30 giugno 2023

UCCIDERE ANCORA di Patricia Gibney a cura di Miriam Ballerini


UCCIDERE ANCORA - A farla da padroni sono i segreti tenuti nascosti per troppo tempo -

di Patricia Gibney

© 2021 Newton Compton Editori

ISBN 978-88-227-5179-9

€ 3,90 Pag. 411

Un thriller che mi lascia un poco perplessa perché, leggendolo, devo ammettere che la prima parte non mi ha spinta a leggere, tanto quanto la seconda.

Troviamo, fra le pagine del libro, delle parti scritte in corsivo che riguardano il passato di una madre e i suoi due gemelli. Lei con seri problemi mentali che, ad un certo punto, incendia la loro casa. Lei viene ricoverata in un manicomio con la figlia, mentre il maschio viene adottato.

Ambientato in Irlanda, mi sono chiesta perché, per tutto il romanzo, piovesse sempre! Accidenti! Mai una giornata di sole?

La protagonista è la detective Lottie Parker: vedova, con figli e un nipote appena nato. Una madre un poco distante, che però passa spesso da casa per darle una mano.

Lottie abusa di alcol e di farmaci e, tutto ciò, non l'aiuta di certo nel lavoro, né nella sua vita privata, anche se, non possiamo parlare, nel suo caso, di una vera e propria vita privata.

Tutta tesa a risolvere i casi, si trova invischiata in questo caso che si fa sempre più complicato, non solo per lei, personaggio di carta; ma anche per noi lettori.

Personaggi si sommano a personaggi e ci si chiede: e questo cosa ha a che fare?

Ad esempio la sua amica Annabelle, picchiata dal marito.

E pure il marito di Annabelle, Cian, che a un certo punto, oltre che abusante in famiglia, diventa a un assassino. Ma per quale ragione?

I capitoli sono brevi, alcuni sono solo di una mezza pagina. Quello che hanno di buono è che lasciano il lettore con un interrogativo.

Lottie non è simpatica, non piace subito. Spesso, in questo genere di thriller, pare ci sia una scaletta rigida da seguire, dove tutti gli scrittori seguono un copione in cui l'ispettore di turno deve per forza essere antipatico e con una vita non sempre limpida.

Infatti, anche qui, a un certo punto torna a galla il passato di Lottie: suo padre si è suicidato quando lei era una bambina.

In tutto questo caso, dove si è partiti da una donna trovata morta in casa, con la nipote che, dopo averla rinvenuta si rifugia nella casa di una vicina e la madre della stessa scomparsa; si arriva a scoprire che forse anche il padre della protagonista possa centrare qualcosa.

Pare di essere su una giostra dove tutto gira, mescolandosi e non si comprende più nulla.

Poi, ecco, a un certo punto, la trama funziona meglio, tutto ingrana e comincia a marciare di pari passo, diventando sempre più accattivante.

Fino al suo finale, dove, come spesso succede, l'assassino spiega tutti i perché.

C'è un particolare curioso: la madre tenuta per anni in manicomio si chiama Carrie King. Subito ho associato la cosa a Carrie, il primo romanzo scritto di Stephen King. In effetti, a un certo punto, uno dei protagonista la nomina, dicendo che aveva il nome come il protagonista di un film horror.

La scrittrice sa spiegare molte cose usando sapientemente i dialoghi.

Un thriller dove a farla da padroni sono i segreti tenuti nascosti per troppo tempo, ma che alla fine, non possono impedire che tutti i fili si riallaccino, mostrando la trama completa.

La soluzione è un nuovo dubbio, forse non è ancora finita.


© Miriam Ballerini


fonte: https://oubliettemagazine.com/2023/03/15/uccidere-ancora-di-patricia-gibney-segreti-tenuti-nascosti-per-troppo-tempo/



29 giugno 2023

Linda Liguori Nomi e naming a cura di Marcello Sgarbi


Linda Liguori

Nomi e naming – (Zanichelli)

Formato: Copertina flessibile

ISBN: 9788808820181

Pagine: 208

Forse non tutti sanno che…” è il titolo di una famosa e curiosa rubrica di La Settimana Enigmistica. Altrettanto curioso è questo libro di Linda Liguori, che mi ha ricordato un precedente già a suo tempo recensito: Il padre dei nomidi Paolo Teobaldi. Come in quel caso anche qui scopriamo l’importanza del nome, se è vero come è vero, oltretutto, quello che dicevano i latini: nomen omen, nel nome c’è il presagio.

Chi sa, per esempio, che Qashqai di Nissan non è inventato ma è un clan di tribù di lingua turca del sud dell’Iran? Oppure che i Baiocchi del Mulino Bianco hanno quella forma rotonda perché il loro nome si rifà all’antica moneta? E ancora: avreste mai immaginato che Amazon, con la sua infinita gamma di offerte, evocasse l’immensa estensione della foresta amazzonica? Il libro di Liguori – un po’ saggio, un po’ guida – ci suggerisce questo e altro.

Ci spiega, per esempio, che il nome di una marca o di un’azienda può nascere da quello del suo creatore-fondatore. È il caso di Adidas, che unisce il soprannome di Adolf Dassler – Adi – alla prima sillaba del suo cognome. O di Danone, variante del nomignolo dato a Daniel, figlio del proprietario del noto marchio del settore alimentare. È anche il caso della Mercedes, nome col quale Emile Jellinek, console generale austro-ungarico entrato in affari con Daimler, chiamava la figlia minore. E per noi italiani, è singolare sapere che il cognome Benetton è un’evoluzione del nome proprio Benedetto. O che il nome Barilla, nella sua etimologia, ha a che fare con i barili e la farina.

Con un approccio semplice, uno stile sciolto e numerosi esempi, l’autrice ci fa scoprire che un nome famoso può derivare da una sigla (IKEA: Ingvar Kamprad Elmtaryd Agunnaryd, fondatore, fattoria e villaggio dove ha avuto origine la celebre marca di mobili e oggetti per la casa; STAR: STabilimenti Alimentari Riuniti e, per buona sorte di Regolo Fossati che creò l’azienda nel 1948, anche la traduzione inglese del patronimico di sua moglie, Stella). Il nome di un prodotto o di un’azienda può scaturire da un’onomatopea (Tic Tac, il suono che fanno i confetti quando agitiamo la confezione di mentine). O ispirarsi alla pronuncia (Eataly, da to eatin inglese, mangiare). O ancora, nascere per analogia con una metafora (Nike, dal rimando alla divinità alata che personificava la vittoria). Insomma, questo libro di Linda Liguori è la dimostrazione che diamo un nome a tutto ciò che conta per noi.

© Marcello Sgarbi

26 giugno 2023

FIGLI DI QOHELET di Gianpaolo Anderlini a cura di Vincenzo Capodiferro


FIGLI DI QOHELET

Profondo commento poetico al profeta biblico di Gianpaolo Anderlini

"Figli di Qohèlet. Monologhi sul margine del Libro" è una raccolta poetica di Gianpaolo Anderlini, edita da Fara, Rimini 2023. Venire scrive Alessandro Ramberti nella "prefazione": «Profondo conoscitore del pensiero ebraico e appassionato studioso del Primo Testamento, Gianpaolo Anderlini si (e ci) immerge nel libro più pirronista della Bibbia, noto per due icastici adagi: "Vanità delle vanità, tutto è vanità" e "Niente di nuovo sotto il sole"».

Forse siamo l'immagine del nulla.

Gianpaolo Anderlini sa tradurci in passi poetici connotati da una sconvolgente attualità verità eterne, antichissime, contenute nei testi sacri. Gianpaolo è intriso di quel Verbo, che a principio era "presso Dio". È la prima Parola: il Vecchio Testamento, che egli definisce giustamente Primo Testamento. D'altronde la Parola antica è la prima espressione della "Poesis" originaria, la creazione, la poesia di Dio. La poesia di Dio è creatrice ex nihilo. Dio crea il linguaggio originario, da cui sono derivate tutte le lingue. L'uomo, animato da "ubris", superbia, ha cercato di ricreare quel linguaggio originario, ma invano (Babele). Ed in termini moderni tradurre il messaggio del profeta Qoèlet significa parlare di nihilismo e di scetticismo ("pirronismo" come lo definisce Alessandro Ramberti).

Sette squarci di nulla (quasi nebbia

evanescente) irrompono nel seme

Nerone del tempo (quando non è notte

e non è giorno, quando il sonno è vigile

e il sogno sembra costruire mondi...

