LA NASCITA
DEGLI STATI UNITI D’AMERICA E LE CONSEGUENZE SULLA POPOLAZIONE
INDIGENA.
INTRODUZIONE
SULLE CARATTERISTICHE DELLE DIVERSE ETNIE INDIANE
Siamo fra il
15° e 16° secolo e l’Europa è forse all’apice della sua
vecchiaia. Per gli stati e gli imperi centrali l’unica
preoccupazione è conservare e tramandare il potere e se possibile
allargare i propri confini; niente di nuovo, insomma. Questo vale
anche per Spagna, Portogallo ed Inghilterra, oltre che per la
Francia, la differenza è che questi ultimi hanno l’Atlantico di
fronte. È vero che i commerci da almeno duecento anni si sono
allargati verso il medio oriente e le indie, ma fino ad allora gli
stati e i regni non ne avevano goduto in prima persona, le conquiste
territoriali erano state esigue. La guerra dei Cent’anni era finita
senz’altro a favore dei francesi, forse anche per questo il Regno
Unito cercava di espandersi altrove.
Numerosi
altre guerre non erano state solo scaramucce, quelle dei Sette e dei
Trent’anni dovevano ancora arrivare ma, nel frattempo successero
fatti importanti e sconvolgenti: la scoperta di nuovi mondi al di là
dell’Atlantico, Cristoforo Colombo aprì la via e da allora il
Mediterraneo non fu più al centro dell’attenzione come lo era
stato fino a quel momento, le lotte per il predominio si spostarono
nei nuovi mondi. Subito Spagna e Portogallo si spartirono le aree di
intervento, ad ovest la prima, ad est il secondo. Va ricordato che la
Castiglia dal 1615 era sotto le dipendenze di un ramo degli Asburgo.
Appena dopo si mossero i francesi e partirono le navi inglesi, le
battaglie continuarono là fino alla storia recente. I francesi e gli
spagnoli a poco a poco lasciarono campo libero agli inglesi nei
territori che poi diventeranno gli Stati Uniti. La Francia si ritirò
per un po’ di tempo a nord, la Spagna al centro e al sud.
A sua volta,
a seguito della guerra di Indipendenza degli stati dell’Unione,
l’esercito britannico tornò in Europa e i 13 stati confederati
iniziarono la colonizzazione da est verso ovest. È questa che viene
chiamata l’epopea americana,
la conquista del West. Carovane di pionieri provenienti dal nord
Europa, scortati dall’esercito andarono alla conquista di quelle
che chiamavano “terre di nessuno”. Ma quella terre erano abitate,
lo era il Kansas come lo era il Colorado, erano abitate dai nativi
americani, dagli indiani d’America. L’esercito dell’Unione, da
quando essa nel 1783 proclamò la propria indipendenza, ebbe
soprattutto il compito -a parte i quattro anni in cui infuriò la
guerra civile- di
piantare la bandiera a stelle e strisce sui territori che arrivavano
fino all’Oceano Pacifico e fu appunto l’epopea
poi celebrata in tanti libri e in tanti film,
i nativi dovevano, ad andar bene, essere confinati nelle riserve.
Certamente gli indiani si ribellarono contrattaccando, (si veda alle
voci Little Bighorn e
generale Custer)
certamente molte delle loro tribù combattevano fra loro per avere
terreni su cui vivere e cacciare, era lotta per la sopravvivenza. In
tanti hanno sempre obbiettato che anche quella dei coloni era lotta
per la sopravvivenza, sta di fatto che l’esercito confederale
andava alla conquista eseguendo gli ordini del governo di Washington
e gli ordini si concretizzavano il più delle volte con soprusi,
ingiustizie, massacri.
Tutta la
popolazione indiana venne sopraffatta in nome della conquista e
l’epopea venne portata a compimento, possiamo stabilire una data:
alla fine del 1890 presso il torrente Wounded Knee nel Sud Dakota, il
Settimo reggimento cavalleria delle giacche blu, comandato dal
colonnello James Forsyth, con due mitragliatrici spara su un
accampamento di donne e bambini sulle rive e li uccide tutti, sono
circa 300, i guerrieri erano altrove. Per tale campagna
militare, 20 soldati
vennero insigniti con
la maggior onorificenza militare, il presidente dell’Unione era
allora Benjamin Harrison.
I metodi
militari non furono i soli impiegati durante l’occupazione, un
altro, non dimentichiamolo, fu l’alcool, un altro fu il favorire
con ogni mezzo la partenza di coloni verso ovest per insediarvisi o
per andare alla ricerca dell’oro. Le armi da fuoco ebbero il
sopravvento sulle frecce scagliate dagli indiani, cosa importava se i
nativi vivevano su quelle terre da secoli, essi non avevano carte
bollate che dimostrassero le loro proprietà, cosa importava se tanti
saperi e tante culture andavano a morire con loro, queste avrebbero
trovato spazio nei musei ed i superstiti avrebbero trovato spazio nei
circhi itineranti in giro anche per l’Europa.
E dire che
nella Costituzione di quella che viene definita la prima
democrazia del mondo, i 13 stati della
Confederazione fra l’altro scrivevano che: “…tutti gli uomini
sono creati uguali e sono dotati dal loro Creatore di certi diritti
inalienabili e, tra questi ci sono il diritto alla vita, alla libertà
e alla ricerca della felicità…”. Le cose sono andate poi
diversamente.
