ANIME NUOVE DI VINCENZO D’ALESSIO a cura di Vincenzo Capodiferro
ANIME
NUOVE DI VINCENZO D’ALESSIO
Un
nuovo canzoniere dal sapore stilinovistico
“Nuove anime.
Poesie” è una silloge dell’autore Vincenzo D’Alessio - che già
conosciamo su Insubria
per altre opere - edita da Fara, Rimini 2019. Questa ultima fatica
letteraria di Vincenzo ci rivela “miliardi di avi nel nulla”:
«Chi può definire l’anima inquieta e bistrattata del poeta, la
sua capacità di fare memoria e aprirci gli occhi? …?», così
Alessandro Ramberti nella Prefazione
si pone delle domande. Anche Heidegger si poneva il dilemma -
riferendosi ad Hordelin -: perché
i poeti nel tempo della povertà? Ed
Alessandro risponde: «Solo nei poeti, solo nella porziuncola poetica
e creativa che c’è in ognuno di noi, magari celata, negletta,
sotterrata da cumuli di preoccupazioni o da effimere fiammate
emotive, solo in quel vertice sfuggente ed umile, potente e
generativo, che potemmo chiamare spirito, troviamo quella scintilla
di divino che a riflettere una verità che ci abbraccia, ci eleva, ci
accompagna:
l’amore
tiene il cammino
senza
scogliere sul mare
del
silenzio etereo…».
La
porziuncola sa di francescanesimo! Il tema struggente della poetica
dalessiana è un meridionalismo non politico, ma esistenziale, un
sudismo non accademico, ma concreto, ma soprattutto la nostalgia del
paese, della civiltà contadina.
c’era
una volta un paese felice
dove
la gente pensava al lavoro
ogni
giorno benediceva, quello
che
i campi donavano loro
(poesia
n.1)
Tutti
sono innamorati di quella civiltà. Basti pensare, a mo’ d’esempio,
al leviano Cristo.
Levi
torna nel luogo dell’esilio. Perché? È difficile tornare nei
luoghi dell’esilio. Gli ebrei lo sapevano, quando erano a
Babilonia: E
come potevamo noi cantare i canti di Sion in terra straniera? Ai
salici di quella terra abbiamo appeso le nostre cetre. Il
forte tema di questo salmo sarà ripreso dal Quasimodo. Perché tutti
ricordano, con affetto, gli anziani, gli adulti, i giovani, quei
tempi spensierati della civiltà agricola preindustriale? Forse che
Rousseau non aveva ragione?
tornerò
da mendicante
nei
vicoli trasognati dei paesi
irpini
sparsi sui dorsi
di
elefanti impietriti
(poesia
n. 2)
Anche
qui riemerge forte il topos classico dell’Ulisse che torna alla sua
Itaca vestito di cenci:
nessuno
toccherà le mie vesti…
Questo
tema forte del ritorno viene brillantemente centrato da Colomba Di
Pasquale nella sua nota critica: «La canzone e le migrazioni. Il
poeta fa parlare luoghi e nostalgie … La quieta polvere di Emily
Dickinson e scorgo in lontananza un Vittorio Sereni che si sporge su
questa silloge».
D'altronde
- mi perdoni l’intersezione coi miei versi, ma il tema è
fortissimo e coinvolgente e con Vincenzo posso permettermi - anche
noi avevamo annotato questo tema della “sinestesia”del ritorno:
… solo
tu, pastore ancora rimasto
a
transumare, solo tu di una milizia
di
guerrieri estinti, solo tu ragazza
trionfante
tra le capre sbuffanti,
tediate
dalla secca erba, sei rimasta
di
uno stuolo antico di amazzoniche
brigantesse.
Sei rimasta a ricordare
un
tempo che fu. Solo tu gualano,
solo
tu zappatore che sempre zappi
con
la gobba ricurva sull’angusta terra
ci
aspetti al ritorno dall’esilio.
