08 gennaio 2007

"Il processo all'Ordine dei Templari" di Alberto Lapidari

Il processo all'Ordine dei Templari

Il motivo principale per il quale ci si accosta facilmente all’ultimo testo sui Templari scritto da Alberto Lapidari - giovane storico non professionista, ma molto ben documentato -, è l’intenzione prontamente mantenuta di tenersi lontano dal tradizionale filone fantastico e filoesoterico che normalmente caratterizza i testi sull’argomento e che, se non stanca mai i dietrologi e i 'maghi', finisce per allontanare inesorabilmente gli amanti delle letture stuzzicanti.

Il testo è abbastanza breve perchè raccolto nel tipico formato tascabile della collana di saggistica “Il calamo e la ferula” dell’editore Solfanelli di Chieti.

Il tema sviluppato da Lapidari in quella che è anche stata la sua tesi di laurea è dunque prettamente storico e si focalizza, cogliendo probabilmente il nocciolo della questione, sul processo a quello che viene definito come l’ordine monastico più glorioso della storia della cristianità.

La prima cosa che colpisce è il contrasto tra l’immagine che una certa letteratura ci lascia dell’Ordine e quella che emerge dall’analisi della documentazione storica e dallo studio del contesto politico e religioso del tempo. Clemente V, un papa politicamente debolissimo - così debole da essere costretto a spostare la sede papale da Roma ad Avignone, dando in questo modo inizio al celebre settantennio di cattività -, cerca di difendere l’Ordine del Tempio dalle accuse infamanti che il “religiosissimo” re francese Filippo il Bello ha raccolto contro quest’ultimo. La sodomia e l’idolatria nei confronti del cosiddetto e mai rinvenuto “Bafometto”, - un nome che probabilmente non fu scelto a caso dagli inquisitori del tempo per la sua assonanza con “Maometto” – oggi sarebbero state credute poco realistiche o magari condannate per l’appartenenza degli accusati ad un ordine religioso, ma certo l’accusa rivolta ai Templari – e confermata da molte confessioni, sia pur sotto tortura, come emerso troppo tardivamente – secondo la quale nelle procedure di ammissione i novizi erano invitati a “sputare sulla croce”, anche oggi farebbe rabbrividire i più.

Lapidari ricorda inoltre che, come del resto anche oggi avviene, non tutti gli appartenenti al famoso ordine militare erano persone di cultura. Fra loro vi erano anche individui modesti che si ritrovarono in uno scandalo ed un processo più grandi di loro.

Nel testo viene anche ricordato che non si può escludere la pratica della sodomia da parte di singoli appartenenti all’ordine, ma certo i Templari godevano – nonostante le voci di popolo ben sfruttate dall’accusa - di una considerazione eccezionale per la propria condotta morale, cosa questa che si nota per via di alcuni particolari citati dall’autore: la ricchezza accumulata dall’Ordine – soprattutto immobiliare - era a quel tempo considerevole e tale da potersi considerare appetibile per uno stato in grave difficoltà economica come la Francia di Filippo, al punto che si sospetta sia stata questa la vera ragione storica delle false accuse che gli furono rivolte; eppure è notevole ricordare che fu desiderio del pontefice istituire all’uopo tribunali ecclesiastici costituiti da una maggioranza di frati francescani e domenicani, cioè dai cosiddetti ordini mendicanti. Non può non stupire questo frangente perché ricorda che i Templari, pur gestendo collettivamente un enorme patrimonio, presi singolarmente non possedevano che le proprie vesti. Se poi non bastasse il contesto processuale per rendersi conto della considerazione nel quale era tenuto l’Ordine, si può ricordare che ispiratore della Regola templare era stato San Bernardo da Chiaravalle, il quale ne aveva anche tessuto le lodi nell’opera “Elogio della nuova cavalleria” ed aveva donato loro la Regola benedettina.

Altre cose poi fanno pensare ad obiezioni più sensate sulle attività del Tempio: ad esempio in un’epoca nella quale i tassi di interesse non erano controllati come oggi, i Templari contendevano agli Ebrei il primato sul “credito”, ma agli inquisitori del tempo questa dovette sembrare un’accusa troppo debole per gli usi vigenti. Oppure va ricordato l’uso di custodire gelosamente le procedure di ammissione all’Ordine e di evitare di parlare pubblicamente di certi argomenti; ma quello che oggi parrebbe anacronistico dovette all’epoca sembrare comprensibile pensando che questa era una prassi diffusa in molte scuole di filosofia dell’antichità’.

Nel complesso si deve ribadire che “Il processo all’Ordine dei Templari” è un libro pregevole sull’argomento, nuovo e sintetico, meritevole per lo sforzo documentario anche se non integralmente condivisibile nei giudizi.

Un appunto? Lapidari è fin troppo polemico nelle sue conclusioni, soprattutto quando ci tiene a sottolineare che l’Ordine del Tempio è oggi estinto, come se davvero fosse necessario sottolinearlo e come se, in fine, l’affermazione nascondesse invece una qualche preoccupazione. In questo frangente l’autore va rassicurato. L’Ordine del Tempio è estinto, ma per fortuna molte altre Regole sono sopravvissute. Nessun orizzonte dello spirito è svanito con l’estinzione dell’Ordine dei Templari.

(A. di Biase)

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