Sono versi intensi, difficilissimi da interpretare, profondi. Ricorre il sette, numero divino ai Pitagorici, apoteosi della temporalità (la settimana santa della creazione originaria che indica il primo ciclo del tempo, il primo nietzschiano "eterno ritorno"). Si fa riferimento a quello stato crepuscolare dello Spirito, di schellinghiana, romantica memoria, al confine tra Notte e giorno, tra sonno e veglia, ove sogno e realtà coincidono. Molto forte è l'espressione "seme nero del tempo". Il tempo è come il seme che ancora è nella terra e deve diventare ciò che è. Divieni ciò che sei! Il richiamo alle parabole evangeliche granarie è evidentissimo: i semi sono le ragioni seminali degli Stoici e di Agostino, intrisi appunto di questa poesia originaria.

La poesia di Gianpaolo Aderlini è una versificazione che ci invita a riflettere, a meditare sul testo sacro, quindi ha un valore altissimo, euristico, ermeneutico. Quella parola è anche il seme che il buon Seminatore getta in noi, a volte dure pietre, a volte spine, a volte terreno buono.

Gianpaolo Anderlini è nato e vive nel modenese. È redattore della rivista QOL, che si interessa del dialogo interreligioso ebraico-cristiano. Pubblicazioni: "Parole di vita" (2009); "Ebraismo" (2012); "Io quindici gradini" (2012); "Per favore non portateli ad Auschwitz" (2015); "Qabbalat Shabbat" (2017); "Giobbe" (2018); "Versi di/versi" (2020); "Angelo Fortunato Formiggini" (2021); "Variazioni" (2021); "Devarim acherim" (2022); "Io sono tuo! Salvami. Commento al salmo 119 (2022); "Incontri" (2022).

Vincenzo Capodiferro

22 giugno 2023

Gabriele Maquignaz. Oltre la tela del quadro, tra arte e misticismo. A cura di Marco Salvario

 Gabriele Maquignaz. Oltre la tela del quadro, tra arte e misticismo.

Lo potete ammirare nel film/documentario Big Bang, accessibile anche nella home page del sito di Gabriele Maquignaz: l'artista, presentato dal compianto Philippe Daverio, carica cartucce di vernice nel suo fucile e spara contro un quadro. La tela perforata si apre, la vernice schizza verso i bordi. Ecco creata l'opera nella sua purezza, senza ritocchi, senza modifiche.

Ci troviamo davanti un risultato che è una commistione tra arte, religione e scienza, condito con la giusta e voluta dose di istrioneria, che accompagna spesso i grandi artisti.



Gabriele Maquignaz nasce ad Aosta nel 1972 e sulle Alpi, ai piedi del monte Cervino, forma il suo attaccamento alla spiritualità della natura, fuori dall'avvelenamento fisico e mentale della modernità.

Carattere inquieto e multiforme, lascia evolvere libero il pensiero, lo collega all'arte tribale e primitiva, a quella povera e africana, cerca di fissarlo spaziando tra scultura e pittura, in una ricerca che fonde stili e tecniche. Il lavoro può concretizzarsi in gioielli, in abiti, in ceramiche, in sculture e tele.

La fede in Dio, una religiosità cattolica che fa della Croce e della Sacra Sindone due pilastri fondamentali, si intorbida con l'animismo della natura di cui il nostro diventa stregone, profeta, demiurgo, e non voglio usare il termine, troppo inflazionato in questi tempi, di sciamano.

Maquignaz si considera un iniziato, che porta l'ispirazione a unirsi con il ragionamento.

Davanti alla tela ne soffre il limite dimensionale, come Lucio Fontana e molti altri, eppure non ne viene fermato. I tagli di Fontana sono feritoie che permettono di intravedere oltre la bidimensionalità, di cogliere la possibilità di continuare il percorso, mentre Maquignaz vuole attraversare fisicamente il quadro, perché al di là si può raggiungere quel mondo da cui siamo separati, appunto l'Aldilà, valicando il confine tra vita e morte, tra l'essere anime disperse e il ricomporsi nell'unica divinità.

In una sequenza di momenti medianici, l'artista percepisce la finestra di passaggio con una forma che ricorda un nudo cranio, oppure la testa del Cristo nella Sindone o ancora quella di un'entità aliena, diversa come materia e sostanza; e qui l'amalgama tra dimensione terrena, extraterrestre e ultraterrena, anela a una superiore forma di fusione concettuale e artistica.

Ecco la Porta dell'Aldilà, che Maquignaz cerca non solo di aprire, quanto di attraversare, quasi autoproclamandosi sacerdote di una nuova lettura della religione e scienziato dell'occulto.

Le regole del suo lavoro faticosamente concepite, lascio al lettore la scelta personale di decidere a che livello accettarle, sono raccolte in un Codice su cui l'autore torna più volte, scrivendole sulla tela stessa per fissare il suo concetto di arte.

Quello che Maquignaz ci presenta, è un decalogo:

Rendo visibile l'invisibile

Supero il confine del tempo e il limite dello spazio

Codifico la forma

Rendo visibile la morte della materia

Rendo visibile la forma quindi l'anima dell'uomo

Rendo indivisibile l'anima e la materia

Supero i limiti della mente e i confini dell'Arte

Ritorno dall'infinito per ritrovare l'inizio

Vedo la luce della nuova dimensione

Vivo ancora oltre la materia, oltre la forma, oltre il tempo e lo spazio.

Nella traduzione in inglese e in francese del testo, si apprezza come ogni riga cominci con “I” e “Je”, quindi, l'”io” sia il soggetto motore di ogni sentenza.



L'artista vuole cogliere il momento del passaggio assoluto tra l'essere e il non essere, la nascita e la morte, ma non solo. Il passaggio successivo che Maquignaz compie, è la ricerca del Big Bang, il momento finale del collasso di un volume compresso senza più dimensione, dove zero e infinito coincidono, dove il tempo non è presente e nulla quindi è misurabile, dove spirito e materia sono uniti, dove non esiste il particolare ma un'unica inconcepibile energia, dove luce e buio sono indistinguibili, dove il niente pesa quanto la massa di tutti gli universi, dove ogni uomo condivide pienamente lo spirito di Dio. Questo assurdo limite, irraggiungibile per la nostra razionalità, in una frazione infinitesima di attimo esplode e ricrea galassie e mondi.

Il Big Bang è il momento assoluto, che viene simulato e ricreato dallo sparo dell'artista.

Regala un brivido leggere nelle tecniche di realizzazione delle opere: “Calibro 28 e sparo su tela” o “Calibro 12 e sparo su bomboletta acrilica”.

Una dovuta precisazione che devo fare in questo periodo dove i venti di guerra portano l'eco dei tanti conflitti, quelli che i giornali impongono all'attenzione degli spettatori e quelli che colpevolmente ignorano, che insanguinano il mondo: il messaggio di Maquignaz è un messaggio di pace. Sotto la firma, in una delle sue opere leggiamo “Big Bang per la Pace” e in un'altra opera recente, il volto di Putin piange lacrime di sangue, contemplando la distruzione nucleare.



Il Museo Internazionale Italia Arte, MIIT, dal 23 Marzo al 15 Aprile 2023, ha ospitato nella sua sede in Corso Cairoli a Torino “Gabriele Maquignaz. Dalle Porte per l'Aldilà al Big Bang”, mettendo a confronto non le tappe di un'evoluzione artistica, non un ripensamento, ma due momenti di una stessa irrequieta creatività.

Uno dei frutti della ricerca è stato la fondazione del Centro Studi Movimento Artistico Aldilà, presieduto da Guido Folco, editore, giornalista, critico d'arte, direttore del MIIT e di Italia Arte.

(c) Marco Salvario 



FONTE:
"Gabriele Maquignaz: oltre la tela del quadro, tra arte e misticismo - OUBLIETTE MAGAZINE"

21 giugno 2023

Italoamericani


cliccare sulle immagini per ingrandirle
Per gentile concessione della rivista  Bellunesi nel mondo 

 

19 giugno 2023

ESSENZA. Vite di Claudio Rocchi di Walter Gatti a cura di Claudio Giuffrida


ESSENZA. Vite di Claudio Rocchi
di Walter Gatti

Caissa Italia Musica, 288 pagine, inserto fotografico patinato, 25,00


18 giugno 2023 cade la ricorrenza di 10 anni senza Claudio Rocchi e ringrazio Walter Gatti di avergli dedicato questo gran bel libro che non è solo una biografia ma il racconto esperienziale della sua vita, del contesto in cui è vissuto e di quello che gli è girato attorno. Per alcuni di noi Claudio è stato da subito un fratello maggiore che sapeva anticipare un nuovo modo di “sentire” e una precisa declinazione dell’Essere.

Ecco che Walter Gatti con Essenza Vite di Claudio Rocchi ci accompagna in questo suo “viaggio” attraverso i “voli magici” che hanno attraversato anche la nostra gioventù, in un percorso controcorrente soprattutto rispetto ai “venti” di quegli anni.

