31 gennaio 2022

Contro a cura di Miriam Ballerini

 


CONTRO

È da qualche giorno che sto riflettendo su quanto leggo sui soliti social. Niente di nuovo, sappiamo bene quanto la rete sia divenuta una cloaca del pensiero. Mi sono imbattuta nel profilo di una conoscente, una persona che conosco da almeno quarant'anni, perciò ritengo di saperne abbastanza sul suo carattere: è sempre stata piuttosto intransigente quando qualcosa riguarda gli altri, più morbida quando le faccende hanno a che fare con se stessa. Non particolarmente istruita, né interessata a nulla in genere. Attaccata ai beni materiali e lavoratrice. Questo è il quadro che posso farne. Così come posso asserire che non ha mai imbastito litigi in piazza, aggredendo chicchessia, anzi, credo proprio che rifugga dal confronto. Eppure, dietro lo schermo, ecco che si mostra come una persona molto diversa da quello che è in realtà.                                                                                                                             Noto che mette le solite frasi preconfezionate, come molti fanno, tese a dare contro, a dirigere il proprio rancore contro una categoria. Riporta teorie dei tanti pseudo scienziati laureatesi su facebook, nonostante si sia vaccinata, per dare contro al vaccino. Poi, altre frasi: prima contro i delinquenti in generale, quindi contro le forze dell'ordine. E qui comincio a chiedermi: ma da che parte sta?                                                                                                                        Approfondendo si nota l'assoluta mancanza di rispetto verso chiunque rivesta una qualche carica: polizia, chiesa, medici … Quindi mi viene da pensare: ma a cosa crede?                    Vedete, è proprio questo il punto: molta gente ha questa visione qualunquista, dove, a prescindere, ritengono che il loro compito sia dare contro all'autorità con le solite frasi populiste che molti politici, furbescamente, utilizzano, assecondando le aspettative della gente in modo demagogico; cioè cercando di ottenerne il favore con promesse che già sanno essere irrealizzabili.                                                                                                                                            Figlia degli anni 70, sono stata cresciuta nel rispetto dell'altro. Di chi lavora con le mani, chi con la testa, chi con la sua arte. Il rispetto dell'individuo con tutte le sue capacità e i suoi inciampi. Ho imparato poi, seguendo una mia visione della vita, a non giudicare, a cercare sempre di capire. A lottare per difendere ciò in cui credo. Mentre, per molti, esiste un quieto vivere che riguarda solo se stessi: a posto io a posto tutti. Non aiutano, non intervengono; qualora vedono, sono i famosi che sanno mostrare solo le loro terga.                                                In questo momento storico, da alcuni anni a questa parte, ci troviamo a dover leggere le frasi dei tuttologi, dove si ritiene che non sia importante studiare, perché chiunque sa tutto di tutto. E li vorrei proprio vedere, qualora dovessero essere sottoposti a un intervento chirurgico, dove andrebbero a chiedere...                                                                                                                        Dopo il covid, poi, c'è stato un coacervo di menzogne, di violenze, di tutti contro tutti e tutto.    Se dovessero domandarmi quale parola rappresenti il momento che stiamo vivendo, senza dubbio direi: contro.                                                                                                                                Non si tollera chi fa un lavoro che lo porti alla soglia della notorietà. Non si sopportano le forze dell'ordine. Gli scienziati: gli infermieri, i dottori, i giornalisti, gli scrittori, i politici... Non possiamo dire che abbiamo dei politici preparati e coerenti, certo che no; ma il solito modo di fare di tutta un'erba un fascio è assolutamente deludente per il nostro pensiero. Se molti sono soltanto dei furbi che hanno trovato il modo di guadagnare facendo poco o nulla, molti altri s'impegnano con serietà e responsabilità. Che ci piaccia o no, per vivere in una società civile, servono anche loro.                                                                                                                                Sono in un momento della mia vita dove, quotidianamente, resto delusa da ciò che vedo e leggo. Soprattutto quando mi accorgo che, gli indifferenti, circondano il mio quotidiano. Gonfi di tante frasi fatte e, sotto, il niente.                                                                                                        Ho tentato, poche volte, di suggerire l'informazione. Di provare a colmare le lacune, di saperne di più, perché le cose non stanno così. La risposta è sempre stata la stessa: non ne vogliono sapere. Si crogiolano nel fango della loro ignoranza e pretendono di perseguire la strada dello scontro a senso unico. Perché, ripeto, raramente vengono allo scoperto di fronte a chi può controbattere. Meglio la posizione comoda e invisibile dietro lo schermo.                                    Ma, cari signori, c'è un piccolo fatto che sconvolge i vostri piani: vi vediamo lo stesso.


