VECCHIO E NUOVO DI ALESSANDRO RAMBERTI a cura di Vincenzo Capodiferro
VECCHIO
E NUOVO DI ALESSANDRO RAMBERTI
“Suggestioni
in versi” laconici, contemplativi e infiniti
“Vecchio
e Nuovo” è una raccolta di versi di Alessandro Ramberti, edita da
Fara, Rimini 2019: «Le poesie di Alessandro Ramberti non sono degli
inni liturgici, ma mi pare pongano la questione come dire e come
lodare? Come parlare del padre di cui cerchiamo le tracce (IV) – e
come parlargli? Non sono degli inni ma sono le parole che si
mormorano per intonare l’inno, per trovare la nota, per accordarsi,
come fanno i musicisti. Sono dei brani musicali che provano di volta
in volta diversi strumenti per trovare - se possibile - l’inno
universale. E queste prove sono segnate da una grandissima
discrezione, perché bisogna che la solennità dell’inno sia stata
a lungo nutrita di discrezione e di silenzio,» scrive il Vermander
(S.J., Professore di Filosofia - Università Fudan - Shanghai)
nell’Introduzione,
tradotta dal francese. Lo stile con cui solitamente Alessandro è
presente nei suoi versi è ermetico (in senso mistico). Questo
ermetismo si ricollega allo stile orientale: non a caso riporta i
versi in cinese, lingua di cui il nostro è innamorato. Il cinese è
l’esempio di una lingua antichissima, che si avvicinava all’egizio,
coi pittogrammi, ancora vivente. Le parole risuonano nel silenzio:
c’è più silenzio che parole! La lingua è pittura, è arte! È
una cornice nel vuoto che esprime un sussurro. La reductio
stilistica rimanda inevitabilmente alla riduzione fenomenologica. La
poesia diviene sussurro dell’anima, come nei mantra orientali, o
nelle rune occidentali. La runa in antico significava sussurro. Il
linguaggio è runico, simbolico. La poesia così diventa sempre
dicotomica, come sottolinea sempre il Vermander: «”Ci troviamo ad
un bivio” … di quale incrocio, di quale crocevia si tratta? Il
carme lascia aperta la pluralità dei sensi. È lì per quello …
Tutto il carme è una sentinella che vigila affinché niente fermi il
senso su se stesso. Ma se dovessi dare la mia personale lettura dei
testi di Alessandro Ramberti direi che qui si tratta dell’incrocio
del linguaggio – e dell’incrocio fra le lingue». L’esistenza è
tutto un bivio. Bivio è incrocio. La vita è croce, è scelta. Ed è
soprattutto scelta tra orizzontale e verticale.
Vera
è l’obbedienza
se
sei scultura che si lascia
scavare
flauto
di
canna vuota
Noi
siamo come canne pascaliane vuote, però l’aria (lo spirito, il
soffio) che passa in noi risuona nel tempio dell’universo come
melodia che si esprime nel linguaggio originario, quello della
poesia-/musica/-ritmo. Il linguaggio poetico come sottolineava
Heidegger nel suo Hördelin,
è sacro. È come diceva Padre Vermander un quasi-inno liturgico
all’universo. In ciò si richiede la massima virtù dell’obbedienza
all’universo. Le canne pensanti suonano come flauti: il pensiero si
esprime soprattutto attraverso la vocalità, il suono, il linguaggio.
Logos
è
pensiero e linguaggio. In principio era il Verbo ed il Verbo era
presso Dio… Il linguaggio poetico originario era di per sé
liturgico, metteva in contatto col divino, con l’Essere. Siamo come
statue viventi, non come gli idoli del salmo, che hanno
bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non
odono, hanno narici e non odorano … Non
siamo la statua di Condillac che viene scolpita dalle sue sensazioni,
o la statua di Leibniz che viene tratta dal marmo secondo le sue
scanalature innate. Siamo statue viventi dell’Eterno.
Basta
quasi un niente
per
incrinarti l’universo
cammello
e cruna
diaframma
e apnea
…
Iniziamo
un discorso
È
il Logos originario: il discorso ha a che fare con scorrere, col
“Panta rei” del profeta Eraclito. Il linguaggio risponde alla
sacra respirazione: ispirazione ed espirazione … Tutta la cultura
della meditazione orientale accentua il momento centrale della
respirazione. I riferimenti evangelici sono sempre presenti: cammello
e cruna. È
più facile che un cammello passi per la cruna di un ago…
D'altronde
Alessandro incipit
col passo marciano: Nessuno
rattoppa un vestito vecchio con un pezzo di stoffa nuova …
C’è
un rumore intorno
non
percepisco di esser pronto
il
cambiamento fa vacillare
Il
cambiamento di per sé è fonte di incertezza. Se da un lato
Alessandro si richiama a Gesù che segna lo strappo evidente tra le
vecchie vesti farisaiche (Il
velo del tempio si squarcia,
come dire: il tempo si rompe. Il Cristo segna l’inizio dell’era
nuova. Tempio… tempo…). “Vecchio e nuovo” sono le due realtà
che consumano l’uomo. Spesso queste due istanze sono in lotta, non
c’è sempre continuità. Il vecchio Adamo è perennemente in lotta
col nuovo Adamo. La silloge alessandrina apre il sipario proprio con
questo dualismo. Il tempo stesso è estasi, uscita-fuori-di-sé, ma
proprio per questo l’essenza della temporalità è rottura del
presente nel passato-futuro.
