IL CASO GARLASCO, TUTTO FA SPETTACOLO IN TV di Antonio Laurenzano
IL CASO GARLASCO, TUTTO FA SPETTACOLO IN TV
di Antonio Laurenzano
Sono tanti i temi dibattuti in questo periodo, dalla manovra finanziaria al ponte sullo Stretto di Messina con lo stop della Corte dei Conti, dalla riforma della giustizia con la separazione delle carriere della magistratura ai dazi americani, non dimenticando i tragici eventi in Ucraina e in Medio Oriente. Ma in televisione il prime time cerca audience, cronaca nera a go go, in tutte le salse.
A seguito della riapertura delle indagini (piena di errori e lacune clamorose quelle iniziali), il delitto di Garlasco sta da tempo spopolando in tv, occupando spazi sempre più rilevanti in tutte le emittenti, da quella pubblica a quelle commerciali, nazionali e locali. Il caso diventa ogni volta occasione morbosa di dibattito per talk show, documentari, speciali e approfondimenti per catturare l’attenzione del pubblico e fare impennare lo share. Un mix di informazione, narrazione e intrattenimento che, abbattendo ogni dimensione etica, spettacolarizza una tragedia: l’uccisione di Chiara Poggi, una ragazza di 26 anni, avvenuta il 13 agosto 2007.
Il luogo della tragedia, una villetta di Garlasco, è diventato un set televisivo, con attori e comparse vittime di un narcisismo smisurato, espressione evidente delle storture della mente umana. La televisione continua a sostituirsi alle aule del Tribunale. L’autorità giudiziaria, gli investigatori, i difensori, persino gli imputati attratti fatalmente da un interlocutore ingombrante: la televisione. Nell’ambito di un rapporto sempre più stretto e inestricabile tra fatti di cronaca e loro rappresentazione, con frequenti coup de theatre, Pubblico ministero, consulenti, medici, difensori sono diventati figure conosciute al pubblico al pari dei personaggi dello spettacolo. Un vero show serale, con l’alzare del sipario, per il quotidiano carnevale dell’opinionismo, generando nell’ignaro telespettatore quasi una dipendenza. Una sagra della vanità con gli avvocati di parte che passano da una trasmissione all’altra, in cerca di una visibilità a gettoni.
Davvero il peggio del peggio delle tv, con il rischio di provocare un inquinamento della serenità del giudice, fortemente esposto alle pressioni mediatiche. Commenti fuffa e disquisizioni sul nulla, lontani dalla verità, a conferma della pochezza delle trasmissioni, condotte sul filo della legalità (numerose le incursioni nel privato), per animare spettacoli inverecondi.
Un drammatico fatto di sangue continua a essere riproposto con toni sensazionalistici, trasformando la giustizia in spettacolo e il dolore in un atto del copione. La cronaca nera si ripete come un rituale mediatico che confonde informazione e intrattenimento, un format, una serie a puntate, da seguire sera dopo sera. La televisione sta facendo sì che l’accertamento della verità non spetti più ai tribunali, ma agli studi televisivi, non più ai giudici, ma ai giornalisti, ai criminologi o presunti tali, ai tanti attori di un discutibile sistema mediatico. E’ un circolo vizioso e torbido che nessuno vuole interrompere, alimentato dal protagonismo e dal narcisismo di chi non vuole abbandonare le luci della ribalta.
Sul banco degli imputati, sotto accusa, l’informazione giornalistica. Quando il diritto di cronaca sconfina nella spettacolarizzazione del dolore, quando un fatto di sangue diventa argomento quotidiano di talk show il giornalismo smarrisce credibilità e ogni primaria funzione di controllo e conoscenza al servizio della pubblica opinione. L’informazione, quella vera, lontana da ogni esigenza di audience, dovrebbe saper accendere le luci sulla verità, non amplificare l’eco del clamore in nome di uno sterile sensazionalismo. Non significa fare informazione televisiva con una cronaca che non informa, ma intrattiene, che non chiarisce, ma confonde. E’ nelle aule dei Tribunali che si celebrano i processi, non nei salotti televisivi dove la ricerca della verità cede il passo alla morbosità, complice il conduttore che ogni sera la reinventa per assecondare i canoni dell’intrattenimento, non chiarendo i fatti, ma alimentando una emotività collettiva che nulla ha a che fare con la giustizia.
C’è bisogno di recuperare il senso del limite, di restituire all’informazione il suo ruolo e alla giustizia il suo spazio naturale, quello delle aule e non degli studi televisivi. Restituire sobrietà alla cronaca rigettando ogni enfatizzazione della notizia, della sua trasformazione in narrazione romanzata. Ne guadagnerebbe la credibilità del giornalista e, in generale, l’affidabilità del sistema dell’informazione.

Commenti
Posta un commento
I commenti sono moderati e controllati quotidianamente.
Tutte le opinioni sono benvenute. E' gradita la pacatezza.