© Miriam Ballerini

Jerome K. Jerome – Tre uomini in barca (per non parlar del cane) a cura di Marcello Sgarbi


 
Jerome K. JeromeTre uomini in barca (per non parlar del cane)

(Rizzoli Editore) Collana: Grandi classici BUR

Pagine: 224

ISBN: 9788817150361

Grande lezione di humour inglese e di finissima ironia, Tre uomini in barca (per non parlar del cane)” è un classico della letteratura per ragazzi ma è un toccasana anche per gli adulti. Perché è lo specchio divertito e divertente – a volte addirittura esilarante – delle nostre piccole, grandi contraddizioni al limite del paradosso. Jerome detto J. – (l’Io narrante, alter ego dello scrittore), Harris – ipocondriaco tanto quanto Jerome – e George, sono tre amici scapoli (single, si direbbe oggi) che con la compagnia del fido fox terrier Montmorency organizzano una gita in barca per distrarsi dallo stress e dalla malinconia, con esiti fra il comico e il grottesco. Ricca di digressioni, considerazioni nello stile della “legge di Murphy” e – qua e là – qualche interessante notazione storica, la narrazione cattura il lettore con furbizia e leggerezza. A quanto pare, come per altri autori – penso a Dickens o a Disney, ad esempio –anche per Jerome Klapka Jerome un’infanzia non troppo felice è stata riscattata dalla speranza e dall’ottimismo che traspaiono da queste pagine.

Mi piace il lavoro, mi affascina. Potrei stare seduto per ore ad osservarlo”.

Noi eravamo come i cavalieri dell’antica leggenda, che veleggiavano lungo un mistico lago verso l’ignoto regno del crepuscolo, verso la sconfinata terra del tramonto. Ma non arrivammo nella terra del tramonto, andammo a finire contro il barchino da pesca sul quale stavano pescando i tre vecchi”.

Le donne hanno lo strano istinto di aggrapparsi al pugnale che le trafigge”.

© Marcello Sgarbi

28 gennaio 2022

BEHOLD, SUN'S PEOPLE Mostra personale di Barry Yusufu a cura di Marco Salvario

 BEHOLD, SUN'S PEOPLE

Mostra personale di Barry Yusufu

a cura di Marco Salvario

Luce Gallery – Largo Montebello 40, Torino

13 gennaio - 12 febbraio 2022




Sono passato a piedi centinaia di volte in Largo Montebello, rotonda piazza alberata al centro del quartiere Vanchiglia e a pochi passi dalla Mole Antonelliana, ignorando che dal portone del numero 40 fosse possibile accedere agli spazi espositivi della Luce Gallery e che al numero 38 avesse abitato la “Maestrina dalla Penna Rossa”, che De Amicis ha reso immortale nel libro Cuore. Chissà se qualcuno ha ancora quel libro a casa o l'ha letto a scuola: fa parte della nostra storia che stiamo dimenticando, senza capire l'importanza di salvaguardare il ricordo del passato.

Del valore delle proprie radici è ben consapevole Barry Yusufu, venticinquenne artista nigeriano che ha già esposto in molti paesi di ogni continente; nella sua opera ci vuole mostrare la sua gente come realmente è, fiera, dignitosa, orgogliosa, di una bellezza diversa da quelle che l'arte occidentale ci ha educato a ricercare.

Sun's People, il Popolo del Sole; dove sole e popolo esigono la lettera maiuscola.

Le opere dell'artista saranno esposte per un mese alla Luce Gallery, galleria d'arte moderna dagli spazi ampi, illuminati da una luce intensa, riverberata dalla pareti bianche e dai pavimenti lucidi, nei quali le opere quasi si riflettono.




Nei ritratti, lo sguardo di Barry Yusufu si concentra suoi volti che, per la lucentezza metallica, per i giochi di luce e la precisione del tratto, acquisiscono profondità e tridimensionalità, mentre spesso gli sfondi, i vestiti, gli ambienti, restano volutamente trascurati, appena abbozzati.

