Dagradi-Cencini come fonte, l’elenco delle principali e recenti esperienze di riforma agricola nel mondo, descrivendole nei loro tratti essenziali.
Italia: negli anni Cinquanta del XIX secolo gli addetti all’agricoltura erano oltre la metà della popolazione attiva, con punte oltre il 70% nel Mezzogiorno. La riforma agricola fu rivolta agli spazi agricoli incolti o scarsamente produttivi. Per tali terreni era previsto l’esproprio delle terre eccedenti i 300 ettari.
Messico: nel 1917, dopo i moti rivoluzionari, venne applicata una riforma con un limite di possedimento a 100 ettari per terre irrigue, o 800 per il pascolo. Il resto della terra venne ridistribuita.
Bolivia: la riforma nasce nel 1952 ed ha un taglio rivoluzionario perché all’epoca il 70% delle terre coltivabili era diviso in aziende con oltre mille ettari di estensione. La riforma ha dato la terra a chi la lavora, riducendo lo spazio agricolo ad aziende medie e piccole. Questo non è però stato un vantaggio per la meccanizzazione che qui risulta poco redditizia.
Perù: nel 1961 3400 aziende con oltre 500 ettari di terreno assegnato, possedevano il 75% della superficie agraria. Nel 1964 la riforma stabilisce limiti di possesso per 150 ettari irrigui, 300 irrigabili, 450 non irrigabili, 1500 a pascolo. Le terre vengono assegnate ai contadini tramite esproprio, pagato i massima parte in Buoni del Tesoro.
Cile: negli anni Sessanta 3300 aziende possedevano, con oltre 1000 ettari, il 75% dell’arativo. Nel 1967 la terra venne assegnata per riforma ai contadini, limitando le aziende ad 80 ettari di estensione. Gli espropri furono pagati in “buoni della riforma agraria” e ridistribuiti sulla base di appezzamenti di 10 ettari destinati alle famiglie.
Cuba: con la fine della dittatura di Batista il governo comunista di Fidel Castro ha statalizzato l’economia e quindi anche l’agricoltura, la quale è stata organizzata in “aziende del popolo” (1961). In agricoltura la riforma ha avuto impatti soprattutto sull’industria dello zucchero, che è comunque stata soffocata dall’embargo USA. Con la fine dell’URSS la crisi a Cuba si è accentuata ed oggi l’economia si salva solo grazie al turismo.
Egitto: nel 1952 il 66% dell'arativo era in mano al 6% dei proprietari. Il presidente Nasser volle ridistribuire le terre in piccoli lotti da 1-2 ettari per coltivatore espropriando tutte le proprietà che eccedessero gli 84 ettari (200 feddan). Nel 1961 il limite venne portato a 100 feddan, a 50 nel 1969. Venne anche fissata una normativa agricola.
Siria: nel 1958 anche questo paese è stato riformato secondo il criterio della 'hiyaza', cioè del possesso del terreno legato al suo utilizzo e non ad una stretta proprietà. Anche qui sono state attuate politiche di ridistribuzione dei terreni, ma soprattutto è stata favorita la creazione di cooperative atte allo sviluppo della meccanizzazione, nonché di un sistema agricolo efficiente sul piano qualitativo e commerciale.
Iran: qui l'unità produttiva agricola è sempre stata il villaggio. Quando nel 1960 lo scià promosse la riforma, un terzo dei 30000 villaggi appartenevano ad un unico padrone, 5000 appartenevano a latifondisti, 800 erano dello scià e altrettanti appartenevano ad opere religiose. Con la riforma nessuno potè possedere più di un villaggio. Gli altri vennero espropriati dietro pagamento di una cifra risarcibile in 15 anni da parte del nuovo proprietario. Con la Rivoluzone islamica del 1979 si è poi avuta una nuova ridistribuzione di terre per circa 800000 ettari. L'avvento della legge islamica ha tuttavia creato problematiche legate al dettato coranico, che parlerebbe dell'inalienabilità della proprietà fondiaria.
Tunisia: la ex colonia francese aveva nel 1956 il 20% dell'arativo in mano agli stranieri. Con l'indipendenza venne attuata una riforma che nazionalizzò l'agricoltura, organizzandola in grandi cooperative. Un successivo perfezionamento del modello nazionalista consertì ad alcune colture intensive (ortaggi e frutta) di recedere dalla rigida srtuttura di accorpamento.
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Autore: A. di Biase
Fonte: Compendio di Geografia umana; Dagradi-Cencini; Pàtron Edizioni
Fonte iconografica: www.unci.org

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