02 luglio 2006

Primo Carnera, il pugile buono

di Augusto da San Buono
Racconta il grande Giòann Brera che l'ultima volta che vide Carnera fu a Los Angeles, una città mostruosa, un corpo agonizzante che si sfà tra luci rifiuti e solitudini, un corpaccio maleodorante di frutta marcita che cola luce e invoca il desiderio d'ombra, con milioni e milioni di individui imprigionati nella ragnatela grigia della solitudine, dell'alcool e dell'ossessione dei casinò e dei bistrot; Las Vegas una grossa pattumiera di slot machines e puttane. Carnera era uno che stava sempre un gradino sopra gli altri, e non solo per statura fisica, ma per accoglienza, affetto, bontà. Era ingenuo, il classico "ciolla". E la moglie che se lo guardava per quant'era lungo con uno sguardo d'affetto e malinconia - "Oh, Rino", diceva e sospirava.
Alla moglie mancava assai l'Italia, o meglio il Friuli, e ne piangeva. E lui piegava con dolcezza estrema la sua lingua abnorme e legnosa come quella di un ippopotamo e diceva: "Speta, speta, che non abbiamo ancora tutti i quattrini”.
E a Brera disse:"Jo lo so che il me vìas l'è finit. Mi piaserebbe al tournaa' al mi paìs.. Dolze odòur de polenta. Da nualtres si vive quités e si muore coma l'agua che passa sconosciuta fra i bars. Ma questo non el temp de tournaa' al mi paìs, te capiss?"
Nives, una friulana popolana, racconta:"Mi piaceva Carnera perché mio padre lo nominava sempre quando ero piccola. Era un idolo, aveva le mani grandi ma vinceva perché era tanto bravo! Mai e poi mai avrei pensato che in vita mia sarei riuscita a vedere la sua casa... Una volta ho letto sul giornale che a Roma (io vivevo lì con mio marito), dopo che aveva fatto un incontro, Carnera era così stanco che sua moglie lo fece sedere nei sedili posteriori della macchina mentre lei guidava per tornare a casa; un gruppo di ragazzi che l'aveva vista cominciò a seguirla, finché la raggiunse costringendola a fermarsi. In quel momento lui si svegliò, scese dalla macchina e li fece scappare a gambe levate! Mio marito era appassionato ed andava all'Eur a vedere i suoi incontri quando era possibile. Vedere la casa e tutti i ricordi di Primo Carnera mi ha portato alla mente mio papà, che era un vero appassionato".
Il figlio di Carnera, Umberto Primo, in omaggio al re assassinato, aveva appena finito l'high school e s'apprestava ad entrare matricola all' università di San Diego. Lui, il gigante buono, che era amatissimo dai bambini, ne era fiero, orgoglioso. Carnera aveva fatto appena la quarta elementare, poi aveva sempre lavorato e sofferto la fame, fino al 29 giugno, a quel fatidico 29 giugno 1932, quando era diventato campione del mondo.
Primo sapeva a memoria intere terzine dantesche:"La bocca sollevò dal fiero pasto/ quel peccator, forbendola a' capelli/ del capo ch'elli avea di retro guasto".
Poi c'era la Giovanna, alta quasi due metri e vestita ancora da bambina; era stata in collegio a Udine, sapeva suonare il piano. "Gioaana, sona pe' 'sto amico talian. Eh, sente, come sona la mi Gioana? La me somiglia più de tuti. E' lo spirt d'amòur, che al torna dal so paìs lontano".
Giovanna strimpellò qualcosa di simile ad un lied di Schubert, il grande musicista austriaco ch'era matto d'amore per un bellissimo giovine, ma che morì di sifilide per essere stato con una donna, l'unica volta forse della sua vita, per stornare i sospetti di omosessualità.
Le dita di Giovanna Carnera, tredicenne di due metri d’altezza - scrive Brera - mi parevano bendate e pronte a entrare chiuse a pugno nel gigantesco guantone paterno. "L'uppercutt mi arrivò al fegato", come forse dovette arrivare al povero Jack Sharkey, alla sesta ripresa quel ventinove giugno, al Madison Square Garden di New York delirante di italo-americani che inneggiavano al duce: "Dux, Dux, Dux", pirlottavano un gruppo di paìs gonfi di nostalgia e un altro gruppo di americani gonfi di birra. I ricordi di Stella, un’altra ultraottuagenaria paesana del campione: "Carnera l’era un pugilista e quando ero piccola mi chiedevo sempre: 'Chissà quanta ginnastica avrà fatto per essere così grande e grosso...'. E’ stato a Udine ma io non l'ho visto perché mia mamma non ci ha lasciate andare (io e mia sorella), 'C'è troppa confusione, non si sa cosa può succedere', però poi è passato anche per Basagliapenta, dove io abitavo. Ricordo che aveva una macchina grande e lui era scortato. In televisione io l'ho visto quando faceva la lotta, ero a casa e avevo la televisione, l'avevo pagata 2500 lire, una grande cifra quella volta. Anche se lavoravo tanto io qualche volta non dormivo neanche per guardarlo in televisione. Sono contentissima, non credevo a 82 anni di riuscire a vedere la sua casa con tutti i suoi ricordi. Mi è rimasta impressa la foto di Carnera dove era a grandezza naturale. La Maricla si è messa vicina e gli arrivava al gomito. Un'altra cosa che mi ha colpito è quella statua in palestra fatta da uno scultore, dove Carnera solleva sopra la testa un altro pugile. La casa mi è piaciuta, anche il giardino è ben curato. Carnera è stato un grande uomo. Ricco grazie alla sua forza, ma Signore per la sua bontà ed intelligenza, un friulano completo, orgoglioso della sua terra e delle sue umili origini, proprio come me, emigrante come lui ed orgogliosa di essere friulana". Secondo Brera, Primo Carnera fu l'unico italiano - o uno dei pochi, per non dire rari - italiani buoni che abbia conosciuto: "L'era così ciolla che una sera, tutte e due sbronzi per vino e sentimento, mi disse d'aver rotto un polso prima di fare con me a braccio di ferro. Se non fosse stato di quell'assoluta innocente bontà da ciolla simile a quella di un santo (a pensarci Carnera fu più di un Santo) forse avrebbe fatto davvero sfracelli come andava propagando il regime con quel segretario da barzelletta".
L'ideale uppercutt di Carnera - questo gigante che faceva barcollare l'impalcatura del ring, con un sorriso malinconico che sfiorava le nubi delle sue terre, questo grande uomo dolce e candido - è una carezza che ci fa vergogna: ogni volta che lo si incitava all'odio, alla vendetta, a mettere in risalto la gag della grandeur dell'italiano, a colpire con la sua manona, con quel guantone che era un masso erratico di piombo e piume, lui anzichè un pugno vibrava una carezza, un uppercutt talmente dolce da confonderci tutti. E' stato un campione vero, uno dei pochi italiani che contraddisse Guicciardini (se ne l’italiani fiderai, semper delusioni avrai).
Ma forse, a pensarci bene, non era italiano.
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