Gli occhi delle persone che ci guardano dalle tele, sono grandi e potenti, le labbra carnose sono sempre serrate, senza sorriso, quasi in una silenziosa protesta. Colpisce il realismo nel colore bronzeo della pelle, reso dall'artista, notizia che ammetto di non avere verificato, aggiungendo polvere di caffè alla tinta.

Lo missione artistica di Barry Yusufu, che vuole celebrare la dignità del popolo che abita la sua terra e di documentarne la nobiltà, comunica emozioni e rispetto a ogni visitatore. Il pittore vuole fermare un momento storico in cui il presente scivola troppo velocemente nel passato, rifiutando immagini false e stereotipi ingiusti e preconcetti.


26 gennaio 2022

“MATERIA PRIMA” ANDREA TRISCIUZZI a cura di Maria Marchesi


 MATERIA PRIMA” ANDREA TRISCIUZZI a cura di Maria Marchesi

“Il vero materialista, più scende nella materia, più esalta la spiritualità.”

(Georges Braque)

Nel 2013, per Andrea Trisciuzzi la materia smette di costituire un mezzo, per diventare un caposaldo esistenziale: perdendo l'uso della vista, affidarsi alla concretezza diventa, infatti, una necessità.

Nel momento in cui molte certezze si frangono, inoltre, interviene un’ennesima frammentazione: venendo meno importanti riferimenti, che lo avevano guidato in passato, la sua personalità, motivatamente destabilizzata, si frantuma.

Così, l’autore romano affronta il buio abisso dalla paura e dell’incertezza…

Gli occhi, che lo avevano guidato in gran parte delle scelte, e personali e artistiche, non contribuiscono più ad equilibrare i suoi passi; dopo il comprensibile smarrimento, però, l’artista affina, in maniera spontanea, i rimanenti sensi e, in particolar modo, il tatto.

Le palme ricercano, si feriscono… le dita centellinano, percepiscono la temperatura, la tarmatura… Andrea Trisciuzzi scende addentro la verità della materia, millesimandone l’essenza.

Quella cruda pratica, invero, accende in lui una realtà inattesa: il gesto esalta un intuitivo e inedito immaginario fantastico.

Lo scultore romano inizia a trasformarsi in un nuovo uomo, per cui il suolo consueto ha cambiato volto.

Egli rivisita ogni lineamento di quella precedente vita, ormai, adombrata, lumeggiandone fattezze inusuali.

In quell’anno, realizza “MATERIA PRIMA” : in un cilestrino e mutevole letto, appare o, al contrario, fa ritorno, Andrea Trisciuzzi, iniziando a riappropriarsi del proprio rinato io. L’ “azzurrità” è lo spazio assoluto e cangiante, in cui egli si libera quale vivo e prezioso fermento; come nottivaga lava marina, egli ribolle, nella pienezza di difformi, sottili e intensi interstizi dorati. Un viluppo di molteplici tessere lo rappresenta, mentre si rigenera come unicità umana oppure come unicità universale.



L’artista impone, nella composizione, la forza intrinseca di un diadico e ossimorico dinamismo, sicché l’osservatore viene fascinato nell’assurdo, sospeso tra apparizione e dissolvenza.

È esattamente in quell’infinitesimale e immenso punto di quella fonte battesimale creativa che Andrea Trisciuzzi prende contezza di sé, per esperirsi con una privilegiata veste.

L’opera sarà presente nel contesto della collettiva “FRAMMENTI DELL’IO” V, a cura di Valeriano Venneri e Maria Marchese, che verrà inaugurata il 27 Gennaio, presso QUO IMMOBILIARIA, nella città di Alicante, in Spagna.

25 gennaio 2022

RIFORMA FISCALE E RILANCIO DELL’ECONOMIA di Antonio Laurenzano

 


RIFORMA FISCALE E RILANCIO DELL’ECONOMIA

di Antonio Laurenzano *

Strada in salita per la riforma fiscale. La legge delega approvata dal Governo lo scorso 5 ottobre e ora all’esame della commissione Finanze alla Camera è finita sotto il tiro incrociato dei partiti con la presentazione di 467 emendamenti. Proposte correttive in forte odore di “populismo fiscale” che rischiano di mettere a dura prova la tenuta politica della maggioranza in giorni di grande fibrillazione per le incertezze che accompagnano il cambio della guardia al Quirinale.