Ben evidenzia Walter:” Claudio Rocchi ha scritto canzoni, fondato emittenti radiofoniche, diretto film sperimentali, creato progetti di musica elettronica, avviato esperienze di comuni artistiche, sperimentando ogni sostanza in grado di aprire le porte della percezione, acceso candele sui palchi del rock, inventato parole in concerto, attraversato l’Italia dei Festival, scritto poemi e poesie, dipinto volti e scenari non figurativi, tradotto libri orientali, divulgato autori mistici, diretto comunità religiose. Un artista totalmente libero un ricercatore inarrestabile di essenza.”

Nella sua canzone La rana le intenzioni erano già ben dichiarate: “Più che un mestiere nella vita voglio fare l’uomo.”

Walter ripercorre magnificamente quegli anni che anche da noi hanno creato il substrato culturale dei cambiamenti, ne descrive attentamente i personaggi e gli eventi in modo profondo e critico.

Dall’attrazione verso quello che succedeva in Inghilterra alla fine degli anni 60, che è ben sintetizzato da una citazione di Claudio per cui gli sembrava con un’ora di aereo di andare 10 anni in avanti, alle influenze e i crediti, dalla West Coast americana alle filosofie indiane, tutte risonanze che si sono poi ben espresse nei suoi dischi, comprese le varie svolte, le sue evoluzioni da artista autentico che nella musica ha cercato e riflesso anche la sua ricerca interiore.

Anch’io in quegli anni stavo con le antennine tutte ben accese nel tentativo di non perdere nulla di quanto stava accadendo di nuovo e ho avuto la fortuna di seguire attentamente Claudio Rocchi attraverso tutti i suoi dischi, le trasmissioni radiofoniche , fin da gli inizi, ma Walter mi sorprende per la dovizia di particolari e la tessitura dei racconti; davvero sempre coinvolgente e capace di spiegare tutti gli intrecci (complessi) di quegli anni così determinanti e sfaccettati.

Preziosissimi i contributi delle persone, degli artisti che hanno intessuto la loro vita con quella di Claudio Rocchi: da Walter Maioli degli Aktuala, alla vocalist in Essenza Terra Di Benedetto, ad Alberto Camerini, Eugenio Finardi, Franco Fabbri, Paolo Tofani, Gianni Maroccolo, Carlo Massarini e le testimonianze di Susanna Schimperna sua compagna e grande amore dal 2009, la più vicina nel tragico periodo della malattia.

Amici e protagonisti in grado di raccontare non solo le collaborazioni musicali ma le sopratttutto esperienze condivise della sua vita, o delle sue vite, come diceva Claudio, da studente, aspirante popstar, aspirante santo e del ritorno nel mondo.

Un ritorno che ha portato ancora tanta qualità, tanta onestà intellettuale e la sua cifra compositiva sempre ai massimi livelli, concordo molto con Gatti sul pregio del disco del suo ritorno, nel 1994, Lo scopo della luna, con la bellissima: L’umana nostalgia, così come per il suo ultimo disco nel 2013 con Maroccolo, VDB2/Nulla è andato perso. Rocchi sempre visionario e psichedelico che “guarda verso il cielo, pilota di alianti per mappe stellari a esplorare varianti di rotte vissute, spazi siderali percepiti come lucciole alchemiche”.

Luce poetica, come nel bellissimo brano Torna con me:
Le solitudini stremate senza sonno
che aspettano soltanto di cascare nei sogni,
che almeno li si può inventare,
li si può credere,
persino toccare l'insondabile,
come la musica invisibile,
potente come il suono,
stravagante come il perdono
torrna con me
Luce torna
Luce, torna con me.

Magnifica la citazione da una prefazione che fece Claudio:” Il presente della memoria è il futuro di quel passato che è vivo come i vent’anni di molti, artisti e ascoltatori, manager e impresari in una stagione fiorita di occasioni, di freschezza, di ingenuità e coraggio, stravaganza e stupore, sfrontatezza e rigore. Modi profumati di ideali che hanno fatto l’ossa all’anima impalpabile, perché semmai l’etero avesse struttura, sarebbe certo Musica.”

Grazie caro Claudio, proprio di tutto, e grazie Walter Gatti di avercelo raccontato giusto con amore.

https://www.giannizuretti.com/articoli/essenza-vite-di-claudio-rocchi-di-walter-gatti/










































“SFULCIT” DI ENEA BIUMI a cura di Vincenzo Capodiferro


SFULCIT” DI ENEA BIUMI

Una raccolta in vernacolo, fatta di “riflessioni tra dubbi, asserzioni, sogni”

Questa volta Enea Biumi, pseudonimo di Giuliano Mangano, scrittore, poeta, intellettuale varesino, ci regala “Sfulcìt”, che significa “inganni”: un’intensa raccolta in vernacolo, fatta di “riflessioni tra dubbi, asserzioni, sogni”, edita da Lupi editore nel 2022. Parte proprio da una libera traduzione del “De Rerum Natura” lucreziano:

La vita l’è ‘na nòce de tribuléri

e la cùur cumpàgn d’una saéta

La vita è una notte di affanni

e corre come una saetta

Si tratta di una raccolta molto esistenziale, che fa riferimento alla vita vera, all’erlebnis, con espressioni che solo il dialetto può rendere, sia perché era - e dico “era” - una lingua più vicina al popolo, alla saggezza popolare, e non alla sapienza degli intellettuali, sia perché la vita cui si riferisce era più semplice, più genuina. Peccato che il dialetto si sia perso tra le giovani generazioni. Nel Sud è un po’ diverso, ancora si respira il fascino delle tradizioni popolari, della lingua. Ogni paese ha una lingua diversa, tradizioni diverse. Il dialetto reca con sé un patrimonio vastissimo culturale orale, che rischia l’estinzione. Quest’assaggio di Enea ce ne può rendere un minimo di sapore. E sapienza deriva da sapore: dà l’idea di mangiare. Ricordate la metafora del profeta che divora i rotoli della Torah.

Disan che cunt un bòff de fantasia

Domenedìu l’avrìa fa ul mund

giust in pòcch tèmp

Dicono che con un soffio di fantasia

Domineddio avrebbe creato il mondo

solo in poco tempo

Si tratta di uno di quei detti che la sapienza popolare ci offre dal suo scrigno arcano di tesori, tesori che rimandano a quelle idee archetipiche dell’inconscio collettivo junghiano. Dio, come diceva Eraclito, è un fanciullino che gioca ai dadi. È l’oltreuomo per eccellenza di nietzschiana memoria. Cristo è l’oltreuomo, colui che ha effettuato tutte le metamorfosi (cammello, leone, bambino).

L’uomo è:

Anima biòta

tra bitunni e stranzenn

slisàda in un cièl a tacunn

Anima nuda

fra maldicenze e malocchio

consunta in un cielo a rattoppi

Notate come il vernacolo tende sempre alla rima, alla musicalità, al ritmo, all’eufonia. Il dialetto è canzone, è armonia, è intuizione dello slancio vitale bergsoniano che si tuffa nel tempo, il tempo dell’anima. Il mondo contadino è fatto di credenze, di malocchi e di fatture, di quelle che noi chiamiamo superstizioni, come se appartenessero agli uomini primitivi: ma in effetti - diciamoci la verità! - anche noi ci crediamo. L’uomo contemporaneo crede ai maghi più che mai, perché l’uomo stesso è impastato di fantasia, e di magia. La vita è sogno, come dicono molti poeti e scrittori.

Leggere Enea è sempre bello, tanto più in questi versi, così stringenti, attuali, e sentiti.


Vincenzo Capodiferro

13 giugno 2023

MES, RATIFICA STUPIDA O NECESSARIA? di Antonio Laurenzano


MES, RATIFICA STUPIDA O NECESSARIA?

di Antonio Laurenzano

“Ratifica stupida senza sapere cosa prevede il nuovo Patto di stabilità e crescita”. Giorgia Meloni, dal profondo Sud, ospite di Bruno Vespa a Manduria, al “Forum in masseria”, ha lanciato un messaggio chiaro a Bruxelles sul futuro del Mes, alzando ancor più l’asticella della tensione politica in vista di una ratifica che sembra ancora lontana. “Non ha senso, secondo la premier, ratificare la riforma in assenza di un quadro chiaro di ordinamento regolatorio europeo in materia di governance”. Alla base del messaggio, in particolare, c’è la riforma del Patto di stabilità con una richiesta ben precisa: scomputare gli investimenti legati a Pnrr, transizione energetica e digitale dal calcolo del rapporto debito-Pil, il macigno che pesa da sempre sulla nostra finanza pubblica. Il Mes rischierebbe di tenere bloccate delle risorse in un momento di crescente fabbisogno finanziario, in primis per il problema dei salari e il relativo taglio del cuneo fiscale. L’ex “fondo salva Stati”, al quale l’Italia ha contribuito con 14 mld di capitale versato e 125 mld di capitale sottoscritto (terzo maggiore socio dopo Germania e Francia), viene messo come elemento di negoziazione in vista del restyling della governance europea.

