03 gennaio 2024

MES, IL FLOP DI FINE ANNO di Antonio Laurenzano


MES, IL FLOP DI FINE ANNO

di Antonio Laurenzano

Consegnato alla storia il 2023. Un anno che, a livello comunitario, si è chiuso con non poche contraddizioni politiche e convulsioni economiche in particolare, che hanno segnato i rapporti fra i 27 Stati membri dell’Unione europea. Prima la forte onda d’urto della stretta monetaria voluta dalla Bce, poi la tormentata riforma del Patto di stabilità con le future regolare di bilancio dei Paesi Ue, infine la kafkiana vicenda del Mes, il fondo salva-Stati, chiusa senza botti finali, ma con un clamoroso flop per la mancata ratifica dell’Italia, con maggioranza e opposizione parlamentare spaccate al loro interno.

Il Meccanismo europeo di stabilità finanziaria (Mes) è la “cassaforte” dell’Eurozona, l’embrione di un Fondo monetario europeo, istituito nel 2012 per dare sostegno ai singoli Stati in caso di crisi finanziaria e di rischio default attraverso prestiti economici, acquisti di titoli di Stato. Organizzazione intergovernativa, con sede in Lussemburgo, il Mes è gestito dal Consiglio dei Governatori (i ministri di Ecofin) e da un Consiglio di Amministrazione. Dal 2017 si parla di riforma del Mes per potenziare la coesione dell’Eurozona e tutelarne la stabilità finanziaria. La riforma ridisegna l’azione del Mes con l’obiettivo di prevenire le crisi invece che intervenire drasticamente una volta scoppiate con programmi di salvataggio che sono costati la cattiva fama al Mes in Grecia. Rafforzare cioè le linee di credito precauzionali, utilizzabili nel caso in cui un Paese venga colpito da uno shock economico e voglia evitare di finire sotto stress sui mercati. La ristrutturazione del debito pubblico (tagli alla spesa, privatizzazioni, liberalizzazioni, fisco) è richiesta soltanto in condizioni estreme (“condizionalità rafforzate”), quando il Paese è sul baratro del fallimento, mentre non è una precondizione per aderire agli aiuti del Mes quando il Paese, con parametri deficit-debito in linea, non ha perso l’accesso ai mercati finanziari. Le proposte di modifica al Trattato, dopo un “accordo politico preliminare” nel giugno 2019, sono state approvate dall’Eurogruppo nel gennaio 2021.

La riforma intendeva inoltre attribuire al Mes un paracadute finanziario (“backstop”) per il fondo salva-banche Srf, il fondo unico di risoluzione bancaria alimentato dalle banche stesse, qualora, in casi estremi, fossero finite le risorse a disposizione per completare il recupero delle banche in difficoltà. E’ uno dei tasselli mancanti dell’Unione bancaria nel processo d’integrazione economica e finanziaria dell’Eurozona: la garanzia europea sui depositi nelle banche che tuttora grava sui sistemi nazionali. Una rete, quella del Mes, dunque da usare sia in caso di crisi dei debiti sovrani, sia in caso di crisi sistemiche bancarie, nell’ottica della “mutualizzazione” del rischio e di una maggiore trasparenza dell’ordinamento monetario.

Per l’Italia il Mes è stata una storia infinita. Una diatriba fra Roma e Bruxelles che per anni ha animato il dibattito politico e le interlocuzioni comunitarie. E’ stato il primo governo Conte (M5S e Lega) a respingere inizialmente l’approvazione. Il Conte II (M5S e PD), nel giugno 2019, raggiunse un accordo politico preliminare sulle proposte di modifica al Trattato che, grazie anche alla generosità del Recovery fund, si concretizzò nel voto a favore nell’Eurogruppo del gennaio 2021. Con Mario Draghi alla guida di Palazzo Chigi la strada per la ratifica parlamentare sembrava ormai in discesa, ma nella sua variegata compagine governativa non fu mai trovata una comune linea d’azione. E così la patata bollente della ratifica del Mes è finita nelle mani del nuovo inquilino di Palazzo Chigi, Giorgia Meloni, con i problemi e le riserve del passato.

Intorno alla riforma dell’ex fondo salva Stati, al quale l’Italia ha contribuito con un capitale sottoscritto di 125 mld di euro, si è nel tempo materializzato un reticolo di questioni legate tutte alla governance europea, prima fra tutte la richiesta di maggiore flessibilità per trasformare il Mes da strumento per la protezione dalle crisi del debito sovrano e bancarie a un volano per gli investimenti e il sostegno contro le recessioni economiche. Una strategia non accettata dai partner europei (Germania e “frugali”) che hanno respinto al mittente il tentativo di scambio (“la logica del pacchetto” di Giorgia Meloni) tra l’alleggerimento delle future regole comunitarie di bilancio del Patto di stabilità e la ratifica della riforma del Mes.

Alla base delle “ragioni del no” dell’Italia, accolto con “rammarico e delusione” a Bruxelles, il rischio paventato di ristrutturazione del debito e relativo commissariamento a danno della sovranità economica, oltre alla carenza nella proposta di riforma di meccanismi di coinvolgimento del Parlamento nel procedimento per la eventuale richiesta di attivazione del Mes. Osservazioni critiche anche per l’intervento “salva-banche”: serve un controllo, una verifica davanti al Parlamento di Straburgo, e non la discrezionalità esclusiva degli organi direttivi del Mes. Ma al di là delle alchimie e dei bizantinismi politici, per l’Italia, fuori dai parametri nei rapporti deficit-debito/Pil, con un debito di oltre 2.800 miliardi di euro e interessi che nel 2026 supereranno i 100 miliardi annui, non ci sono le condizioni per accedere senza lacrime e sangue agli aiuti del Mes: assoluta inagibilità dello strumento del “credito precauzionale”. Nel commento finale del ministro dell’Economia Giorgetti, che ha l’ingrato compito di negoziare (in solitudine) in Europa, la conferma: “Uno strumento di difesa in più, per contenere eventuali contagi, sarebbe stato più comodo, ma il Mes non è la causa né la soluzione del nostro problema, che si chiama debito, da tenere sotto attento controllo”. Un debito, in parte detenuto dalle nostre banche: un “abbraccio mortale” tra BTP e sistema bancario pari a 665 miliardi euro, a fronte di un patrimonio netto complessivo di 358 miliardi. Debito dunque da monitorare per prevenire un nefasto effetto domino.

Con il no alla ratifica dell’Italia, il Mes continuerà nella sua formulazione originaria senza le modifiche ai Trattati, intervenendo in caso di una crisi del debito nell’Eurozona. Nella ipotesi di crisi bancarie, venendo a mancare il “paracadute finanziario”, sarà il fondo salva-banche Sfr, a intervenire per scongiurare sfiducia e panico fra i risparmiatori, così da generare una crisi a catena tra gli altri istituti di credito dell’Eurozona. Ma sarà sufficiente per scongiurare il rischio di una Silicon Valley Bank made in Europa, capace di travolgere tutti, anche egoismi nazionali e credibilità internazionale? Il 2024 per l’Italia inizia decisamente in salita.


 

2 commenti:

  1. Anonimo18:14

    Caro Antonio, sono assolutamente d’accordo con te e non mi faccio alcuna illusione Fino a quando la. la classe politica (per usare un eufemismo) sarà quella di adesso.
    Un abbraccio e buona serata
    Nino

    Buona serata

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  2. Anonimo13:00

    Buongiorno, grazie per il suo commento

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