Nel corso di quasi cinquant’anni dalla sua introduzione (1974), il sistema fiscale italiano è stato oggetto di numerosi interventi modificativi che, in assenza di una riforma organica, ne hanno causato una generale frammentazione normativa non sempre di facile interpretazione, rendendo conflittuale il rapporto fra contribuenti e fisco. L’ordinamento tributario appare sempre più come una giungla inestricabile in cui è difficile avventurarsi, irta di norme e provvedimenti a volte contraddittori generati da una ipertrofia legislativa. Il nostro Paese ha il non invidiabile record della onerosità degli adempimenti fiscali con un basso rapporto costo-beneficio in termini di contrasto all’evasione. Un problema che ha raggiunto livelli patologici con ricadute sull’economia del Paese e che va affrontato con una normativa chiara e semplice, senza fastidiosi orpelli. Più complicato è un sistema fiscale, più facile è nascondere reddito nelle sue pieghe oscure e sottrarsi a ogni pagamento. Da tempo si parla di riforma fiscale, di semplificazione, di taglio netto di balzelli e inutili adempimenti per puntare su un’equa distribuzione del carico impositivo con meno burocrazia e più qualità. Azzerare cioè antiche distorsioni nel segno di un moderno ordinamento tributario. Un salto di qualità, accantonando strategie elettoralistiche per privilegiare nell’azione di governo l’autentico senso dello Stato.

Muove da queste criticità la legge delega governativa contenente in dieci articoli i principi e i criteri direttivi generali ai quali il fisco del futuro deve essere orientato: la riduzione del carico fiscale per il rilancio dell’economia, la razionalizzazione e semplificazione del sistema tributario, il mantenimento della progressività impositiva, la riduzione dei fenomeni di evasione ed elusione fiscale.

Una proposta di rinnovamento significativa che prevede la revisione del sistema di imposizione sul reddito delle persone fisiche secondo un modello di “tassazione duale” con l’applicazione della medesima aliquota proporzionale di prelievo sui redditi derivanti dall’impiego del capitale anche nelle attività d’impresa e di lavoro autonomo svolte da soggetti diversi da quelli a cui si applica l’imposta sul reddito delle società (Ires). Per effetto di tale modifica, la tassazione progressiva resterebbe applicabile ai redditi da lavoro dipendente (taglio al cuneo fiscale) e da pensione e a quelli relativi al contributo lavorativo dell’imprenditore individuale e del lavoratore autonomo. In particolare, la revisione dell’Irpef deve garantire la graduale riduzione delle aliquote medie effettive al fine di incentivare l’attività imprenditoriale e l’offerta di lavoro, il riordino delle deduzioni e delle detrazioni e l’armonizzazione dei regimi di tassazione del risparmio. Un primo tassello della riforma è stato inserito nella Legge di Bilancio 2022 con la rimodulazione delle aliquote e degli scaglioni di reddito da cinque a quattro con contestuale modifica delle detrazioni per lavoro dipendente/autonomo e pensioni. Resta ancora da sciogliere l’annoso nodo delle numerose imposte sostitutive che distorcono la progressività della tassazione dei redditi delle persone fisiche e che, in considerazione della maxi estensione dei redditi degli italiani fuori dal sistema Irpef, non favoriscono un’equa ridistribuzione del carico fiscale.

Altri punti importanti della riforma in cantiere sono gli interventi sull’imposta sul reddito delle società, (armonizzazione dei valori civili e fiscali, semplificazione delle variazioni in aumento/diminuzione del conto economico, riduzione delle differenze tra i vari sistemi di tassazione delle imprese), sull’Iva (razionalizzazione del numero e dei livelli delle aliquote), nonché sull’ Irap con la sua graduale soppressione (per ditte individuali e autonomi dal 2022) e, dulcis in fundo, sul catasto con il monitoraggio del territorio (guerra alle case fantasma) e la contestata revisione delle rendite catastali (invarianza della base imponibile dei tributi locali). Nuove imposte patrimoniali in arrivo?