Il Meccanismo europeo di stabilità finanziaria (Mes) è la “cassaforte” dell’Eurozona, istituito nel 2012 per dare sostegno ai Paesi in caso di crisi finanziaria e di rischio default attraverso prestiti economici, acquisti di titoli di Stato, interventi per la ricapitalizzazione di banche in crisi. Hanno finora beneficiato del programma di aiuti Grecia, Spagna, Cipro, Portogallo e Irlanda. Con sede in Lussemburgo, il Mes è gestito dal Consiglio dei Governatori costituito dai ministri dell’economia dell’Eurozona e da un Consiglio di Amministrazione.

Dal 2017 si parla di riforma del Mes per rafforzare la coesione dell’Eurozona nell’affrontare le crisi e a tutelarne la stabilità finanziaria. La riforma ridisegna gli aiuti tradizionali del Mes con l’obiettivo di prevenire le crisi invece che intervenire drasticamente una volta scoppiate, con i programmi di salvataggio che sono costati la cattiva fama al Mes. L’intento della riforma è rafforzare l’uso degli strumenti a disposizione del Mes prima del ripescaggio di un Paese, cioè le linee di credito precauzionali, utilizzabili nel caso in cui un Paese venga colpito da uno shock economico e voglia evitare di finire sotto stress sui mercati. La riforma elimina il contestatissimo “memorandum” (le cosiddette “condizionalità”), quello passato alla storia per aver imposto alla Grecia condizioni rigidissime, sostituendolo con una lettera d’intenti che assicura il rispetto delle regole del Patto di stabilità. La ristrutturazione del debito pubblico interviene soltanto in condizioni estreme (“condizionalità rafforzate”), quando il Paese è sul baratro del fallimento, mentre non è una precondizione per aderire agli aiuti del Mes quando il Paese non ha perso ancora l’accesso ai mercati finanziari. Le proposte di modifica al Trattato, dopo un “accordo politico preliminare” nel giugno 2019, sono state approvate dall’Eurogruppo nel gennaio 2021.

La riforma intende inoltre attribuire al Mes una funzione di garanzia, un paracadute finanziario (“backstop”) al fondo salva-banche Srf, il fondo unico di risoluzione bancaria alimentato dalle banche stesse, qualora, in casi estremi, dovessero finire le risorse a disposizione per completare il recupero delle banche in difficoltà. Una misura per rendere il settore bancario più resistente alle crisi contro gli attacchi della speculazione, in grado di sostenere l’economia reale. Il Mes è uno dei tasselli mancanti dell’Unione bancaria. Rappresenta un momento importante nel processo d’integrazione economica e finanziaria dell’Eurozona. Una rete da usare sia in caso di crisi dei debiti sovrani, sia in caso di crisi del sistema bancario europeo, nell’ottica della “mutualizzazione” del rischio e di una maggiore trasparenza dell’ordinamento monetario.

Ma perché l’Italia, unico Paese dell’Eurozona, pur avendo firmato l’intesa, non ha ancora ratificato la riforma del Mes? Sono in discussione le forti criticità del meccanismo: la semplificazione delle “clausole di azione collettiva” da parte dei creditori di uno Stato per chiederne la ristrutturazione del debito, nonché il carattere intergovernativo del Mes che non risponde al Parlamento europeo, fuori quindi dalle istituzioni comunitarie. Con l’allargamento delle competenze, la riforma sposta il potere economico dell’Eurozona dalla Commissione al Mes. Nel merito, l’Italia richiede maggiore flessibilità sul nuovo Patto di stabilità per trasformare il Mes da strumento per la protezione dalle crisi del debito sovrano e bancarie a un volano per gli investimenti e il sostegno contro le recessioni economiche.

Il “giorno della verità”, sollecitato da un continuo pressing internazionale, è fissato per il 30 giugno: in calendario a Montecitorio il voto sulla ratifica. Dopo anni di stallo, con governi diversi a Palazzo Chigi, finalmente il dibatto su un tema di grande rilevanza comunitaria, perché senza l’ok italiano la riforma resterà nel libro dei sogni per tutti i Paesi dell’Eurogruppo, non entrerà mai in vigore. E’ auspicabile che l’Aula della Camera affronti questo tema in modo pragmatico e non in modo ideologico per trovare alla fine il giusto compromesso con Bruxelles e assicurare la credibilità dell’Italia in un ritrovato clima di generale fiducia, rafforzandone il ruolo nel complicato percorso sul nuovo Patto di stabilità. Un voto importante che richiede assunzione di responsabilità per realizzare un sostenibile sviluppo socio-economico del Paese.


GIANFRANCO GALANTE CI REGALA “STATI D’ANIMO” a cura di Vincenzo Capodiferro


GIANFRANCO GALANTE CI REGALA “STATI D’ANIMO”

Sentire intimo, sbocciato in forma di versi e steso su carta


Gianfranco Galante questa volta ci regala “Stati d’animo (e complici emozioni)”, Scriptores, Varese 2022, una densa raccolta di poesie, fatta di «numerose pagine, piene di pensieri, file di parole, esternazioni, vibrazioni avvertite; si tratta del sentire intimo, sbocciato in forma di versi e steso in carta; forse una forma di “confessione”, o confidenza».

Lo stile di Gianfranco è sempre, per così dire “galante”, fine, neoclassico, neo-stilinovistico. C’è questa esigenza di fondo che ricollega gli antichi ai moderni, c’è la passione e la nostalgia del ritorno, del perduto, delle perle della Scuola Poetica Siciliana.


Ed infine, dopo strazio

ed animo tormento

pur arido deserto

offre nuovo fiore.


È chiaro che il tema neoclassico qui si rivolge al fiore del deserto, alla leopardiana “Ginestra”, che sfida imperterrita lo “sterminator Vesevo”. E poi ci ricorda il profeta:


Si rallegrino il deserto e la terra arida,

esulti e fiorisca la steppa.

Come fiore di narciso fiorisca;

sì, canti con gioia e con giubilo.

Le è data la gloria del Libano,

lo splendore del Carmelo e di Saròn.

Essi vedranno la gloria del Signore,

la magnificenza del nostro Dio.


Carezza, dei pini,

le fronde bagnate,

che sfiora dall’alto

a colori sfumati.


Come non ricordare il panismo dannunziano de’ “La pioggia nel pineto”? Auscultando la poesia di Galante si fa un tuffo nel mondo poetico antico, in quelle venature, ispirazioni, che da secoli hanno animato il “vatismo” italico. Le orecchie sono accarezzate da ritmo, eufonia, musicalità, poesia vera, quella che affascina, intrattiene l’animo, invita alla riflessione, non lascia smarrito come la poetica razionalista e astrattista attuale, addolcisce il cuore, crea quel sentimento sublime che si chiama arte. È come l’arte astratta, che finisce per rivelarsi come un’arte “dis-tratta”. Il lettore non capisce, deve fare uno sforzo per poter dedurre i pensieri. L’arte non è più pura espressione d’un sentimento, intuizione pura, è diventata concettualizzazione. Questa è la morte dell’arte, cominciata già da Hegel.


La notte urla!

Un suono, un allarme,

si attiva paura

e spande terrore

in mente e nel cuore.

Riecco la guerra

di case sfondate

E gente per terra…


Come non ricordare “Uomo del mio tempo” di Quasimodo? O “San Martino del Carso” di Ungaretti? La guerra non finisce mai. È come gli esami. Anche se non la viviamo più in prima persone dal ’45, ne avvertiamo sempre l’eco, coi suoi stermini, le trombe degli angeli della morte. Thanatos sconvolge sempre, come ha sconvolto anche Freud in quella “Grande Guerra”.

Galante è un poeta sensibile a tutte le tematiche, quelle eterne, che la poesia sempre rimescola e rioffre come un mazzetto di bei fiori, cambiando la posizione degli steli e quelle, naturalmente legate al proprio tempo, al posto in cui si vive, all’erleben.


Vincenzo Capodiferro

12 giugno 2023

AAVV. MONTE VERITA’ – BACK TO NATURE a cura di Claudio Giuffrida

 AAVV. MONTE VERITA’ – BACK TO NATURE 



Lindau, settembre 2022, pag. 129, 24€

“Voglio raccontare la vita di alcuni uomini

che, cresciuti in una realtà conflittuale in

cui i rapporti interumani sono dominati da

egoismo, lusso, apparenza e menzogna at-

traverso mali ora fisici ora spirituali presero

coscienza della propria condizione, decisero

di cambiare vita per imprimere allo loro esistenza

 una direzione più naturale e più sana.”

