26 gennaio 2009

Geografia: agricoltura tropicale ed equatoriale

Nota enciclopedica
I paesi tropicali si trovano in quella fascia del pianeta che non a caso è soggetta a desertificazione, in particolare in quelle zone dove l’approvvigionamento d’acqua è difficile.
Le attività agricole a queste latitudini sono dure e spesso viene praticata l’agricoltura a rotazione con coltivazione di solo metà del terreno arato, in modo da lasciare a quest’ultimo il tempo di assorbire l’umidità delle rare precipitazioni (aridocoltura).
Solo quelle aree nelle quali l’agricoltura è associata all’allevamento sono tuttavia in grado di reggere una certa densità demografica, perché qui c’è anche la possibilità della concimazione animale.
Due esempi tipici di agricoltura asciutta sono quelle della Savana africana e del Deccan indiano.
Nelle savane il centro agricolo è anche un centro sociale che coordina e controlla il territorio. Qui l’agricoltura asciutta viene organizzata attorno al centro abitato per cerchi concentrici. Nell’anello più prossimo alle abitazioni viene praticata un’agricoltura intensiva, grazie alla possibilità di concimazione, dedita in particolare agli ortaggi. In fascia due ci sono i cereali, i legumi ed a volte l’arachide, mentre la terza aureola è costituita da campi temporanei a scopo di integrazione della produzione.
Nel Deccan invece la concimazione è spesso insufficiente perché, pur esistendo l’allevamento, il letame viene usato come combustibile invece che come concime. Qui l’agricoltura è dedita al miglio ed all’arachide, ma riesce ad essere efficace solo dove una falda poco profonda consente una adeguata irrigazione.
Un paesaggio completamente diverso è invece quello dell’Asia monsonica, dove le abbondanti piogge, anche se stagionali, garantiscono una redditività del terreno di molto superiore a quella ottenibile con la concimazione a secco.
Qui è diffusa soprattutto la coltura del riso, che è estensiva ma richiede enormi quantità d’acqua per essere praticata, oltre a campi piatti per la necessità di allagarli progressivamente alla crescita delle piantine.
In queste aree l’allevamento è quasi inesistente, tutto lo spazio è dedicato al riso e quindi, nelle zone non sufficientemente sviluppate, la concimazione avviene con una accurata raccolta dei rifiuti domestici.
Si tratta di una coltura che richiede grandi cure, sia per il territorio che se non perfettamente piano deve essere accuratamente terrazzato, sia per la pianta, ma che non ha comunque una grande resa: nelle regioni povere si produce circa mezzo chilo di riso per ora di lavoro, contro (per fare un esempio) i tre quintali di grano l’ora prodotti negli USA con sistemi meccanizzati; questo è causa di una diffusa povertà, caratteristica anche delle regioni secche, soprattutto quando la maggior parte del territorio è nelle mani di pochi, la quale alimenta in queste aree la piaga dell’usura, molto diffusa.
Dalla miseria più nera, infine, quella della schiavitù, è nata la forma d’agricoltura speculativa più diffusa in queste aree. Le piantagioni di monocolture tropicali sono infatti nate con la tratta dei neri, che alimentò le coltivazioni di cotone (foto) e canna da zucchero in Brasile, nelle Antille ed all’isola di Giava; poi si è passati al caffè, al , al cacao, alle banane ed alla gomma nelle aree più che altro equatoriali.
L’agricoltura di piantagione è strettamente legata, anche da vincoli postcoloniali, con le industrie alimentari dei paesi ricchi ed è favorita dai governi locali che l’hanno utilizzata per attingere da questa i capitali necessari all’industrializzazione. Essa è motivo di arricchimento per una oligarchia locale, la quale rappresenta un’autentica appendice della presenza coloniale in questi luoghi, oltre che una garanzia del permanente forte divario tra ricchi e poveri. Oggi che la schiavitù è scomparsa si stanno cercando forme di coltivazione e distribuzione le quali possano meglio coinvolgere la popolazione locale, attraverso l’abbandono della rigida monocoltura e lo sviluppo della cosiddetta agricoltura contrattuale.
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Autore: A. di Biase
Fonte: Compendio di Geografia umana; Dagradi-Cencini; Pàtron edizioni
Fonte fotografica: www.rpcotton.org

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