09 ottobre 2006

"Il deserto dei Tartari" di Dino Buzzati

di Augusto da San Buono

“Con Buzzati se ne va la voce del silenzio , se ne vanno le fate , le streghe , i maghi , gli gnomi , i presagi , i fantasmi. Se ne va dalla vita il Mistero”, scrisse Montanelli il 29 gennaio 1972 sul “Corriere della Sera", il giorno dopo la morte dello scrittore bellunese. Ma – continua Montanelli - così come se ne è andato potrebbe anche tornare , alla Buzzati, perché se c’è un qualcosa al di là di noi, nessuno se le è guadagnato più di Buzzati, che ha trascorso la vita a captarne i messaggi e a decifrarli per noi. Ora può darsi che sia lui a lanciarcene qualcuno, ma come potremo afferrarlo?...In realtà sembrerebbe che Buzzati messaggi ne avesse lanciati anche prima di morire , ma aveva fatto divieto al vescovo di Belluno ( al quale si era confessato) di non raccontarlo prima che fossero passati dieci anni. Ma qual era questo messaggio? E’ in queste parole, pubblicate sull’Avvenire: “ Un’ansia inconsueta si accende in me alla sera . come quella del tenente Drogo... Ho bussato , la porta si è aperta”. Voleva forse dire che aveva trovato la fede , dopo una vita da non-credente?. Voleva dire che aveva intuito le orme di Dio nelle valli riarse del deserto dei Tartari , che Dio si nasconde dietro i Tartari che Drogo attende da sempre nel deserto , voleva dire che Dio “è “quel deserto e i Tartari? Non lo sapremo mai (“Buzzati ha qualcosa d’inaccessibile e segreto, segreto forse anche a lui, un’ultima spiaggia d’impossibile approdo a chiunque, c’è in lui qualcosa di innocente e diabolico”, scrive Montanelli che gli era amico), ma possiamo andare a rileggere il suo romanzo più famoso, quello che gli diede la fama e la gloria.
Quando scrisse il "Deserto dei Tartari" Buzzati aveva 33 anni e si avviava a diventare uno dei più importanti scrittori italiani, il che destò qualche invidia nell'ambiente. C'è chi disse che si era "kafkato" addosso. In effetti il tenente Giovanni Drogo, alias Dino Buzzati, autoreclusosi nella Fortezza Bastiani-Corriere della Sera, qualcosa di kafkiano ce l'ha . Ma Drogo-Buzzati non è certamente così radicale e metafisico come lo scrittore boemo; è piuttosto un allegorico personaggio che vive di "attese", di speranze e di illusioni, come la maggior parte di noi.
Nel suo solito modo di raccontare , atmosfera sospesa tra il magico e l'inquietante , il poetico e l'angoscioso ,in una dimensione senza tempo, Buzzati rifà la storia della sua (e in qualche modo della “nostra” ) vita. Passati i sogni e le illusioni, ormai vecchio , non servi più e pertanto vieni espulso dalla Fortezza-Società. Ti trovi a fare i conti con la morte, ultimo appuntamento a cui nessun essere umano può sfuggire. Solo, piangente, disperato , abbandonato in una anonima locanda , Drogo è già maceria e rovo.
Ma è proprio l'accettazione della morte a cui va incontro con un sorriso , "benchè nessuno lo veda", che lo rende finalmente sereno, pacificato, libero. C'è proprio tutto il bellunese Buzzati, qui, con la sua fierezza e grande dignità, la sua estetica militare da “Marcia di Radetzky , ma anche un Buzzati "cristiano",- dice Montale - pur non essendo egli credente , un Buzzati che , benchè molto ammirasse l'autore del Processo", non era certamente kafkiano, perché a differenza del boemo, lui “poteva quasi tranquillamente ostinarsi a bussare” a quella porta.

Ma c’è anche chi sostiene che in realtà Buzzati vuol mettere solo in ridicolo l'attesa di Drogo, la sua vana ricerca di qualcosa che dia senso alla sua vita... D'altra parte ci dice chiaramente che a determinare la scelta del giovane ufficiale non è l’eroismo , ma la pigrizia, l’ abitudine, l’ apatia. Eppure... eppure Buzzati è un uomo che ha rispetto per una vita spesa così, nella solitudine della montagna ( Montanelli dice che era irraggiungibile nella sua banchisa di solitudine ) e nella speranza dell’attesa di qualcosa di più alto, che dia un senso alla esistenza stessa. Una vita che appare comunque più "nobile" rispetto a quella delle futili gioie della città.

Anche i personaggi di Becket sono in attesa , ma non sanno più di chi o di che cosa, la loro attesa diventa assurda, grottesca, ridicola, non hanno niente della dignità dell'ufficiale Drogo. Sì , forse Buzzati ha una sua forma di "religiosità", mentre quella di Becket è la parodia, la presa in giro della religiosità.
" Sulla via di Damasco , Buzzati è rimasto sempre a cavallo", scrive Walter Pedullà. Secondo lui , Buzzati si ferma sul crinale della ricerca del cristianesimo. Ma ora sappiamo che forse anche lui, come Saulo da Tarso, è sceso da Cavallo, sappiamo che – forse – ha visto la luce oltre il mistero. E' pur vero che Buzzati è maestro dell'arte del non dire , dell'allusione, dell'attesa, della ricerca, dell'ansia, della domanda senza risposta , del vuoto, della lontananza , del confine, dell'apparizione sfumata , insomma del chiaroscuro irreale, ma io credo fermamente che avesse in sè come un tarlo, un rimorso , un mancamento, un'assenza , un venir meno della coscienza , un desiderio di recupero dell'innocenza iniziale , una lucidissima e strenua fedeltà alla purezza delle voci del sogno, fossero le foreste del bellunese o le fortezze
immobili-navi arenate in un mare di sabbia dall'equipaggio coleridgemente impietrito per aver ucciso l'albatros , erano tutte “voci” di Dio ; insomma c'era dentro di lui la consapevolezza di qualcosa molto simile al peccato originale, e – come scrisse Vittorio Feltri inun’intervista alla giovane moglie , Almerina , sapeva che dentro di lui c’era un tumore , molto prima della diagnosi dei medici. “Glielo avevano anticipato i diavoli e gli angeli con i quali era in misteriosa relazione” Forse il "Deserto dei Tartari “ il Tenente Buzzati non l'avrebbe mai dovuto pubblicare, ma scriverlo, continuamente scriverlo e ri-scriverlo.
(Il deserto dei tartari - Dino Buzzati - Mondadori)

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