Facile
è vedere
il
poco resto di una vita
il
nido fragile
in
cui reagisce
L’uomo
è fragile, come insiste anche Vittorino Andreoli. C’è un
riferimento al nido pascoliano. La fonte della nostra parola, la sede
di tutte le emozioni è il petto, il cuore. Questo cuore bolle,
freme…
Ecco
come Alessandro descrive la sua poesia: «Da anni amo scrivere
ricorrendo a forme chiuse. Questa raccolta contiene 51 poesie (più
quella di quarta di copertina) di tre quartine così composte: un
senario trocaico (con accenti sulle sillabe dispari), un novenario
giambico (con accenti sulle sillabe pari) seguito da due quinari pure
giambici. Il titolo corrisponde al primo verso che viene tradotto in
caratteri cinesi con traslitterazione in pinyin. Ogni poesia è
conclusa da un titolo di coda: un settenario anapestico (accentato
sulla terza e sulla sesta sillaba). È un piccolo canzoniere dedicato
al nostro desiderio di eternità …». La poesia di Alessandro è
classica, rispetta le regole, il ritmo. In un certo senso
contravviene alle regole della poesia attuale, che si proclama libera
… ma è prosaica. La poesia è musica, ritmo e perciò stesso
aritmetica, ripetizione, ricorsività. Così ricalca Vincenzo
D’Alessio nella sua epilogia:
«Ramberti definisce questa raccolta: “un piccolo canzoniere
dedicato al nostro desiderio di eternità”, e fa bene poiché la
Poesia è l’olio che alimenta da millenni la fiamma del desiderio
di superare i confini corporei e giungere al traguardo
dell’appartenere alla luce dell’Umanità». L’eternità passa
necessariamente attraverso la rottura del vecchio-nuovo. L’Eterno
si fa tempo e il tempo, come sosteneva Platone, è l’immagine
mobile dell’Eterno. Il momento della rottura è importante, come
sottolinea Anna Ruotolo, in una delle epilogie
dedicate all’autore, insieme ad altri, che non riportiamo qui: «È
dal negativo che ci riviene indietro l’immagine sacra e luminosa
della matrice di ogni paura che, in realtà, è il profondo
desiderare, di ogni rabbia, che è la speranza ininterrotta, di ogni
smarrimento che è la suprema sintonia col mondo». Il linguaggio
della poesia è ritmico, rispetta in ciò il linguaggio della Natura,
che si esprime come dice Galilei in formule matematiche semplici.
Sempre Galilei afferma che Dio ha scritto due libri: la Bibbia e la
Natura. I pitagorici riuscivano ad auscultare il moto degli astri. È
una meraviglia che l’uomo di oggi, completamente frastornato, non
può permettersi più. Possiamo fermarci però ad ascoltare il
mistero profondo di queste poesie di Alessandro. Ogni elegia di
questa silloge finisce in una chiosa, sintesi eterna di tempo ed
atemporalità. Ogni chiosa è proverbio, stupore, meraviglia della
vita, un mondo inchiodato. Il fiume scorre sempre nel suo letto. Il
letto resta. L’acqua non torna mai. Le elegie di Alessandro
somigliano molto ai frammenti dei presocratici: attingono
all’esperienza originaria del Logos. Ci rivelano questo mondo
ancestrale, sedimentato in ognuno di noi, in quello junghiano
inconscio collettivo. Ramberti ci ricorda Turoldo (come sottolinea il
D’Alessio):
è
cimitero la memoria
e
il cercare la lampada rossa
e
cieca, cui la sola
grande
morte porrà rimedio.
La
poesia è il forte richiamo dell’Essere heideggeriano
all’autenticità e questa si adempie solo nell’essere-per-la-morte.
Questo è in poche battute il profondo messaggio di “Vecchio e
nuovo”. Il lettore certamente saprà trarre profonde riflessioni
esistenziali dalla poesia mistica di Alessandro Ramberti.
Vincenzo
Capodiferro
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