Ida Hofmann

Queste le parole riportate da uno dei sei fondatori di questa comunità che nel 1900 diede vita ad un’esperienza collettiva che ebbe grande risonanza come esempio di concreta idealità e rifiuto della società di quei tempi. Sei giovani idealisti partiti alla ricerca di un nuovo mondo dove vivere nella natura: la pianista Ida Hofmann con la sorella Jenny dal Montenegro, Henry Oedenkoven architetto da Anversa, l’artista Gusto Graser e il fratello Karl dalla Transilvania, la giovane ribelle Lotte Hattmer dalla Germania. Henry figlio di una ricca famiglia di imprenditori mise a disposizione il denaro per l’acquisto del terreno.


                                                             Il Monte Verità ai giorni nostri


Il Monte Verità, anticamente Monte Monescia, nominato così in quanto divenuto simbolo della ricerca della Verità è una località sopra Ascona nel Ticino della Confederazione Elvetica ed è diventato un luogo storico e mitico per quello che è avvenuto in quell’inizio di secolo, un patrimonio di umanità, arte e cultura che viene tramandato e custodito con orgoglio dagli amministratori svizzeri che ne hanno ereditato l’esplicito compito di diffonderne gli ideali.

Infatti la proprietà venne ceduta nel 1964 al Canton Ticino con lo scopo non solo di preservare il luogo e i ricordi museali di quell’avventura ma con la precisa richiesta di continuare ad essere un punto di riferimento per manifestazioni culturali e scientifiche come tuttora avvengono ogni anno.

Il libro scritto a più mani affronta nei vari capitoli le specificità di questa comune ribelle.

Nel primo capitolo Nicoletta Mongini racconta delle storie e visioni avvenute in questa collina delle utopie. La nascita di questa colonia naturista e vegetariana, i visitatori che hanno preso ispirazioni dai protagonisti, la centralità della Lebensriform – la riforma della vita, la risacralizzazione della natura e del tempo. Un modello di vita affine in Germania al movimento dei Wandervogel con il ritorno alla vita nei boschi.

Itinerari del femminile dal M.te Verità a Eranos di Riccardo Bernardini

Ida Hofmann protagonista della comunità si è impegnata nella difesa dei diritti femminili, ispirata dagli scritti di Tolstoj si è impegnata per la nascita di una società matriarcale contrapposta a quella violenta e autoritaria del patriarcato, il culto di Astarte attraverso la liberazione dalla morale in ambito sessuale e il contributo rivuoluzionario dello psicanalista Otto Gras.

Il sole dell’avvenire di Chiara Gatti

Il sogno di un mondo nuovo, il bisogno di evasione e di una presa di coscienza lucida, una lotta per la sopravvivenza nei confronti di una società corrotta da interessi disumani e nocivi al benessere dell’individuo, l’aspirazione ad una giustizia sociale per risarcire gli uomini da una vita degradante fatta di miseria e sfruttamento. L’utopia come ideale etico e politico per una radicale azione di rinnovamento che ha coinvolto esuli, rifugiati politici, liberi pensatori, artisti, minoranze, alla ricerca di un altro sole.

Il paese delle sacre danze di Luca Scarlini

il ruolo avuto da Rudolf Von Laban rivoluzionario della danza che con la cinetografia elabora un sistema di scrittura della danza in veste corale, la nascita del teatro San Materno in cui la danzatrice Charlotte Bara avviò la sua scuola di danza, la danzatrice Mary Wingman fondatrice dell’espressionismo danzato, sospeso tra terra e cielo.

In cammino verso un’esperienza autentica del mondo di G. F. Tuzzolino

La rifondazione radicale dell’architettura per un luogo del riconoscimento dove ritrovare il proprio essere nel mondo rispettandone la sacralità del luogo, la necessità di stare non dentro uno spazio ma di ricercarvi una nuova appartenenza, dei nuovi legami, dove natura e architettura possano convivere organizzando ambiti funzionali in cui meditare, dipingere, suonare, scrivere, danzare, lavorare. Sperimentare lo spazio, attraverso un’esperienza corporea individuale e collettiva, dove farsi attraversare dalla poetica del quotidiano.

La montagna della verità di Harald Szeemann membro svizzero della commissione culturale del Monte Verità dal 1984 al 1998 inquadra il Monte Verità non solo come Museo ma come memoria di una comunità per la realizzazione di progetti di vita e di arte, dall’impegno sociale per una società senza classi alla riforma della vita come libera emancipazione dell’individuo nel vivere consapevolmente. L’anarchia come modello sociale che postula l’uomo emancipato attraverso il ritorno alla natura.

                                                           Fidus – Preghiera alla luce, 1922

All’interno del libro si trova una dettagliata ricostruzione della cronistoria e le biografie dei personaggi principali, con una ricca rappresentazione di tavole fotografiche dell’epoca e dei giorni nostri.


https://www.giannizuretti.com/articoli/aa-vv-monte-verita-back-to-nature/

(c) Claudio Giuffrida 





Intervista di Alessia Mocci a Francesco Delvecchio: vi presentiamo “Cronache di un numero brillante”

 

Intervista di Alessia Mocci a Francesco Delvecchio: vi presentiamo “Cronache di un numero brillante”

L’università sbagliata, il fidanzato sbagliato, gli amici sbagliati sono tutte tappe (non necessariamente obbligatorie, non mi azzarderei mai di dire questo) che alla fine vanno a influenzare, a cambiare le persone che siamo. Laura che queste cose le ha provate tutte lo sa bene, non a caso il titolo del romanzo inizia con “Cronache”.” ‒ Francesco Delvecchio

Cronache di un numero brillante” è stato pubblicato nel 2022 dalla casa editrice Albatros Il Filo, l’autore, Francesco Delvecchio, è originario e vive a Bari, città nella quale è ambientato il suo romanzo.

Laura Milani, invece, è la protagonista di questa storia di crescita personale nella quale la giovane imparerà proprio grazie agli errori ed agli incidenti di percorso che, solitamente, si hanno nella vita. Una scelta sbagliata, talvolta, può mostrandosi fallimentare aprire una strada mai presa in considerazione prima.

Era una perdita di tempo, minuto dopo minuto Laura realizzava che la sua permanenza in quell’aula grande per studiare qualcosa che non le piaceva, che non le interessava minimamente, stava diventando straziante.” ‒ incipit del romanzo

L’autore, Francesco Delvecchio, si è reso disponibile per svelare qualche retroscena del romanzo. Buona lettura!




A.M.: Ciao Francesco, ti ringrazio per aver accettato questa intervista così da raccontare qualcosa in più del tuo romanzo “Cronache di un numero brillante”. Innanzitutto potremo fermarci un po’ sul titolo del libro e sulla sua genesi.

Francesco Delvecchio: Ciao Alessia. Questa effettivamente è una domanda che in diversi mi hanno rivolto. Il titolo “Cronache di un numero brillante”, se vogliamo, è stato più difficile da concepire rispetto all’intero romanzo. Partiamo però dalle origini. La storia di Laura (la protagonista del libro) mi è venuta in mente circa due anni e mezzo fa, l’ho fatta crescere ed evolvere nella mia mente prima di metterla nero su bianco. Laura è una ragazza come tante, con i dubbi, le incertezze e le fragilità che possono caratterizzare una persona a vent’anni. Timorosa del parere degli altri, ha sempre deciso di seguire i consigli di suo padre mettendo da parte le proprie ambizioni e desideri, non credendoci più, ormai, nemmeno lei. Arriva però un giorno in cui viene chiamata a fare un colloquio presso uno dei negozi d’abbigliamento più famosi del mondo, Gonzales. Dal momento in cui viene assunta si ritrova a vivere una serie di vicissitudini e vicende che la trasformeranno, le faranno vivere una sorta di metamorfosi interiore. Amici, nemici, ragazzi, clienti e colleghi trasporteranno lei e il lettore in un microcosmo folle e sempre in movimento. La sua storia è un derivato di diverse esperienze che ho voluto mettere insieme e che hanno dato vita alla storia narrata nel libro. Nei ritagli di tempo mi sono dedicato a costruire le schede personaggi e i vari intrecci, è stato intenso, mi sono riscoperto a sorridere e ad innervosirmi in determinati punti, è stato come rivivere una seconda volta alcuni episodi. Ho vissuto un periodo di frustrazione personale che mi ha portato a riversare le energie sul manoscritto, abbattermi non è mai stato il mio forte, e ad un certo punto ho pensato solo a scrivere, scrivere e scrivere. Ho scritto in poco meno di sei mesi, interi capitoli che mi hanno portato a terminarlo, scrivere l’ultima pagina è stato emozionante, è stato come chiudere effettivamente un capitolo della mia vita.

Tornando al titolo, invece, è arrivato qualche settimana dopo, pensavo a varie combinazioni di parole che potessero formare una frase o anche una parola che mettessero al centro l’esperienza della protagonista o la sua vita ed ecco poi l’intuizione. Tanti anni fa un responsabile che ha lavorato con me mi disse una frase, un qualcosa che mi aprì gli occhi su una vicenda del passato appunto, e la frase era: “… puoi essere bravo quanto vuoi ma deve esserci qualcuno pronto a credere in te affinché tu possa andare avanti… Siamo solo dei numeri: sta a noi brillare.”

