21 dicembre 2012

LA GNOSEOLOGIA PURA DI GIUSEPPE ZAMBONI


LA GNOSEOLOGIA PURA DI  GIUSEPPE ZAMBONI
Una filosofia dell’esperienza immediata, elementare ed integrale

 

Ben diversa e molto più aderente alla criteriologia mercieriana è la valutazione della gnoseologia  e del problema critico data da Monsignor Giuseppe Zamboni (1875-1950), dapprima nell’ambito della neoscolastica milanese e dopo il 1931 fuori di essa. Per essere critica e non ingenuamente dogmatica, l’indagine filosofica deve partire dall’esame del conoscere puro da ogni pregiudiziale intrusione metafisica. Questa è la gnoseologia pura! Deve, cioè, fondarsi su di un radicale lavoro di analisi dei dati completi dell’esperienza elementare ed immediata. Lo Zamboni chiama, a proposito, la sua dottrina, la filosofia dell’esperienza immediata, elementare ed integrale. Ma è sempre la persona umana la sede di tutte le scoperte e la coscienza immediata la sorgente di ogni sapere. Non a caso l’opera maggiore di Mons. Zamboni è La persona umana, uscita nel 1940 e l’ultima opera, postuma, reca ancora il suo contrassegno: La dottrina della coscienza immediata è la scienza positiva fondamentale. La dottrina mercieriana poggiava sul principio dell’evidenzialismo, che già in Cartesio, anche se in modo diverso da Desiderato Mercier, aveva trovato il suo apogeo. Per Zamboni l’evidenza logica è già qualcosa di derivato. Occorre cercare i fondamenti sui quali poggiano le stesse verità evidenti e poi tutte le altre nozioni. Questi fondamenti non possono essere innati, o aprioristici, nel senso di gratuiti e mitici, ma possono trovarsi unicamente nell’immediata ed elementare esperienza. L’inventario zamboniano di questa esperienza elementare è dato da: 1) i dati di senso, cioè i contenuti di qualsiasi sensazione, come sapori, odori, suoni, colori. I dati di senso sono oggettivi perché il soggetto li trova presenti a sé. Non sono affatto modificazioni soggettive: quando vedo, ad esempio, una superficie rossa, non mi sento modificato, come per dire arrossato, colgo, invece quel certo rosso come l’oggetto, beninteso  non in senso metafisico; 2) gli stati sentimentali, o affettivi, come gioia, dolore, noia, calma. Queste sì che sono modificazioni soggettive e non semplici tonalità delle sensazioni. Sentire gioia, tristezza, significa infatti, sentirsi lieti, tristi; 3) le immagini che derivano sia dai dati di senso che da quelli sentimentali o affettivi; 4) gli atti dell’io, come l’assenso, il dissenso. Si prova effettivamente qualcosa quando si afferma, o si nega; 5) le funzioni elaboratrici, come l’analisi, la sintesi; 6) l’esperienza dell’io, ciò che si prova quando si avverte la propria esistenza. L’esperienza dell’io è la più importante perché è «l’autocoscienza» o «coscienza che l’io ha di sé come di qualcosa che non inerisce in altra cosa». È l’esperienza viva e diretta della sostanza. Grazie a questa esperienza dico «io» e mi distinguo dal «non-io» e solo in tal modo mi è concesso di considerare il «non io» come in qualcosa, cioè come un oggetto, attraverso un processo di oggettivazione, e poi di considerarne l’essenza, secondo l’astrazione e di riferirla a tutti gli individui della medesima specie, secondo l’universalizzazione. A differenza di Fichte, in cui l’Io oppone il Non-Io a sé, ma a livello idealistico, qui il processo è nel reale. Zamboni interpreta quel misterioso Intelletto agente, che aveva dato da pensare ad interpreti ed interpreti di Aristotele, nient’altro che come la funzione dell’autocoscienza. L’esperienza dell’io, dei suoi atti e delle sue funzioni è definita sovrasensoriale e sovrasentimentale, ed anche intellettuale. La ricostruzione gnoseologico-critica, filosoficamente fondata del modo fisico e spirituale noto si compie sulla base dei dati dell’esperienza elementare e su quella delle funzioni intellettuali. Potremo parlare allora di sostanze applicando una nozione direttamente appresa nella nostra esperienza diretta ed intima a tutte quelle cose che non si possono ricondurre ad accidentalità o modi di altre cose. Potremo parlare di effetti e di cause quando ci troviamo di fronte a cose od eventi che non sono sufficienti ad esistere da soli. La somma applicazione di questo principio ci conduce alla dimostrazione dell’esistenza di Dio. Potremo parlare di evidenza logica tutte le volte che, grazie all’astrazione ed all’universalizzazione, potremo cogliere le necessità intrinseche dei rapporti  che corrono tra due o più dati, come ad esempio tra il raggio del cerchio e la sua circonferenza. Anche in questo caso è dall’esperienza concreta e particolare della figura che consideriamo, nel nostro esempio un determinato cerchio, che saremo indotti alla penetrazione dei suoi rapporti essenziali e per via di astrazione. Una particolare importanza riveste nella filosofia zamboniana il concetto ontologico di sostanza: ogni individuo sostanziale è costituito di un’essenza specifica, attuata da una propria energia esistenziale, ciò che il divo Tommaso definiva come l’actus essendi. Contro ogni tentativo monistico e panteistico, sia spinozistico che idealistico, è possibile riconoscere che in ogni individuo sussiste la più autentica sostanza. E se la contingenza di ogni individuo che non sia Dio rimanda necessariamente a Dio come sua prima causa, è necessario ammettere la trascendenza del primo ente, rispetto al quale gli altri enti esistenti non sono delle semplici modalità o momenti dialettici, ma esseri forniti di propria energia esistenziale. «La vita di Mons. Zamboni non conobbe tregue,» dice Cornelio Fabro. «Così sembrava che la notevole mole del suo lavoro prendesse l’aspetto di un grandioso dialogo con se stesso, di una sete inestinguibile di coerenza con quell’intuizione fondamentale che gli aveva fatto balenare la fondazione definitiva della filosofia, dentro quella problematica che non si articola direttamente con le istanze storiche dei filosofi di Grecia, del Medio Evo e dell’idealismo moderno, ma nell’io stesso che egli viveva e che per i filosofi di tutti i tempi deve essere il luogo ed il medio del filosofare essenziale».

 
Vincenzo Capodiferro

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