Ognuno può
documentarsi andando sui libri di storia, a noi interessavano queste
poche considerazioni perché sono il pretesto per parlare degli
indiani d’America, dei loro diversi ceppi, dei loro diversi usi,
delle loro culture.
Iniziamo con
gli indiani Hopi. Iniziamo con loro perché, fra tutte le popolazioni
insediate nel nord America, senz’altro essi sono stati i più
pacifici e prevalentemente stanziali nei territori dell’attuale
Arizona settentrionale. Di origine shoshone, parlavano una lingua di
ceppo azteco. Gli Hopi –o Moki o Moqui- provenivano, come gran
parte degli Shoshones dal Gran Basin, il grande bacino che non ha
sbocchi al mare formato da una serie di catene montuose affiancate da
depressioni che caratterizzano lo stato del Nevada odierno. Da lì
migrarono spostandosi verso sud-est alla ricerca di terreni più
fruttiferi, in quanto quelli che il Grande Bacino poteva loro
offrire erano in gran parte inadatti alle colture agricole. Questo
popolo infatti ha sviluppato prima dell’intervento di conquista da
parte dell’Unione e a differenza di tutti gli altri nativi, una
sussistenza basata principalmente sulla coltivazione del mais, dei
tuberi e di altri prodotti autoctoni. Sono anche artigiani, conoscono
e sviluppano la tessitura, lavorano la ceramica e l’argilla in
maniera originale, a noi sono giunti monili, collane, statuette. Le
loro abitazioni sono costruite con mattoni di adobe (argilla o fango
mescolati con paglia ed essiccati al sole), i loro non sono
accampamenti ma villaggi -pare che fossero sette in tutto- che dagli
Aztechi ereditano la fisionomia, con un largo spazio comune al
centro.
È forse la
prima comunità indiana, proprio perché stanziale, a venire a
contatto con gli europei ed in un primo tempo i rapporti furono
cordiali e accoglienti, non così in seguito, quando gli Hopi
capirono le vere intenzioni degli stranieri si fecero ostili ma ormai
era troppo tardi. Questo popolo aveva conservato relativamente
intatto il patrimonio culturale e l’organizzazione sociale in clan
parentali con impianto matriarcale e la sua religione animistica. La
ricca eredità di miti e leggende che risalgono a centinaia di anni
fa, ne faceva un popolo rispettoso delle altre genti e di madre
terra. È una storia che ci parla di divinità che risiedono al
centro della terra, la quale è cava, di universi distrutti e di
mondi che ancora devono arrivare.
In diverse
incisioni e in petroglifi rinvenuti, appaiono uomini con le antenne:
storici e studiosi gli hanno dato il nome di ‘uomini-formica’ e
secondo loro dovevano essere quelli che erano a contatto con gli dei,
salendo in determinate occasioni sulla terra lasciando segnali
amichevoli e di ammonimento all’umanità. Secondo mitologie,
all’inizio del tempo, il Creatore Taiowa plasmò Soutunknang e gli
diede il compito di creare nove universi; in una concezione ciclica
del tempo simile a quella degli aztechi questi mondi si sarebbero
succeduti in sequenza.
Sempre
secondo alcuni storici ed in particolare Frank Waters autore del
libro “The Coming Sixht World of Consciousness” (1975), gli
“uomini-formica” potrebbero essere paragonati agli Annunaki dei
sumeri, ovvero i tramiti fra gli dei e gli abitanti della terra, con
il compito della salvaguardia della specie. Seguendo la teoria hopi
dei mondi che si susseguono, il primo è stato distrutto da un immane
incendio globale, una specie di vulcanismo oppure diremmo noi,
l’impatto con un asteroide; il secondo dal freddo, probabilmente
una glaciazione ed il terzo, caratterizzato da una civiltà altamente
avanzata tanto da concepire scudi volanti nel cielo, (petroglifi
rinvenuti nei luoghi del sud-ovest degli Stati Uniti rappresentano
esseri a bordo di una nave del cielo senza ali a forma di cupola):
questo terzo mondo sarebbe stato distrutto da un’alluvione che ha
disperso gli esseri umani in diversi luoghi del pianeta.
Gli hopi di
cui parliamo noi, gli indiani del XIX secolo, pensavano che l’umanità
contemporanea si trovi a vivere nel quarto mondo il quale, come i
precedenti, andrà distrutto a causa della malvagità degli uomini.
Oltre ai
paralleli tra la cultura hopi e quella sumera, Waters intravede una
connessione anche fra il popolo indiano e quello dei Maya, simili
infatti con quest’ultimo sarebbero i riferimenti alla creazione e
alla distruzione del mondo ed allora è portato a formulare un
quesito: non è che Hopi, Maya e Sumeri siano ancestralmente legati?
Di fronte a
questi interrogativi ci fermiamo. Vorremmo continuare prossimamente
parlando di altre genti indiane del nord-America, nello specifico
quelle che abitavano i territori che attualmente sono fra gli Stati
Uniti ed il Canada, gli irochesi. Anche questi erano popoli con
caratteristiche particolari e particolari furono le loro
vicissitudini che li hanno portati oltre che a lottare per la propria
libertà, a schierarsi a volte con i francesi e a volte con i soldati
britannici.
ENRICO
PINOTTI