All’inizio questa frase non fu di grande effetto, non mi portò ad un’immediata riflessione che mi permise di cambiare la mia vita professionale in meglio. Col tempo, però, capì cosa volesse dirmi. L’impegno, la passione e la determinazione hanno molta importanza in tutto ciò che facciamo e in determinati ambienti è ancora più importante far spiccare queste qualità se vogliamo davvero far notare il nostro sforzo. “Brillare” non significa solo avere l’appoggio di qualcuno (anche se alle volte è necessario) ma significa prima di tutto investire su noi stessi in ciò che si crede e si fa. Quindi il titolo, se vogliamo, è una sorta di riassunto della storia stessa della nostra protagonista, Laura Milani, un numero brillante e la sua avventura.

A.M.: La prefazione del romanzo porta la firma di Barbara Alberti. Sull’incipit si menziona la ricerca dell’antropologo inglese Robin Ian Dundar sul numero di amici di ogni essere umano. Sin dall’antichità questa ricerca ha appassionato gli studiosi, ricordiamo, a tal proposito, la teoria condivisa da Ippocrate, Democrito ed Epicuro secondo la quale due sono gli amici, quattro i nemici ed innumerevoli i neutrali. Ritieni fosse troppo limitata oppure riscontri che, anche nel tuo romanzo, ci sia una simile proporzione?

Francesco Delvecchio: Quando la mia casa editrice, Albatros il filo, mi disse che la prefazione sarebbe stata scritta da Barbara Alberti non potei essere più felice. La lessi e la prima reazione che ebbi fu di sorpresa, fui sorpreso dall’argomento perché mi riguarda molto. Per me l’amicizia ha un’importanza che va oltre le parole, è inestimabile. Infatti ci ho tenuto fortemente a ringraziarli con una dedica in prima pagina per essere, appunto, i fautori di molti dei miei sorrisi. Gli amici sono le persone che costituiscono quella famiglia che in un certo senso ci scegliamo, sono quelle persone a cui affidi i tuoi segreti, i tuoi malumori e le tue gioie. Quanto siamo felici nel raccontare un evento positivo che ci riguarda ad un amico? Io personalmente non vedo l’ora di farlo. Quindi posso dirmi assolutamente d’accordo, anche se non sono uno studioso di tale materia, con la teoria su citata. Sin dalle prime pagine si può notare l’impatto che gli amici hanno sulla vita della protagonista. Nel corso del romanzo, inoltre, trova due amici che saranno molto importanti nelle vicende della sua storia, Daniele e Clara, due rocce su cui fare affidamento nei momenti più bui. Purtroppo però si scontrerà anche con diversi personaggi che si riveleranno ingiusti, sleali e poco educati. Una fra tutti è Caterina. Caterina, più grande di Laura, quasi coetanea di sua madre, è forse il primo “problema” che Laura incontra nel romanzo. Una donna arrogante e irrispettosa che renderà difficile la sua permanenza all’interno del negozio. Mi piacerebbe citare, a tal proposito, un estratto di una “conversazione tipo” fra le due:

Come, per esempio, quando Caterina decise di mettersi in mostra davanti a una cliente mancando di rispetto alla collega.

«Laura rapida vedi lì… Muoviti» Quelle parole furono accompagnate da un gesto, quasi un’indicazione verso un punto del camerino. Laura non capiva cosa le stesse chiedendo.

«Perdonami Caterina, ma lì cosa? Non capisco.»

«Vedi quanta polvere, passa lo swiffer muoviti. RapidaLa cliente che stava seguendo la donna abbassò lo sguardo un po' imbarazzata per i modi utilizzati nei confronti della ragazza. Laura però invece di restarci male decise di rispondere, era stufa.

«Caterina credo che tu sappia farlo anche da sola. Sai dove si trova il panno. Alla signora ci penso io, del resto sono pur sempre una personal shopper per l’azienda.»

Caterina era nera, probabilmente avrebbe picchiato Laura con una gruccia dato quello che le aveva detto.”

Non sempre è facile gestire momenti di questo genere, ma questo è anche un punto che segna la maturità di Laura nei confronti delle reazioni e dei rapporti a lavoro. Tornando alla teoria citata nella domanda, dove si parla dei neutrali, fra le tre categorie (amici, nemici e neutrali) trovo che siano in un certo senso i più dannosi. Perché sono coloro che non prenderanno mai una posizione nei tuoi confronti o nei confronti di un tuo nemico, non saprai mai che cosa pensano realmente di te. Basti pensare che il primo gruppo di amici di Laura scompare dalla sua vita senza farsi più sentire, i cosiddetti neutrali che avrebbero quantomeno potuto spendere una parola o un gesto per lei o la sua situazione. Io sono convinto di una cosa, ovvero, che tutte le persone presenti nella nostra vita in un certo qual senso siano presenti per un motivo, qualsiasi ruolo possano ricoprire, sta a noi prenderne il meglio. Laura per lo meno cercherà di farlo.

A.M.: Bari la si incontra sin dalla copertina. Com’è il tuo rapporto con questa città?

Francesco Delvecchio: Come hai detto è possibile ammirare Bari già dalla copertina, il teatro Margherita sullo sfondo infatti è uno dei simboli più importanti e riconoscibili della città, ma prima di parlare della copertina vorrei esplicare al meglio l’importanza che ha per me la mia città natale. Come è possibile intendere io sono molto legato ad essa.

In passato, da ragazzino, non facevo altro che pensarmi in un luogo diverso da Bari, tipo che avrei trovato lavoro a Milano, Roma o Londra addirittura, così non è stato perché con il tempo ho imparato ad amarla, ho imparato ad avere rispetto per le mie origini. Vivere a due passi dal mare, in estate sembra di stare in California con i palazzi che si affacciano sulle spiagge, è possibile sentire l’odore della salsedine addirittura in pieno centro. Oppure la tradizione delle “orecchiette” e delle “sgagliozze” fatte con le mani delle anziane del borgo antico proprio sulla soglia delle loro case, non ha prezzo perché anche se sembra anacronistico esistono giovani interessati a questa forma di arte e ad ammirarle vengono praticamente da tutto il mondo. Le nostre città rappresentano, come la nostra famiglia, le nostre radici e quindi non ho trovato giusto abbandonarla per un qualcosa che si presentava come “migliore” solo perché l’immaginario collettivo ci porta a pensare a questo molto spesso. A Bari ho tutta la mia vita, e anche se mi definisco un buon viaggiatore perché adoro farlo, adoro altrettanto il momento del ritorno. Molti potrebbero pensare che rimanga qui per pigrizia o perché è più facile barricarsi nella cosiddetta “comfort zone”. Può essere anche vera la seconda ma per farlo bisogna prima trovarla questa benedetta “comfort zone”. Ma ora veniamo alla copertina, realizzata da SWITCH ON comunicazione e media. Avevo consegnato il manoscritto alla casa editrice, non sapevo ancora quali idee mi avrebbe proposto per la copertina anche se una già ben definita mi ronzava in testa. Lavorando in un negozio d’abbigliamento, nel reparto donna, in una multinazionale proprio come quella dove lavora Laura, si ha la possibilità di conoscere una miriade di persone. Con molte ci si limita ad un saluto con altre invece addirittura ci si raccontano fatti della propria vita che solitamente si tende a tenere per sé. Un giorno entrò la signora Regina (colgo l’occasione per salutarla e ringraziarla ancora), l’aiuto spesso a cercare i capi che desidera all’interno del negozio oppure mi fermo a parlare del più e del meno, anche se non conoscevo nulla di lei come per esempio che lavoro facesse. Ricordo ancora quel pomeriggio in cui le ho raccontato del mio libro e lei senza pensarci due volte mi propose di realizzare quella che è la copertina attuale. Mi chiese se avessi idee e una di queste fu che ci dovesse essere assolutamente Bari sullo sfondo. Così è stato, ha realizzato, insieme ai professionisti che lavorano nel suo studio, la copertina esattamente così come me la immaginavo. Sono molto orgoglioso perché ogni volta che mi soffermo a guardare quell’immagine mi accorgo che non potevo chiedere di meglio.


A.M.: “Cronache di un numero brillante” è scandito da capitoli che hanno come titolo la data precisa degli eventi che il lettore andrà a leggere, si susseguono così i mesi da giugno 2012 a settembre 2013. Perché hai scelto il 2012/2013 per raccontare la storia della protagonista Laura Milani?