La riforma fiscale, con quella della pubblica amministrazione, della giustizia e della concorrenza, è destinata ad accompagnare l’attuazione del PNRR, concorrendo a realizzare gli obiettivi di equità sociale e miglioramento della competitività del sistema produttivo. Una risposta alle debolezze strutturali del Paese. Con l’esame in commissione Finanze alla Camera, per la legge delega è iniziata la guerra contro il tempo. Una volta approvata dal Parlamento, il Governo avrà 18 mesi di tempo per l’emanazione dei decreti attuativi. Ma fra 18 mesi scade anche la legislatura (salvo sorprese quirinalizie) per cui ogni settimana in più di discussione parlamentare della legge si complica il futuro della riforma. Chiara dunque l’esigenza di procedere con la massima velocità per non rischiare un clamoroso flop. Ma il fisco è terreno politicamente esplosivo e divisivo, un terreno di proclami, slogan e bandierine. Il teatrino delle tasse nel quale ogni “commediante” vuole recitare la sua parte. E speriamo che non recitino il requiem per una riforma tanto attesa.

*Tributarista

LA NASCITA DEGLI STATI UNITI D’AMERICA E LE CONSEGUENZE SULLA POPOLAZIONE INDIGENA. INTRODUZIONE SULLE CARATTERISTICHE DELLE DIVERSE ETNIE INDIANE a cura di Enrico Pinotti


LA NASCITA DEGLI STATI UNITI D’AMERICA E LE CONSEGUENZE SULLA POPOLAZIONE INDIGENA.

INTRODUZIONE SULLE CARATTERISTICHE DELLE DIVERSE ETNIE INDIANE

Siamo fra il 15° e 16° secolo e l’Europa è forse all’apice della sua vecchiaia. Per gli stati e gli imperi centrali l’unica preoccupazione è conservare e tramandare il potere e se possibile allargare i propri confini; niente di nuovo, insomma. Questo vale anche per Spagna, Portogallo ed Inghilterra, oltre che per la Francia, la differenza è che questi ultimi hanno l’Atlantico di fronte. È vero che i commerci da almeno duecento anni si sono allargati verso il medio oriente e le indie, ma fino ad allora gli stati e i regni non ne avevano goduto in prima persona, le conquiste territoriali erano state esigue. La guerra dei Cent’anni era finita senz’altro a favore dei francesi, forse anche per questo il Regno Unito cercava di espandersi altrove.

Numerosi altre guerre non erano state solo scaramucce, quelle dei Sette e dei Trent’anni dovevano ancora arrivare ma, nel frattempo successero fatti importanti e sconvolgenti: la scoperta di nuovi mondi al di là dell’Atlantico, Cristoforo Colombo aprì la via e da allora il Mediterraneo non fu più al centro dell’attenzione come lo era stato fino a quel momento, le lotte per il predominio si spostarono nei nuovi mondi. Subito Spagna e Portogallo si spartirono le aree di intervento, ad ovest la prima, ad est il secondo. Va ricordato che la Castiglia dal 1615 era sotto le dipendenze di un ramo degli Asburgo. Appena dopo si mossero i francesi e partirono le navi inglesi, le battaglie continuarono là fino alla storia recente. I francesi e gli spagnoli a poco a poco lasciarono campo libero agli inglesi nei territori che poi diventeranno gli Stati Uniti. La Francia si ritirò per un po’ di tempo a nord, la Spagna al centro e al sud.

A sua volta, a seguito della guerra di Indipendenza degli stati dell’Unione, l’esercito britannico tornò in Europa e i 13 stati confederati iniziarono la colonizzazione da est verso ovest. È questa che viene chiamata l’epopea americana, la conquista del West. Carovane di pionieri provenienti dal nord Europa, scortati dall’esercito andarono alla conquista di quelle che chiamavano “terre di nessuno”. Ma quella terre erano abitate, lo era il Kansas come lo era il Colorado, erano abitate dai nativi americani, dagli indiani d’America. L’esercito dell’Unione, da quando essa nel 1783 proclamò la propria indipendenza, ebbe soprattutto il compito -a parte i quattro anni in cui infuriò la guerra civile- di piantare la bandiera a stelle e strisce sui territori che arrivavano fino all’Oceano Pacifico e fu appunto l’epopea poi celebrata in tanti libri e in tanti film, i nativi dovevano, ad andar bene, essere confinati nelle riserve. Certamente gli indiani si ribellarono contrattaccando, (si veda alle voci Little Bighorn e generale Custer) certamente molte delle loro tribù combattevano fra loro per avere terreni su cui vivere e cacciare, era lotta per la sopravvivenza. In tanti hanno sempre obbiettato che anche quella dei coloni era lotta per la sopravvivenza, sta di fatto che l’esercito confederale andava alla conquista eseguendo gli ordini del governo di Washington e gli ordini si concretizzavano il più delle volte con soprusi, ingiustizie, massacri.

