09 gennaio 2021

TESTO CRITICO SU “LE FAVOLE DELLA DITTATURA” DI LEONARDO SCIASCIA, A CURA DI MARIA MARCHESE


TESTO CRITICO SU “LE FAVOLE DELLA DITTATURA” DI LEONARDO SCIASCIA, A CURA DI MARIA MARCHESE


Leonardo Sciascia “Scrittore dalla breve frase e dal pensiero lungo” : così Leonardo Sciascia caratterizzava Luigi Pirandello. Sin da adolescente, egli fu vittima di un’indiscussa malía, promanata dall’autore di “Uno, nessuno e centomila” , che lo spinse, in seguito, a trovare un rimedio nei confronti della stessa fascinosa personalità, poiché sposava l’illogica realtà siciliana ad un inaccettabile relativismo filosofico. Vitaliano Brancati e il suo realismo divennero, quindi, il suo modello ideale. Il 21 settembre 1948, su uno spoglio di “Sicilia del Popolo” , compare una colonnina che riporta sei favole di Sciascia, il cui titolo è “Favole del dittatore” . Il 22 dicembre dello stesso anno, sul medesimo quotidiano, lo studente Sciascia realizza, per omaggiare Brancati, di cui ammira la lontananza da ogni totalitarismo, un intervento intitolato “Brancati e la dittatura” . Nel 1950 viene pubblicato presso l’editore Borsi, di Roma, “Le favole della dittatura” : l’iter riportato nelle righe precedenti è l’unico elemento che permette di individuare la figura del dittatore in Benito Mussolini e l’oggetto della dissertazione nel governo fascista. Il libro involve 27 brani, espressi attraverso la forma favolistica, ispirati a Esopo, Fedro e Lafontaine nonché agli Animali Parlanti dell’abate Gianbattista Casti. L’attualità della condizione dissertativa viene, invece, chiarita dalle due citazioni che, unitamente al titolo dell’opera, ne costituiscono l’incipit concettuale.
La prima, dalla “Fattoria degli animali” di Orwell (“Le creature di fuori posavano i loro occhi un po’ sul porco e un po’ sull’uomo, sull’uomo e poi sul porco e ancora sul porco e poi sull’uomo, ma ormai era impossibile distinguere l’uno dall’altro) , suggerisce l’innaturale efferatezza del regime stalinista; la seconda, di Leo Longanesi (“Gli storici futuri leggeranno giornali, libri, consulteranno documenti di ogni sorta, ma nessuno potrà comprendere quel che ci è accaduto. Come trasmettere alla posterità la faccia di F. quando è in uniforme e scende dalla sua automobile?”) , si riferisce alla boria del regime fascista. L’intellettuale siciliano esprime, nel testo, brevi scene allegoriche, che evidenziano la somiglianza, ad imis, di entrambe le forme di governo. Adotta, quindi, uno stile volutamente arcaico per sottolineare un comportamento retrivo nonché l’immutabilità degli atteggiamenti dittatoriali, nel corso dei secoli. Ne “Le favole della dittatura” , Leonardo Sciascia sembra raddolcire, attraverso un linguaggio usualmente rivolto al fanciullo, l’assunzione di un’amara compressa. Sotto la dolce pozione letteraria è celato, infatti, un fluire carsico, il cui adombrato eloquio destabilizza e graffia coscienza e stati d’animo. La brevità formale dei passi e la loro laconicità abbracciano esperienze esistenziali prive di una conclusione morale, che indovano l’individuo nel disincanto; mentre l’ossimoro tra competenza letteraria fanciullesca e denuncia sociale destabilizza il lettore, piombandolo nella sfera dell’incertezza. Invero accolgono, addentro, il procedere di una dimensione riflessiva che necessita di un acuto approccio attentivo: passo dopo passo, attraverso l’elaborazione del turbamento, il lettore viene coinvolto entro le soglie del pensiero precipuo, benché disilluso.
L’autore vi imprime la propria ribellione verso il regime dittatoriale e ogni forma di sottomissione perpetrata nei confronti del debole: in esse, lo scrittore dischiude un inconfessato limbo, lontano da utopia e speranza. Egli avvicenda gli animali e, talvolta, l’uomo, mediante una mano semplice e, nel contempo, salace, ironica e altresì sottile, giostrando brevi traslati simbolici assolti, in taluni casi, dai respiri del silenzio, in altri, dal mormorìo emanato dall’incognita. Riporto, qui di seguito, alcuni degli immaginari reali, dipinti dallo scrittore, perché il lettore possa meglio orientarsi nei confronti del contesto che ho fin ora descritto. So quel che pensiSuperior stabat lupus: e l’agnello lo vide nello specchio torbido dell’acqua. Lasciò di bere, e stette a fissare quella terribile immagine specchiata. “Questa volta non ho tempo da perdere “ , disse il lupo: “Ed ho contro di te un argomento ben più valido dell’antico: so quel che pensi e non provarti a negarlo” . E d’un balzo gli fu sopra a lacerarlo. (L. Sciascia) Da Fedro, schiavo liberato , che ben conobbe i meccanismi dei rapporti di oppressione e asservimento, Leonardo Sciascia adotta la favola “Lupus et agnus” , esacerbando il dictat proclamato dal lupo che, oggi, torna con una ragione, a suo dire, indiscussa: la regola del gioco è unica e prevede che le norme di quest’ultimo vengano realizzate e modificate dal più forte, a proprio piacimento.