Francesco Delvecchio: Volevo dare l’idea al lettore di come scorre il tempo all’interno del romanzo, oltre che scandirlo con i cambiamenti che andranno a caratterizzare la protagonista (anche estetici) ho voluto inserire una sorta di time-line. Molti mi hanno chiesto come mai sei partito dal 2012? Per me quel biennio, 2012/2013, ha segnato un punto di svolta, da adolescente sono diventato uomo sia anagraficamente che interiormente. Proprio come Laura. Ho lasciato la spensieratezza del periodo adolescenziale, il cui unico pensiero era lo studio (premetto che per me a 19 anni l’università richiedeva impegno e dedizione quindi non è solo un pensiero ma è una vera e propria responsabilità verso se stessi) per approcciarmi al mondo del lavoro, probabilmente non ero pronto a quel tipo di responsabilità accademica. Inoltre trovo interessante quel biennio perché, molto tempo dopo, mi sono accorto che ha segnato un cambiamento della società, per come la conosciamo oggi. All’epoca molti utilizzavano i “Nokia” (proprio come Laura), i telefoni con le testiere fatte di soli numeri, gli smartphone sono arrivati in contemporanea, quindi c’è stato una sorta di contrappasso che ha segnato sicuramente anche il modo di vedere il mondo. Un piccolo mezzo che ci dà la possibilità di comunicare, di cercare l’amore, di viaggiare, di metterci in contatto tramite i social. Il social prima lo usavamo nei momenti liberi quando tornavamo a casa, dopo il lavoro o dopo le uscite serali, ora nei momenti liberi (ammesso che ci siano) cerchiamo di dedicarci alle persone. Sì, si è capovolto il mondo, il modo di socializzare. Ho voluto raccontare all’interno del mio libro questo cambiamento perché lo trovo davvero un fattore caratterizzante di quel periodo e di una generazione che è cambiata senza accorgersene. Laura non aveva la benché minima curiosità nell’usare uno smartphone, le bastava mandare un SMS per essere in contatto con i suoi amici. Follia, un SMS probabilmente molti non sanno nemmeno cosa sia. Sembra strano dirlo, mi sento come mio padre mentre mi racconta degli anni ‘70 o ‘80 e di come ci si divertiva con poco. I cambiamenti però non vengono mai per nuocere, lo dico sempre, basta solo saperli prendere e farli nostri. Magari oggi vediamo la tecnologia come un mezzo che ci tiene distanti, io la vedo come un modo invece per tenermi sempre in contatto con chi magari non posso vedere per via delle distanze. Anche se non deve essere un deterrente da preferire a chi ci circonda.


A.M.: Ogni scrittore immette nei fogli qualcosa di sé, eventi che hanno segnato la vita o semplici passioni. Ad esempio Fernando Pessoa ha creato un vero e proprio mondo popolato dai suoi eteronimi. Leggendo la tua biografia non si può non restare colpiti dalle “coincidenze” fra te e Laura. La protagonista è una sorta di tuo alter ego letterario?

Francesco Delvecchio: Beh effettivamente solo un occhio parecchio attento può notare il legame tra Laura e la mia biografia. Scherzo, però ci tengo a dire che Laura non è Francesco Delvecchio. Sicuramente ha molto di me, perfino alcune esperienze sono uguali alle mie per esempio: come Laura ricordo ancora il grido di paura della mia collega che si propaga, grazie all’interfono, in tutto il negozio a seguito dell’assurda caduta di una bambina dal secondo piano dello stesso. Oppure ricordo ancora la frenesia che animava il negozio e che mi caricava per il turno che stavo per iniziare. Però Laura ha sviluppato nel romanzo una vita propria, fatta di scelte differenti dalle mie per alcuni aspetti. Trovo che lei sia una ragazza coraggiosa seppur apparentemente fragile, io sto imparando da lei per certi punti di vista. Di base però effettivamente il suo personaggio mi appartiene particolarmente dall’università abbandonata alla passione per la moda fino ad arrivare all’amore per la scrittura. Non è stato molto semplice scrivere di lei. Comunque riprendendo Fernando Pessoa lui ha creato un mondo di eteronimi, proprio come dici tu ed infatti in questo romanzo c’è molto di me ma non solo in Laura ma in quasi tutti i personaggi. Nel modo di fare sono un po’ Sergio e un po’ Daniele anche se i due sono molto diversi fra loro, parte della frustrazione di Carlo e Laura l’hanno ereditata da me oppure il modo di vedere l’amicizia come fanno Clara o Laura, selettiva, anche quella è una mia peculiarità. Tutti però hanno in comune una caratteristica che se vogliamo li accomuna, ovvero, il modo di affrontare le cose. Trovo che abbatterci sia fisiologico in alcuni momenti, solo che non deve essere uno status ma un momento di riflessione. Si di riflessione con noi stessi, riorganizzarsi e rimetterci su una strada alternativa per continuare dritti verso ciò che davvero si vuole. Quindi ammetto che questa fra tutte le caratteristiche che ho donato ai miei personaggi è quella che mi rende più orgoglioso.


A.M.: Nel tuo sito personale si legge in maiuscolo il motto: “Vivi la tua vita sempre come vuoi, con libertà e con audacia, anziché farla vivere agli altri”. Laura l’ha dovuto imparare con una dura battaglia ma non sempre le persone accettano di “conoscersi”. Qual è il motivo?

Francesco Delvecchio: Hai ragione, hai detto bene, non sempre le persone accettano di conoscersi. Laura inizialmente è l’ombra di se stessa se vogliamo, trova più semplice dire “sì va bene lo faccio, faccio come vuoi tu” piuttosto che prendere una decisione per se stessa. Il motivo? Probabilmente uno dei motivi potrebbe essere la paura di osare, di sbagliare, insomma di fare quell’errore che crede irrimediabile. In un vecchio film con Hilary Duff, ad un certo punto, appare una frase su un muro che recita: “Non lasciare mai che la paura di perdere ti impedisca di partecipare”.

Quanti di noi compiono questo errore? Ma soprattutto, quanto tempo ci mettiamo prima di mettere in pratica il concetto di questa frase che alla fine sembra solo una frase fatta, una frase ad effetto? Beh ognuno ha i propri tempi, è la risposta che mi sento di dare. Laura, per esempio, ci è arrivata dopo aver preso un sacco di batoste da “amici”, uomini e perché no anche colleghi. Le sue avventure alla fine sono propedeutiche, se vogliamo, alla formazione di quello che sarà il suo nuovo punto di vista, il modo in cui inizierà ad affrontare le vicende e le vicissitudini che la riguardano. L’università sbagliata, il fidanzato sbagliato, gli amici sbagliati sono tutte tappe (non necessariamente obbligatorie, non mi azzarderei mai di dire questo) che alla fine vanno a influenzare, a cambiare le persone che siamo. Laura che queste cose le ha provate tutte lo sa bene, non a caso il titolo del romanzo inizia con “Cronache”. Una semplice esperienza come può anche essere un viaggio da soli ci può segnare in modi che nemmeno ci aspettiamo. E per ricollegarmi alla frase che hai citato nella domanda, quella che rappresenta l’insegna del mio blog, ci tengo a sottolineare che vivere la propria vita non deve essere solo un atto di coraggio, ma anche un gesto di libertà e di rispetto a quella vita che infondo ci siamo guadagnati.


A.M.: Riporto un estratto dal libro: “«Mio padre non è molto tollerante, non tollera i ragazzi effemminati, i ragazzi che fanno cose da donna, i gay. Capisci bene quindi che per me è parecchio difficile dirgli come sono.» Trasse un sospiro, volgendo nuovamente lo sguardo all’amica. «Mia madre è mia madre, sono sicuro lo sappia, mi fa sentire a mio agio. Nemmeno a lei ho avuto il coraggio di dirlo però. Non ho voluto caricarla di un peso da tenere per sé.»” Un breve dialogo fra Daniele e Laura che rispecchia perfettamente il timore di molti ragazzi (e ragazze) per la cosiddetta confessione dell’orientamento sessuale ai propri genitori. Ricordando che il romanzo è ambientato nel 2012, secondo te, oggi qualcosa è cambiato oppure non ci si è mossi dalla preoccupazione di poter ferire i genitori? Prima della tua risposta devo elogiare la profondità del tuo ragionamento nel sottolineare il modo in cui Daniele preserva la madre dall’incombenza di venire a conoscenza di una confidenza (un segreto che conosce già ma di cui non si è parlato) che potrebbe mettere in difficoltà il rapporto di coppia con il padre.