Dobbiamo
ringraziare veramente di cuore Rocco e Carmine per aver accolto noi
poveri poeti sul sito “Visita la Lucania”: non abbiamo i fondi
per pubblicare i nostri versi smemorati! Ma torniamo al nostro
Vincenzo:
non
piangerò per te
fontana
antica abbandonata
al
destino da orridi uomini
(poesia
n. 6)
E
come non ricordare le fontane dei pastori? Ognuna aveva un nome, una
storia. C’erano i “pilacci” una specie di vasche, ove si
abbeveravano gli armenti. Una di queste fontane antiche si trova
ancora sul Monte di Raparo. Ci andavamo ad abbeverare anche noi, come
capri, quando seguivamo la cresta immensa del monte che faceva a
croce, sulle tracce dell’aereo perduto della seconda guerra
mondiale. Un’altra si trova ad Acqua Russo, vicino il podere del
nonno Vincenzo: anch’io reco lo stesso nome di Vincenzo e questo
nome ci accomuna nell’omen.
ride
il fanciullo
dal
cuore verde
ha
mani nuove
(poesia
n. 33)
Vi
si respira il panismo naturalistico dannunziano. Anche Gabriele fu
ispirato da questo mondo ancestrale: Settembre,
andiamo. È tempo di migrare …
non
aprite il cuore dei poeti
socchiudete
l’uscio nell’attimo
fuggente
(poesia
n. 36)
Anche
qui non mancano riferimenti classicistici come il carpe
oraziano. Il cuore dei poeti è uno scrigno di tesori, ma anche di
dolori: è il vaso di Pandora. Aprirlo significa spargere l’angoscia,
la nostalgia profonda che proviene dagli archetipi junghiani
reconditi dell’inconscio collettivo. È il cuore ungarettiano, come
in San
Martino …:
Ma
nel cuore/ nessuna croce manca. È il mio cuore/ il paese più
straziato. Come
somigliano i nostri paesi abbandonati ai paesi della guerra! Andate
qualche volta a Craco vecchia, entratevi entro … avrete delle
sensazioni spaventose, di sublimità mistica. Pare di essere sulla
luna!
dai
capezzoli rossi
delle
vigne sai come
l’Autunno
dona giorni
(poesia
n. 31)
Vincenzo
non usa mai la maiuscola, la usa solo per Autunno, personificazione
della Natura. Bellissima questa immagine della madre Terra che
allatta i suoi figli, col vino/latte, ambrosia dionisiaca! Anche
Nietzsche fu ammaliato da Dioniso. Gli Dei ci hanno concesso di
partecipare al loro banchetto, a bere il loro succo profumato: il
“profumo di mosto selvatico”, come il film … Come non ricordare
quando ci mettevano a piedi nudi nei tini a calpestare i grappoli? Ci
ubriacavamo al solo odore del mosto! Qui ci è d’uopo ricordare un
altro San Martino - non del
Carso,
ma quello carducciano -: dal
ribollir de’ tini/ va l’aspro odor dei vini/ l’anime a
rallegrar. Dioniso,
padre della poesia, è il dio delle vita/vite. Ci ricorda nondimeno
il canto santo: Signore
di spighe indori/ i nostri terreni ubertosi/ e le vigne colori/ di
grappoli gustosi.
quel colorare ce lo ricorda anche il D’Alessio:
la
pergola dell’uva
tinge
l’aia calda
(poesia
n. 33)
Nuove
anime ci
ricorda - perché no? - quell’esperimento del Dolce
Stil Novo. D'altronde
Vincenzo appartiene alla setta dei poeti irpini: un gruppo di
intellettuali innovatori. La poesia è anima, ma queste anime nuove
sanno d’antico: O
bellezza sempre antica e sempre nuova. Tardi ti amai!
esclamava Agostino! L’antico e il nuovo si baciano in rime
sparse ed
in mezzo si avverte l’acre odore del “ribollir de’ tini”. È
l nostalgia del Totalmente
Altro,
il ricordo struggente dell’infanzia: Non
compagni, non voli,/ Non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;/
Canti, e così trapassi/ Dell'anno e di tua vita il più bel fiore.
Il
poeta è sempre un passero solitario. Tutti i poeti vivono di questa
memoria dell’infanzia, anche se tragica, drammatica. Basta
ricordare il fanciullino pascoliano, il rondinino che pigola nel nido
di “quest’atomo opaco del male”. Quale profonda analogia c’è
tra il passero leopardiano ed il rondinello pascoliano!
Vincenzo
ci racconta come gli altri questo offuscato “male di vivere”,
come Montale, come tutti… Anche in questi versi si respira l’aria
della redenzione sociale, cosmica, tipica della Ginestra,
che
resiste sulle lande desolate dello Sterminator
Vesevo.
Il
lettore saprà ben apprezzare questi versi concisi e pregni di questa
ultima raccolta di Vincenzo D’Alessio.
Vincenzo
Capodiferro
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