17 luglio 2012

Narni sotterranea


Narni sotterranea  (di Sybilla Quanti)



Narni è un grazioso borgo in provincia di Terni, nella regione Umbria, sorge su una collina nel centro geografico preciso dell’Italia: è sormontata dalla rocca albornoziana risalente al 1371, fortemente voluta dal cardinale E. De Albornoz, vicario papale. Essa domina la splendida vallata del fiume Nera. Tale castello si è poi trasformato in carcere ai tempi di papa Gregorio XVI, e resterà carcere anche per lo stato italiano fino ai primi del ‘900 (oggi è un museo). Questa prigione non è stato l’unico luogo di detenzione a Narni, e nemmeno il più misterioso…
Infatti, è particolarmente interessante scoprire quanto l’amore di alcuni concittadini per il loro borgo sia riuscito a donare ai visitatori inconsueti ritrovamenti archeologici. Nel 1979, un gruppo di ragazzi era solito calarsi per gioco lungo un dirupo ed effettuare escursioni speleologiche nelle cavità dei dintorni: così, ha casualmente ritrovato non solo un convento medievale con annessa una chiesa rupestre ipogea, ma anche una sala ed una cella con delle strane scritte murarie.
La passione di alcuni volontari (tra i quali, anche uno dei giovani speleologi iniziali) è proseguita nelle ricerche in vari archivi storici, in Italia, nel Vaticano e pure in Irlanda, per trovare la documentazione che spiegasse l’origine e lo scopo di quelle sale. Dalle difficili ricerche, è emerso che quei locali annessi al convento erano utilizzati durante la Santa Inquisizione per interrogare e trattenere dei prigionieri, evento alquanto insolito per la regione umbra.
Attualmente il luogo è visitabile: si entra dai giardini panoramici di San Bernardo nel complesso conventuale chiamato di San Domenico risalente al XII Secolo (sebbene qualcuno ritenga sia più opportuno intitolare il complesso alla Madonna, con l’appellativo di Santa Maria Maggiore, o Santa Maria in rupe; altri studiosi ancora ritengono che l’attribuzione esatta per la cappella e il convento sia a Santa Restituta).
Attraversato l’ingresso principale, si trova una cappella ad una singola navata, con un abside e altare in pietra: l’abside è sormontato da affreschi con immagini di angeli, santi, ed altri simboli, intorno alla figura centrale del Cristo. Dietro l’altare si scorge un affresco che riproduce probabilmente l’Annunciazione (il dipinto richiederebbe un restauro).
Proseguendo oltre, si trovano resti di una cisterna, presumibilmente collegata ad una domus
romana: Narni, infatti, era stato un antico insediamento romano intorno al 300 a.C. con il nome di Narnia (si ritiene che lo scrittore Clive Staples Lewis abbia scelto il nome Narnia per la sua saga di sette romanzi – le famose “Cronache di Narnia” –  dopo aver appreso il suo nome latino su una antica carta geografica dell’Italia in cui era riportata la città di Narni; in effetti, le atmosfere della Narni medievale, con la sua rocca di Albornoz e la vallata con le gole del Nera, ricordano alcuni luoghi narrati dallo scrittore).
Si arriva poi alla sala che oggi sappiamo essere utilizzata per le torture, come era ipotizzabile osservando le tracce lasciate dagli strumenti di tortura sulla muratura: attualmente, infatti, si possono vedere esempi di alcuni strumenti che servivano ad estorcere confessioni (per es. catene e un lungo tavolo dove i prigionieri venivano legati, stirati ed allungati fino a rompere le ossa di gambe e braccia: per un’istruttiva rassegna sugli strumenti usati dall’Inquisizione, è utile visitare il Museo delle Torture della città Stato di San Marino). Grazie ad un preciso lavoro di ricerca presso gli archivi comunali prima, e poi gli Archivi Vaticani e la biblioteca del Trinity College a Dublino, è stato possibile risalire ad una rara documentazione che assegnava a Narni, appunto, il ruolo di città addetta ad interrogatori della Santa Inquisizione: gesuiti e domenicani erano incaricati di questo tremendo compito.
La sala delle torture è collegata ad una cella di dimensioni ridotte, a cui si accede da una piccola porta: per entrare occorre abbassarsi, e questo era voluto affinché i prigionieri riflettessero sul bisogno di umiltà e sottomissione, per purificarsi dalle accuse di eresia.
In questa cella si possono osservare una serie di iscrizioni, con numeri, simboli, lettere e disegni di difficile interpretazione.
Si ritiene siano stati lasciati tutti dal medesimo prigioniero, che intendeva così mandare un messaggio ai posteri, o forse solamente tentare di sfogarsi e non impazzire dopo le torture e la lunga permanenza in una cella tanto piccola ed umida. Il prigioniero, però, non desiderava che le sue scritte fossero capite o censurate dai suoi carcerieri, e quindi ha utilizzato un codice non facilmente decifrabile.
Un simbolo ricorrente è una croce su un monte: sebbene la prima semplice spiegazione di questo particolare dei graffiti sia il Monte del Calvario, quindi una rappresentazione cattolica, non bisogna dimenticare che tale simbolo è anche legato agli ambienti massonici. La massoneria, un ordine iniziatico con diffusione in tutto il mondo, che si prefigge un ideale di perfezione, si ritiene abbia avuto inizio nel 1700, ma alcuni studiosi pensano che abbia origini ancora più antiche, fino ad arrivare alla costruzione del Tempio di Re Salomone.
Altri dettagli nella cella scoperta a Narni rimandano all’universo massonico, come il sole e la luna, gli opposti di luce e oscurità, oro e argento, conoscenza svelata e conoscenza ancora da svelare, o alcune sequenze numeriche, dove ricorre il numero sette.
Chi fosse questo prigioniero è ancora in fase di studio: forse un importante esponente massonico, custode di notevoli segreti che interessavano alla Santa Inquisizione, magari i nomi di altri affiliati? O solamente un povero perseguitato per le sue credenze in contrapposizione con quanto la Chiesa dell’epoca esigesse, che si esprimeva in modo naif?
Sarebbe interessante approfondire gli studi: l’associazione culturale che si occupa degli ambienti di Narni sotterranea chiede sempre ai suoi visitatori se hanno qualche intuizione o conoscenza sui simboli dei graffiti che sia utile per aprire nuovi percorsi di ricerca.




                                           









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