Francesco Delvecchio: Che dire?! Questo è uno dei miei capitoli preferiti. La referente della mia casa editrice (Albatros il filo) lo ha definito una “pausa nella trama”, trovandolo interessante, io invece lo definirei come “un momento essenziale” nella storia dei protagonisti. Sì, perché fondamentale qui Laura capisce che anche un ragazzo così “libero” e senza peli sulla lingua, come Daniele, abbia delle difficoltà ad esprimersi per di più con i suoi genitori che dovrebbero essere il suo porto sicuro. Daniele invece “forte”, allegro e di carattere (l’opposto di Laura, tranne per l’essere allegro) si ritrova a mostrare la sua parte più fragile, il suo tallone d’Achille, la sua vita vissuta a metà. Nel 1800 come nel 1900 e come anche nel 2000 i ragazzi e le ragazze che sentono di avere un orientamento sessuale diverso da quello che solitamente si definisce “tradizionale” o “normale” tendono a tacerlo soprattutto negli ambienti intimi come le amicizie strette e soprattutto le famiglie. Si è vero negli anni 2000 si è fatto passi da gigante ma lo stigma esiste ancora, purtroppo aggiungerei. Una persona non riesce a fare quell’“agognato” e probabilmente necessario coming out per svariati motivi. Uno può essere sicuramente la paura di far mutare il rapporto che si ha con le persone più care, amici e parenti appunto, di essere visti in modo differente seppur “accettati”. È difficile da spiegare ma un genitore in molti casi, dopo una rivelazione del genere, cambia la visione che ha del proprio figlio o figlia, la/o vede più fragile, da proteggere dalle “avversità del mondo etero e bigotto”. Ma un figlio o una figlia non chiede questo, non chiede compassione, non chiede protezione, chiede solo “normalità”, la stessa che c’era prima di dirlo. Un altro dei motivi invece, come nel caso di Daniele, è quello che riguarda la preservazione del rapporto famigliare. Sì. perché molto spesso si hanno genitori di ampie vedute (come sua madre) e genitori con vedute più ristrette (come suo padre) e si crede che dirlo possa rappresentare l’inizio di diatribe famigliari, nate a causa di questo modo di essere, quindi si preferisce fare silenzio, omettere. Una persona omosessuale preferisce, oggi, il più delle volte, rendersi spontaneo di fronte agli estranei senza creare quella rete di bugie e omissioni che si è costretti (da sé stessi o dal contesto in cui si vive) a tenere in piedi piuttosto che dirlo in casa, almeno non si rovinano le aspettative e si dà vita ad un rapporto limpido, senza ombre e segreti. Prima ho detto che anche con gli amici si tende a tenere il segreto, soprattutto con quelli stretti, con quelli che fanno finta di non saperlo. Il motivo? Perché fanno finta di non saperlo! Alle volte il tacito assenso non fa altro che provocare lassismo nella persona in questione (dico persona perché non solo i ragazzi/e hanno queste difficoltà) e quindi è meglio lasciare il rapporto così com’è, a metà. Non esistono dei momenti per dirlo, esiste solo l’accettazione di se stessi che renderà naturale farlo. Per questo mi sento di dire assolutamente che accettarsi e volersi bene è il primo passo per non vivere più a metà, per vivere liberi. Questo momento può arrivare all’improvviso o anche dopo l’aiuto di chi davvero sa ascoltare senza far aprire bocca, in questo Laura è stata formidabile.


A.M.: Hai ricevuto qualche critica costruttiva dai tuoi lettori su uno o più personaggi secondari a cui avresti dovuto dare più spazio?

Francesco Delvecchio: A dire il vero sì. Una delle recensioni che più mi ha colpito è stato da parte di una ragazza che si è rivista nel personaggio di Laura, nelle sue difficoltà e nelle decisioni non prese. Mi ha detto di essersi commossa addirittura. Io credo che arrivare al cuore anche di una sola persona sia il traguardo più bello e unico che uno scrittore, un cantante, un attore, un artista in generale possa mai raggiungere. C’è chi ha ammirato la figura di Marianna “la Tedesca” per il suo essere così sicura, autorevole e indomita. C’è chi mi ha scritto per dirmi: “quanto vorrei un’amica come Stella da tenere sul comodino di casa, sempre pronta a consolarmi col suo fare materno”. Anche la cattiveria e le maniere poco carine di Caterina non sono passate inosservate: “… ho una Caterina uguale anche io a lavoro, la mia solidarietà a Laura.”.

Qualcuno mi ha detto che non ho dato molto spazio alla storia di Daniele, di non aver approfondito a dovere la sua situazione. Io ho accettato questa critica ma al contempo ho risposto semplicemente che questa non è la storia di Daniele, ma che probabilmente un giorno la potrei affrontare più dettagliatamente e più in profondità. C’è chi ha ritenuto troppo perfetto Sergio per essere vero. Posso assicurare che ho avuto il bellissimo piacere di conoscere persone anche come lui, quindi posso affermare che esistono. Molti personaggi hanno dei caratteri e delle storie alle spalle che li rendono “da scoprire” e magari è proprio questo quello che volevo, che non ci si affezionasse solo a Laura, ma anche a tutto il contesto di questi ultimi che la circonda, di quelli che animano il microcosmo di “Cronache di un numero brillante”.

Io credo che i personaggi migliori, in generale, siano quelli che prendono le sembianze delle persone per le quali proviamo un qualsiasi sentimento, che possa essere, rabbia, stima, odio, amore o semplice affetto. L’ispirazione che ci dà una persona è da tenere sempre preziosamente conservata, a prescindere da quale sia il sentimento.


A.M.: Hai in programma delle presentazioni del libro nei prossimi mesi tra primavera ed estate? Se sì, dove potremo seguire le date?

Francesco Delvecchio: Ho qualcosa in mente, ma sicuramente lo renderò pubblico quando sarà più concreto, e per questo consiglio di visitare il mio sito nel quale poter seguire gli sviluppi e le novità di Cronache di un numero brillante (troverete tutti i social in cui sono presente, Instagram, Facebook, Tik Tok, Twitter).

Comunque sia questo percorso è iniziato con una prima presentazione il 31 febbraio 2023 alla Feltrinelli di Bari. La cosa che mi ha emozionato più di tutte era vedere, sicuramente amici e parenti accalcarsi per ascoltarmi, ma soprattutto cogliere l’interesse di passanti, di estranei che occupavano le poche sedie rimaste vuote per sapere di più sul mio romanzo. Quella serata, quella prima volta, la posso descrivere con una sola parola, incredibile. Il relatore inoltre, Francesco Valente, mi ha aiutato a rendere magico quel momento, non potevo chiedere di meglio. Poi è arrivato il 19 maggio 2023 data in cui ho partecipato al Salone del libro di Torino. Il mio primo Salone del libro, per di più come autore, indimenticabile. Un’esperienza unica, sono convinto che almeno una volta nella vita ci si debba andare anche se non si è dei grandi lettori. Andarci significa vivere una vera e propria esperienza. Mi ricordo ancora il momento in cui ho varcato quei cancelli e in cui ho trovato sullo stand della casa editrice, con cui ho pubblicato, il mio libro esposto in bella mostra. È assurdo per me pensare come sia stato possibile l’avverarsi di un tale sogno. Continuerò sicuramente a portare in giro la storia di Laura, a raccontare di lei e del suo pazzo mondo, quindi vi invito con gioia a seguire tutti gli sviluppi di questo percorso appena iniziato.


A.M.: Ci puoi anticipare qualcosa riguardo alle tue future pubblicazioni? Stai scrivendo una nuova storia oppure è già terminata e chiusa in un cassetto?

Francesco Delvecchio: A questa domanda mi fa sempre piacere rispondere. Sì c’è un piccolo progetto nel cassetto che sto iniziando a mettere in moto, la scrittura non l’ho mai messa da parte, anzi quando posso cerco di articolare quest’ultimo sempre al meglio. In questo momento, però, sto dedicando le mie energie a “Cronache di un numero brillante”, una creatura appena nata che sta iniziando a mettere i suoi primi passi al mondo, quindi per il momento sentirete parlare solo di Laura Milani.


A.M.: Salutiamoci con una citazione…

Francesco Delvecchio: Per rimanere in tema con la storia di Laura e l’insegna del mio blog nessuna citazione è più giusta di questa di Oscar Wilde: “La vita è troppo breve per sprecarla a realizzare i sogni degli altri.”

A.M.: Francesco ti ringrazio per aver dedicato così tanta cura nelle tue risposte, si nota la tua passione e la sincerità nella condivisione delle tue scelte di vita. Invito i lettori a conoscerti meglio attraverso il tuo sito web e social media e saluto prendendo in prestito le parole di Carl Gustav Jung: “Pensare è molto difficile. Per questo la maggior parte della gente giudica. La riflessione richiede tempo, perciò chi riflette già per questo non ha modo di esprimere continuamente giudizi.”

Written by Alessia Mocci


Info

Visita il sito di Francesco Delvecchio

https://www.francescodelvecchio.com/



Fonte

https://oubliettemagazine.com/2023/05/31/intervista-di-alessia-mocci-a-francesco-delvecchio-vi-presentiamo-cronache-di-un-numero-brillante/


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