La prima perla, che si dirime entro le cerchia di un perpetuo e mesto dogma, diviene l’inizio di uno sconfessato rosario, che procede, poi, in una sequela vivace e animata di irrisolte preci. Ma è soltanto un asino Cercando col muso tra i resti di un carro di carnevale, l’asino scoprì una enorme testa di leone: vi infilò dentro la sua e, mezzo accecato da quella testa di cartapesta che intorno alla sua si muoveva come un cappello in cima a un bastone, uscì per i campi tagliando di gioia. Galoppando, entrò in mezzo a un gregge tranquillo, arruffandolo di spavento e di confusione. Subito però il castrato più anziano capì di che si trattava. “Sei il signore di tutti noi” belò; “disponi di noi come vuoi” . L’asino accettò l’omaggio con altissimo raglio. E un agnellino osservò allora al castrato: “Ma è soltanto un asino” . E il castrato: “Stupido, lo so bene che è un asino. Bisogna però trattarlo come un leone, se non vuoi che i suoi calci ti piovano sulla schiena. Quando il padrone verrà a riprenderlo, sapremo come chiamarlo” . Un secondo stralcio, questo, dove convivono altri atteggiamenti stigmatizzati dall’autore: in esso si concretano il servilismo, il trasformismo e l’adulazione da parte degli intellettuali. L’uomo in divisaGuardando l’uomo in divisa, chiuso e rigido dentro tanto splendore, la scimmia pensò: “in fondo la mia condizione non è triste: mangio bene, faccio la mia ginnastica, la gente che si affolla intorno a questa gabbia mi diverte. Ma vorrei tanto avere un vestito come il suo” . Un ultimo esempio, quello sopra citato, che sottolinea la distanza tra la classe dominante e quella subordinata. Pier Paolo Pasolini, che analizzò lucidamente “Le favole della dittatura” , in Libertà d’Italia del 9 Marzo 1951 intravide, nell’uomo in divisa, la figura di Galeazzo Ciano o Achille Storace.

Ho illustrato l’opera di un Sciascia minore, la cui risultanza tessutale si celebra entro le pareti del pensiero scomodo: poteva essere apprezzato ma non amato, poiché la sua intransigenza metteva in luce, agli occhi degli italiani, evidenze che preferivano ignorare. Per enfatizzare le ideologie trattate sin ora, rammemoro alcuni versi tratti da “Ninna nanna della guerra” , composta nell’Ottobre del 1914, da Trilussa: anch’essi vertono su una formula rivolta all’universo infantile per addivenire ad una denuncia sociale. …

Fa la ninna cocco bello

E riuniti fra de loro Finché dura sto macello:

senza l’ombra d’un rimorso,

fa la ninna, ché domani ce faranno un ber discorso

rivedremo li sovrani su la Pace e sul Lavoro che

se scambiano la stima pe quer popolo cojone

boni amichi come prima risparmiato dar cannone!

So cuggini e fra parenti

Nun se fanno comprimenti:

torneranno poi cordiali li rapporti personali Utopia e mondo dell’infanzia divengono, invece, oggi forieri di speranza e cambiamento. Il 17 Novembre 2020, Francesco Tonucci, psicologo del Cnr, vignettista e ricercatore di fama internazionale, viene insignito del titolo “Senior fellow”, nell’ambito dell’Ashoka Changemaker Summit. Il professor Tonucci ama definirsi un “bambinologo” e il suo progetto, in qualità di changemaker, prevede un totale ribaltamento dell’attuale status quo. .Egli sostiene che la città debba essere giocabile: solo un nucleo predisposto in maniera tale che i bambini possano uscire liberi, operare scelte e esperire se stessi può considerarsi democratico. Un luogo pericoloso come, del resto, un luogo riservato non rappresentano una suolo costruttivo: crescere un essere umano nella paura farà di quest’ultimo un individuo fragilissimo. La città di Salò, sul lago di Garda, costituisce un virtuoso e concreto esempio di questa mutazione sociale che, attualmente, trova riscontro non solo in diverse regioni italiane ma altresì in Spagna e in America Latina. Dalla consapevolezza di adulti e bambini può pervenire, quindi, l’atteso cambiamento.

Maria Marchese

 

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