Tutta la popolazione indiana venne sopraffatta in nome della conquista e l’epopea venne portata a compimento, possiamo stabilire una data: alla fine del 1890 presso il torrente Wounded Knee nel Sud Dakota, il Settimo reggimento cavalleria delle giacche blu, comandato dal colonnello James Forsyth, con due mitragliatrici spara su un accampamento di donne e bambini sulle rive e li uccide tutti, sono circa 300, i guerrieri erano altrove. Per tale campagna militare, 20 soldati vennero insigniti con la maggior onorificenza militare, il presidente dell’Unione era allora Benjamin Harrison.

I metodi militari non furono i soli impiegati durante l’occupazione, un altro, non dimentichiamolo, fu l’alcool, un altro fu il favorire con ogni mezzo la partenza di coloni verso ovest per insediarvisi o per andare alla ricerca dell’oro. Le armi da fuoco ebbero il sopravvento sulle frecce scagliate dagli indiani, cosa importava se i nativi vivevano su quelle terre da secoli, essi non avevano carte bollate che dimostrassero le loro proprietà, cosa importava se tanti saperi e tante culture andavano a morire con loro, queste avrebbero trovato spazio nei musei ed i superstiti avrebbero trovato spazio nei circhi itineranti in giro anche per l’Europa.

E dire che nella Costituzione di quella che viene definita la prima democrazia del mondo, i 13 stati della Confederazione fra l’altro scrivevano che: “…tutti gli uomini sono creati uguali e sono dotati dal loro Creatore di certi diritti inalienabili e, tra questi ci sono il diritto alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità…”. Le cose sono andate poi diversamente.

Ognuno può documentarsi andando sui libri di storia, a noi interessavano queste poche considerazioni perché sono il pretesto per parlare degli indiani d’America, dei loro diversi ceppi, dei loro diversi usi, delle loro culture.

Iniziamo con gli indiani Hopi. Iniziamo con loro perché, fra tutte le popolazioni insediate nel nord America, senz’altro essi sono stati i più pacifici e prevalentemente stanziali nei territori dell’attuale Arizona settentrionale. Di origine shoshone, parlavano una lingua di ceppo azteco. Gli Hopi –o Moki o Moqui- provenivano, come gran parte degli Shoshones dal Gran Basin, il grande bacino che non ha sbocchi al mare formato da una serie di catene montuose affiancate da depressioni che caratterizzano lo stato del Nevada odierno. Da lì migrarono spostandosi verso sud-est alla ricerca di terreni più fruttiferi, in quanto quelli che il Grande Bacino poteva loro offrire erano in gran parte inadatti alle colture agricole. Questo popolo infatti ha sviluppato prima dell’intervento di conquista da parte dell’Unione e a differenza di tutti gli altri nativi, una sussistenza basata principalmente sulla coltivazione del mais, dei tuberi e di altri prodotti autoctoni. Sono anche artigiani, conoscono e sviluppano la tessitura, lavorano la ceramica e l’argilla in maniera originale, a noi sono giunti monili, collane, statuette. Le loro abitazioni sono costruite con mattoni di adobe (argilla o fango mescolati con paglia ed essiccati al sole), i loro non sono accampamenti ma villaggi -pare che fossero sette in tutto- che dagli Aztechi ereditano la fisionomia, con un largo spazio comune al centro.

