24 maggio 2007

Engels e Turati

di Antonio di Biase
Vale la pena di leggere la corposa biografia che Renato Monteleone ha dedicato a Filippo Turati anche solo per soffermarsi sulla significativa pagina che illustra il rapporto intercorso fra il leader socialista e Friedrich Engels, il quale tanta parte ebbe in Europa nel sostegno alla dottrina del materialismo storico divulgata da Karl Marx.
Coautore del Manifesto del Partito comunista - ma pare non ne abbia scritto neppure un rigo-, Engels fu invece curatore degli ultimi volumi del Capitale: Marx curò (per circa vent’anni) la stesura del primo volume, ma come noto lasciò incompiuta l’opera, la quale venne invece completata dall’amico e compagno di sempre.
Il rapporto fra Turati ed Engels, morto nel 1895, fu complesso e contraddittorio almeno quanto il rapporto tra Turati ed la filosofia materialista di Marx, del quale il leader socialista si considerò strenuo sostenitore almeno fino ai primi anni del Novecento, quando qualche caro amico cominciò a suggerirgli che le sue idee col marxismo avevano davvero poco a che fare.
Turati non era un grande teorico. Si è più volte sottolineato che nella grande vetrina della “Critica Sociale”, la rivista milanese da lui fondata, il leader socialista spesso intervenne per interposta persona ed è opinione di Monteleone che avesse studiato l’opera di Marx in compendio, oltre che attraverso i testi ed il rapporto personale con Antonio Labriola. Ebbe poi – bisogna ricordarlo – una compagna d’eccezione in Anna Kuliscioff, regina dei suoi affetti assieme alla madre, ma anche supporto teorico e critico di prima grandezza.
L’accanimento di Engels nei confronti di alcuni pensatori del tempo diede poi non pochi grattacapo a Turati, in particolare a seguito della stroncatura della prefazione all’edizione italiana del III volume del Capitale, che aveva messo in difficoltà Prospero Loria, fondatore a Milano della Società Umanitaria e grande mecenate del tempo.
E’ però molto interessante riportare le parole con le quali Turati descrisse il suo incontro con Engels, proprio perchè queste ne tracciano un’immagine lontana dallo stereotipo che ne abbiamo oggi: “Per la prima volta avevamo veduto Engels coi nostri occhi, avevamo stretto quella mano saggia, affettuosa e potente, che aveva dettato tanti capolavori e s’era stesa ad additare ai popoli la meta sicura […]. Era dritto, alto, aitante, un che di marziale teutonico e di correttezza britannica. Ma il midollo era rimasto tedesco. Aveva della forte a sana sua razza l’ilarità cordiale e schioccante”.
In occasione della morte di Engels poi, la “Critica Sociale” dedicò al pensatore tedesco nientemeno che una edizione calligrafica, nella quale Turati pensò bene di scomodare le idee di Cesare Lombroso - noto criminologo dell’Ottocento –, per sbilanciarsi in una analisi grafologica della personalità di Engels; non si sa bene quanto fosse attendibile ma è certo interessante e supportata dalla sua lucida impressione personale: “Le curve dolci che attestano bontà; la sobrietà dei tratti, la regolarità, la mancanza di ghirigori, che attestano serietà e franchezza; le lettere legate fra loro e le righe diritte, i punti a posto sugli i che esprimono ordine, precisione, chiarezza d’idee, equilibrio e perfino certi segni speciali caratteristici che Lombroso, nel suo curiosissimo Manuale, assegna all’altruismo, alla tenerezza e al culto dei ricordi”.
Non può non far riflettere la considerazione che oggi Engels sia pensato più o meno alla stregua di un mangiatore di bambini.
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