03 ottobre 2006

"E per tetto un cielo di stelle": storia di Salvatore Furia

di Gianni Sparta' (tratto da La Prealpina del 24 settembre 2006)


Uno psicanalista direbbe che, arrivato a Varese dalla natia Catania, Salvatore Furia ha sentito la mancanza dell'Etna. Lui ride, non lo esclude e la racconta così: «Sceso dal treno alla stazione dello Stato ho visto all'orizzonte il massiccio del Campo dei Fiori. L'ho visto per intero, dalla base alla vetta, perché a quel tempo, ottobre del 1940, lo sguardo sulla città non era oscurato dai palazzi. L'ho visto all'ora del tramonto, col sole che rosseggiava e la prima cosa che ho fatto, una volta sistemato nella casa della nuova vita, mi ci sono arrampicato in sella a una bicicletta da donna. Non me ne sono allontanato più e sono passati più di sessant'anni». Il Professore, classe 1924, è seduto alla scrivania del suo Centro geofisico dal quale ogni santo giorno alla sette della mattina detta ai lombardi le previsioni del tempo attraverso i microfoni del radiogiornale Rai e le conclude augurando a tutti "pensieri positivi". Il libro della memoria si apre il giorno dell’equinozio d’autunno e lui dilaga mentre nella stanza accanto la fedele Rosy segue come un satellite-spia le orbite oratorie del grande affabulatore. Se sbaglia qualche data interviene premurosa e alzando la voce corregge. Prima di tutto la famiglia: il padre, mezzadro in un podere nella piana catanese, aveva insegnato al piccolo Salvatore dove trovare la Stella polare e l'Orsa minore nel cielo buio. Il resto lo imparò lui da solo, approfondendo studi di astronomia e cominciando a spiegare i misteri dell'universo ai ragazzi nelle scuole, agli impiegati e agli operai nei corsi del dopolavoro. Decine, centinaia di conferenze caratterizzate da tre forze naturali: l'eloquio fluente, l'amore per il Creato, la voglia di emergere che in un siciliano si moltiplica al quadrato quando oltrepassa lo Stretto di Messina. Ed eccola la storia di un’avventura che compie 50 anni: la "Cittadella delle scienze" del Campo dei Fiori e cioè l'osservatorio astronomico sbucato dal nulla a 1300 metri sul livello del mare, un orto botanico, una stazione per la registrazione di frane e terremoti, un centro meteorologico e -quel che pare contare di più- una scuola che ha allevato in mezzo secolo non meno di cinquemila giovani marmotte della fisica, dell'astronomia, della matematica. Qualcuno ha fatto carriera e declina il verbo appreso sulla montagna in aule universitarie e centri di ricerca.In principio, nel 1956 e dintorni, fu un treppiede sul quale Salvatore Furia montava il suo binocolo puntandolo nell'oscurità in direzione della Luna e di Andromeda. Poi venne una baita di legno, issata sulla cima non ancora popolata di larici e di abeti. Infine spuntò una cupola di rame e cemento, anzi una specola dalla quale mirare astri e pianeti col telescopio. Sembra una favola: Furia ci mise il lavoro, il carisma, la passione, la fede, sì, anche le fede. Una nobildonna, Sofia Stringher Zambeletti, discendente degli industriali farmaceutici sposata a un famoso banchiere, gli donò centomila metri quadrati di bosco al Campo dei Fiori. Un imprenditore di origini cinesi che fabbricava abiti e impermeabili con i marchi Facit e Valstar, Sai Chang Vita, gli regalò cinquanta milioni degli anni '60 per innalzare i muri dell'osservatorio. E un sindaco, Lino Oldrini, buttò le braccia al collo all’immigrato catanese che riusciva a farsi dare soldi dai varesini. Il primo cittadino, aveva proposto di farlo sulla collina che sovrasta i Giardini Estensi l'osservatorio astronomico. Furia si oppose e la vinse. Negli anni successivi ebbe un altro alleato, il sindaco Mario Ossola. Il club varesino degli astronomi per caso si diede un nome: società Schiaparelli in omaggio all'eccellente astronomo che aveva studiato l'origine delle stelle cadenti concludendo che esse erano frammenti della cometa di Swifftuttle il cui ritorno sulle nostre teste è accompagnato da oscuri presagi. Centrerà in pieno la Terra - dicono - ma i contemporanei si rilassino: accadrà nel 2126. Qualche nome dei soci originari: Tonino Piccinelli, Mario Tagliabue, Orlando Morelli, Giorgio Cavalieri. Nelle torre littorea di piazza Monte Grappa la prima sede, subito abbandonata perché il manufatto, attaccato dai partigiani durante la guerra, cadeva a pezzi. In un angolo di Villa Mirabello la seconda sistemazione «in punta di piedi - racconta Furia - per non urtare la suscettibilità di Mario Bertolone, santo protettore del museo e delle sue collezioni». Quanti ricordi in cinquant'anni. Il giorno della grande scelta, ad esempio: «Mi chiamò Francesco Zagar, grande matematico celeste, direttore dell'osservatorio di Brera dove lavoravo da volontario negli anni '60», rivela il Professore. «Voleva andassi con lui a Cape Canaveral a fare calcoli sulle prime missioni lunari. Gli dissi di no, con qualche frattura in famiglia. All'America preferii Varese». Oppure il giorno dell'incontro con Sai Vita: «La domenica mattina fuori della basilica di San Vittore mettevamo i banchetti con le foto delle osservazioni astronomiche e io facevo conferenze, spiegavo, parlavo. Un signore con un codino di capelli, un pastrano blu elettrico e un bastone di bambù tra le mani si avvicinò e mi disse: "Lei affascina, io le do i soldi per costruire l'osservatorio. Non mi deluda"». Poi l'impatto, non morbidissimo, con Sofia Stringher Zambeletti: «Mi diede appuntamento al Campo dei Fiori e tardò più di un'ora. Vidi arrivare una signora elegantissima che disse: "Cerco un certo Furia, sapete chi è?". Gli risposi seccato: "Veramente Furia sono io e aspetto da un'ora una certa Zambeletti". Si fece perdonare la straordinaria Sofia. Qualche giorno più tardi mi telefonò il vecchio notaio Zanzi e mi invitò a sedermi perché doveva darmi una notizia da svenimento: "Ho qui in studio la signora Zambeletti, le regala centomila metri quadrati di bosco. Contento?". Io ne avevo chiesti per sbaglio 25mila, contravvenendo alle raccomandazioni di Oldrini che ne riteneva sufficienti 2500».Già: è lastricata di fatiche e donazioni la storia della Cittadella. Le fatiche di Furia e dei suoi ragazzi che negli anni '60 costruirono la strada per Punta Paradiso spaccando pietre, facendo esplodere mine, picconando il bosco da mattina a sera. E le donazioni di personaggi, tutto sommato rimasti nell'ombra, ai quali si deve affetto e gratitudine. Ciò che hanno fatto, fidandosi di uno scienziato autodidatta salito dalla Sicilia, l'ha avuto in dote la città. Sono diventate tre le specole. La seconda la donarono i Mascioni di Cuvio alla fine degli anni '90, la terza è stata costruita con contributi pubblici, per lo più della Provincia. E Varese si ritrova un patrimonio di attrezzature e di conoscenze immenso. Dicono che tutto si è disposti a perdonare al o prossimo, tranne il successo. E' vero prof? «A me l'hanno perdonato. Qualche invidia, qualche sassata. Ma che sarà mai. I varesini mi hanno sempre voluto bene».

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