È forse la prima comunità indiana, proprio perché stanziale, a venire a contatto con gli europei ed in un primo tempo i rapporti furono cordiali e accoglienti, non così in seguito, quando gli Hopi capirono le vere intenzioni degli stranieri si fecero ostili ma ormai era troppo tardi. Questo popolo aveva conservato relativamente intatto il patrimonio culturale e l’organizzazione sociale in clan parentali con impianto matriarcale e la sua religione animistica. La ricca eredità di miti e leggende che risalgono a centinaia di anni fa, ne faceva un popolo rispettoso delle altre genti e di madre terra. È una storia che ci parla di divinità che risiedono al centro della terra, la quale è cava, di universi distrutti e di mondi che ancora devono arrivare.

In diverse incisioni e in petroglifi rinvenuti, appaiono uomini con le antenne: storici e studiosi gli hanno dato il nome di ‘uomini-formica’ e secondo loro dovevano essere quelli che erano a contatto con gli dei, salendo in determinate occasioni sulla terra lasciando segnali amichevoli e di ammonimento all’umanità. Secondo mitologie, all’inizio del tempo, il Creatore Taiowa plasmò Soutunknang e gli diede il compito di creare nove universi; in una concezione ciclica del tempo simile a quella degli aztechi questi mondi si sarebbero succeduti in sequenza.

Sempre secondo alcuni storici ed in particolare Frank Waters autore del libro “The Coming Sixht World of Consciousness” (1975), gli “uomini-formica” potrebbero essere paragonati agli Annunaki dei sumeri, ovvero i tramiti fra gli dei e gli abitanti della terra, con il compito della salvaguardia della specie. Seguendo la teoria hopi dei mondi che si susseguono, il primo è stato distrutto da un immane incendio globale, una specie di vulcanismo oppure diremmo noi, l’impatto con un asteroide; il secondo dal freddo, probabilmente una glaciazione ed il terzo, caratterizzato da una civiltà altamente avanzata tanto da concepire scudi volanti nel cielo, (petroglifi rinvenuti nei luoghi del sud-ovest degli Stati Uniti rappresentano esseri a bordo di una nave del cielo senza ali a forma di cupola): questo terzo mondo sarebbe stato distrutto da un’alluvione che ha disperso gli esseri umani in diversi luoghi del pianeta.

Gli hopi di cui parliamo noi, gli indiani del XIX secolo, pensavano che l’umanità contemporanea si trovi a vivere nel quarto mondo il quale, come i precedenti, andrà distrutto a causa della malvagità degli uomini.

Oltre ai paralleli tra la cultura hopi e quella sumera, Waters intravede una connessione anche fra il popolo indiano e quello dei Maya, simili infatti con quest’ultimo sarebbero i riferimenti alla creazione e alla distruzione del mondo ed allora è portato a formulare un quesito: non è che Hopi, Maya e Sumeri siano ancestralmente legati?

Di fronte a questi interrogativi ci fermiamo. Vorremmo continuare prossimamente parlando di altre genti indiane del nord-America, nello specifico quelle che abitavano i territori che attualmente sono fra gli Stati Uniti ed il Canada, gli irochesi. Anche questi erano popoli con caratteristiche particolari e particolari furono le loro vicissitudini che li hanno portati oltre che a lottare per la propria libertà, a schierarsi a volte con i francesi e a volte con i soldati britannici.


ENRICO PINOTTI

24 gennaio 2022

Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli – Macaronì a cura di Marcello Sgarbi

 


Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli – Macaronì (Mondadori)

Collana: Giallo Mondadori

Pagine: 344

Formato: Tascabile

ISBN: 9788804727521

Entrambi emiliani, Guccini e Macchiavelli hanno intrapreso percorsi individuali nella narrativa. Del primo - dopo l’esordio di Croniche epafàniche - si può ricordare Dizionario delle cose perdute                                                                                                                                    Del secondo – apprezzato giallista – è nota soprattutto la serie che ha per protagonista il sergente Sarti. A un certo punto i due hanno deciso di unire i loro talenti, che hanno generato diversi volumi scritti “a quattro mani”. Macaronì, romanzo di santi e delinquenti (come recita il sottotitolo) è uno di quelli.                                                                                                                         In una trama che intreccia due epoche storiche, il maresciallo Benedetto Santovito spedito in un borgo dell’Appennino tosco-emiliano perché inviso dal regime fascista - indagando su una catena di omicidi scopre che sono collegati a fatti avvenuti nell’Ottocento. Ben congegnato nello sviluppo delle vicende e condotto con mano felice nella definizione dei personaggi, è anche risolto nelle descrizioni d’ambiente, dettagliate e suggestive.

