LA GNOSEOLOGIA PURA
DI GIUSEPPE ZAMBONI
Una filosofia dell’esperienza immediata, elementare ed
integrale
Ben
diversa e molto più aderente alla criteriologia mercieriana è la valutazione
della gnoseologia e del problema
critico data da Monsignor Giuseppe Zamboni (1875-1950), dapprima nell’ambito
della neoscolastica milanese e dopo il 1931 fuori di essa. Per essere critica e
non ingenuamente dogmatica, l’indagine filosofica deve partire dall’esame del
conoscere puro da ogni pregiudiziale intrusione metafisica. Questa è la
gnoseologia pura! Deve, cioè, fondarsi su di un radicale lavoro di analisi dei
dati completi dell’esperienza elementare ed immediata. Lo Zamboni chiama, a
proposito, la sua dottrina, la filosofia dell’esperienza immediata, elementare
ed integrale. Ma è sempre la persona umana la sede di tutte le scoperte e la
coscienza immediata la sorgente di ogni sapere. Non a caso l’opera maggiore di
Mons. Zamboni è La persona umana, uscita
nel 1940 e l’ultima opera, postuma, reca ancora il suo contrassegno: La dottrina della coscienza immediata è la
scienza positiva fondamentale. La dottrina mercieriana poggiava sul
principio dell’evidenzialismo, che già in Cartesio, anche se in modo diverso da
Desiderato Mercier, aveva trovato il suo apogeo. Per Zamboni l’evidenza logica
è già qualcosa di derivato. Occorre cercare i fondamenti sui quali poggiano le
stesse verità evidenti e poi tutte le altre nozioni. Questi fondamenti non
possono essere innati, o aprioristici, nel senso di gratuiti e mitici, ma
possono trovarsi unicamente nell’immediata ed elementare esperienza.
L’inventario zamboniano di questa esperienza elementare è dato da: 1) i dati di
senso, cioè i contenuti di qualsiasi sensazione, come sapori, odori, suoni,
colori. I dati di senso sono oggettivi perché il soggetto li trova presenti a
sé. Non sono affatto modificazioni soggettive: quando vedo, ad esempio, una
superficie rossa, non mi sento modificato, come per dire arrossato, colgo,
invece quel certo rosso come l’oggetto, beninteso non in senso metafisico; 2) gli stati sentimentali, o affettivi,
come gioia, dolore, noia, calma. Queste sì che sono modificazioni soggettive e
non semplici tonalità delle sensazioni. Sentire gioia, tristezza, significa
infatti, sentirsi lieti, tristi; 3) le immagini che derivano sia dai dati di
senso che da quelli sentimentali o affettivi; 4) gli atti dell’io, come
l’assenso, il dissenso. Si prova effettivamente qualcosa quando si afferma, o
si nega; 5) le funzioni elaboratrici, come l’analisi, la sintesi; 6) l’esperienza
dell’io, ciò che si prova quando si avverte la propria esistenza. L’esperienza
dell’io è la più importante perché è «l’autocoscienza» o «coscienza che l’io ha
di sé come di qualcosa che non inerisce in altra cosa». È l’esperienza viva e
diretta della sostanza. Grazie a questa esperienza dico «io» e mi distinguo dal
«non-io» e solo in tal modo mi è concesso di considerare il «non io» come in
qualcosa, cioè come un oggetto, attraverso un processo di oggettivazione, e poi
di considerarne l’essenza, secondo l’astrazione e di riferirla a tutti gli
individui della medesima specie, secondo l’universalizzazione. A differenza di
Fichte, in cui l’Io oppone il Non-Io a sé, ma a livello idealistico, qui il
processo è nel reale. Zamboni interpreta quel misterioso Intelletto agente,
che aveva dato da pensare ad interpreti ed interpreti di Aristotele,
nient’altro che come la funzione dell’autocoscienza. L’esperienza dell’io, dei
suoi atti e delle sue funzioni è definita sovrasensoriale e sovrasentimentale,
ed anche intellettuale. La ricostruzione gnoseologico-critica, filosoficamente
fondata del modo fisico e spirituale noto si compie sulla base dei dati
dell’esperienza elementare e su quella delle funzioni intellettuali. Potremo
parlare allora di sostanze applicando una nozione direttamente appresa nella
nostra esperienza diretta ed intima a tutte quelle cose che non si possono
ricondurre ad accidentalità o modi di altre cose. Potremo parlare di effetti e
di cause quando ci troviamo di fronte a cose od eventi che non sono sufficienti
ad esistere da soli. La somma applicazione di questo principio ci conduce alla
dimostrazione dell’esistenza di Dio. Potremo parlare di evidenza logica tutte
le volte che, grazie all’astrazione ed all’universalizzazione, potremo cogliere
le necessità intrinseche dei rapporti
che corrono tra due o più dati, come ad esempio tra il raggio del
cerchio e la sua circonferenza. Anche in questo caso è dall’esperienza concreta
e particolare della figura che consideriamo, nel nostro esempio un determinato cerchio,
che saremo indotti alla penetrazione dei suoi rapporti essenziali e per via di
astrazione. Una particolare importanza riveste nella filosofia zamboniana il
concetto ontologico di sostanza: ogni individuo sostanziale è costituito di
un’essenza specifica, attuata da una propria energia esistenziale, ciò che il
divo Tommaso definiva come l’actus
essendi. Contro ogni tentativo monistico e panteistico, sia spinozistico
che idealistico, è possibile riconoscere che in ogni
individuo sussiste la più autentica sostanza. E se la contingenza di ogni
individuo che non sia Dio rimanda necessariamente a Dio come sua prima causa, è
necessario ammettere la trascendenza del primo ente, rispetto al quale gli
altri enti esistenti non sono delle semplici modalità o momenti dialettici, ma
esseri forniti di propria energia esistenziale. «La vita di Mons. Zamboni non
conobbe tregue,» dice Cornelio Fabro. «Così sembrava che la notevole mole del
suo lavoro prendesse l’aspetto di un grandioso dialogo con se stesso, di una sete
inestinguibile di coerenza con quell’intuizione fondamentale che gli aveva
fatto balenare la fondazione definitiva della filosofia, dentro quella
problematica che non si articola direttamente con le istanze storiche dei
filosofi di Grecia, del Medio Evo e dell’idealismo moderno, ma nell’io stesso
che egli viveva e che per i filosofi di tutti i tempi deve essere il luogo ed
il medio del filosofare essenziale».
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