UN SORRISO DI MORTE FRA LE SBARRE
Coloro che hanno il
potere economico e politico possono facilmente
ottenere accesso ai giornalisti e sono accessibili per essi; coloro che
non hanno potere diventano più facilmente fonti e non vengano cercati dai
giornalisti fino a che le loro azioni non producono eventi notiziabili in
quanto moralmente o socialmente negativi (Herbert Gans
1979, p. 81. Cit da Wolf).
In questi giorni ho letto che in Italia il suicidio in
carcere è venti volte più frequente rispetto all’ambiente non detentivo. Eppure
l’articolo ventisette della Costituzione italiana afferma che la funzione della
pena è di carattere rieducativo, probabilmente sarà così ma solo per i detenuti
che in Italia riescono a rimanere vivi (o per chi non è condannato alla “Pena
di Morte Viva”). Sempre in questi giorni sull’ Osservatorio permanente sulle
morti in carcere di dicembre 2012 ho letto:
-Dal 2001 al 2009 gli
Stati Uniti hanno avuto in media di 2 milioni di detenuti e 1783 suicidi in
carcere. In Italia, nello stesso periodo, con una media di 54mila detenuti
presenti abbiamo avuto 497 suicidi. Per la precisione in Italia la media annua
di suicidi è stata di 9,1 casi su dieci mila detenuti contro 1,6 su dieci mila
degli Stati Uniti.
Ebbene, in Italia di questo massacro alla luce del sole nessuno ne parla,
i mass media tacciono, i politici anche, e la Madre Chiesa pure. Nessuno si domanda perché a differenza
degli altri Paesi i prigionieri italiani hanno più interesse a morire che a
restare in vita, probabilmente perché
nella stragrande maggioranza in carcere
si trovano poveri cristi dimenticati da tutti e ai margini della società.
Eppure le Istituzioni che prendono in consegna il corpo del prigioniero
dovrebbero averne cura, o almeno creare le condizioni sociali per farlo
continuare a vivere.
Forse molti non sanno che è l’impiccagione il metodo più
comunemente usato per togliersi la vita in carcere. Ecco una testimonianza di un uomo ombra (un
ergastolano ostativo ai benefici penitenziari) che ci ha provato:
(…)Quella sera
avvertivo un senso di pace. E feci le cose con calma. Ero tranquillo. Sereno.
Non potevo permettermi di ripensarci. Il mio animo però era malinconico. E
sentivo nel mio cuore tutto il peso di quella scelta. Aprii la finestra. L’aria
era gelida. Mi sfregai le mani dal
freddo. Poi respirai a pieni polmoni. Col passare dei secondi sentii crescere
sempre di più il desiderio di farla finita.
Forse non era l’unica scelta che avevo, ma in quel momento non riuscivo
a vederne altre. Mi allontanai dalla finestra. Afferrai con le mani la mia
tristezza. Alzai il materasso. Presi la corda che avevo tessuto con il
lenzuolo. E la legai alle sbarre. Presi lo sgabello. Ci salii sopra. Controllai
il nodo scorsoio. Era perfetto. E me lo infilai in testa. Per un attimo ebbi
paura, ma nello stesso tempo non vedevo l’ora di levarmi il pensiero. Nella mia
testa le cose erano chiare. E semplici. Senza se e senza ma. Mi conveniva
morire subito che spegnermi senza speranza. E senza futuro. Un po’ tutti i
giorni. E tutte le notti, come una morte presa a gocce. Poi pensai che ero
ancora in tempo per ripensarci. Potevo ancora tirarmi indietro. E scegliere di
vivere. Invece preferivo morire bene che vivere un’esistenza senza vita. E
diedi un calcio allo sgabello. E riuscii a pensare che ormai era troppo tardi
per ripensarci. Poi avvertii un forte dolore. Come se dentro di me qualcosa si
fosse strappato. I muscoli del collo si contrassero. I polmoni iniziarono ad
annaspare aria. Le gambe a tremare. La vista mi si offuscò. E capii che ormai
ero più vicino alla morte che alla vita. Ad un tratto però la
corda si spezzò. Caddi per terra come un sacco di patate. E iniziai di nuovo a
respirare. (…) Spero un giorno di avere il coraggio di riprovarci.
Credo che sia politicamente e moralmente inammissibile che
in carcere ci si tolga la vita così facilmente e in un silenzio così criminale,
mediatico e sociale.
Carmelo Musumeci
Carcere Padova,
Gennaio 2013 www.carmelomusumeci.com
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