I raggi del sole filtrano attraverso la vegetazione e danno alla vallata una luce irreale che dura pochi secondi; una luce in equilibrio fra la penombra della notte che muore e il chiarore dell’alba che ancora non è nata. Una frazione di tempo durante il quale spunta il primo spicchio di sole, abbastanza pallido da essere sopportato dallo sguardo. Un istante dopo è già accecante e la linea d’ombra, che si era fermata in bilico sulla cima del monte, comincia a scorrere veloce verso valle. Quando arriva all’acqua, il giorno è già nato.”

(c) Marcello Sgarbi

18 gennaio 2022

TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI – RAF TOZZI LIVE TEATRI a cura di Miriam Ballerini


TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI – RAF TOZZI LIVE TEATRI

17 gennaio 2022

Ieri sera, dopo cinque rinvii avvenuti in due anni per il perdurare della pandemia, finalmente si è potuto tornare a teatro.                                                                                                                                    Il mio biglietto, acquistato alla fine del 2019, reca la data: 9 aprile 2020.                              Potrebbe essere un biglietto qualunque, in realtà è la prova di come il covid abbia cambiato la nostra vita. Ed è anche la prova della sofferenza lavorativa di tante categorie.                               Noi artisti, io sono una scrittrice, ne abbiamo sofferto particolarmente, dal momento che buona parte del nostro lavoro richiede la socialità.                                                                                            Ieri sera il teatro era pieno e, nonostante ciò, la sicurezza non è mai mancata: dall'ingresso, all'attenzione delle maschere che hanno sempre vigilato su chi, preso dalla foga del concerto, si lasciava un poco andare! E ieri abbiamo anche compreso che arma sia il green pass, di come essersi vaccinati e aver fatto il proprio dovere per la comunità, ci permetta di tornare a fare cose che, nel 2020, pensavamo perdute per sempre.                                                                                  Tozzi e Raf, sempreverdi, hanno come sempre sollevato il teatro presentandoci i loro testi.      Una bella sorpresa quella del figlio di Raf, Samuele, che è intervenuto per presentare due suoi testi, accompagnato da due giovani e talentuosi ballerini. È come se si fosse aperta una porta verso la nuova generazione.                                                                                                          Emozionati i due cantanti, perché anche per loro tornare dal vivo, accolti dal loro pubblico dopo ben due anni, è qualcosa che hanno sentito e che hanno condiviso con noi.                                        Presentando il testo “Come una danza”, cantato in coppia, Raf ha tenuto a precisare che è una canzone scritta dopo aver dovuto assistere all'odio dilagante di cui, quotidianamente siamo tutti testimoni. Anzi, spero che, se qualcuno di voi che sta leggendo questo articolo, in realtà sia un artefice di ciò, coi suoi comportamenti sui social o nella società, comprenda quando tutto ciò è deleterio. Siamo una comunità, un gruppo che, unito, può creare cose meravigliose. Ognuno di noi ne ha la possibilità.

Come una danza è una sorta di racconto onirico suscitato da un desiderio di speranza. L’idea nasce dalla convinzione che soltanto l’amore, e di conseguenza la volontà di conoscere gli altri senza paure e pregiudizi, potrà salvare il mondo”.


© Miriam Ballerini


17 gennaio 2022

André Gide – L’immoralista – a cura di Marcello Sgarbi


 
André GideL’immoralista – (Guaraldi Editore)

Pagine:160 ISBN: 8880490095

Grande figura della letteratura francese nonché Premio Nobel per la letteratura, André Gide è stato un personaggio dalla natura controversa. Combattuto tra l’ascetismo e il piacere – e in questo simile al percorso di vita di Giovanni Testori – nel 1893 intraprende un viaggio tra la Tunisia, l’Algeria e l’Italia in compagnia del giovane amico pittore Paul Laurens, alla ricerca di una liberazione morale e sessuale. In questo romanzo, pubblicato nel 1902, non è difficile scorgere l’eco di questa esperienza nel racconto di Michel, un Io narrante sicuramente autobiografico. Il protagonista confida a tre amici l’inquietudine che deriva dal conflitto scatenato tra la consapevolezza del duplice male che lo assilla e l’incapacità di reagire. Infatti, fra l’Ottocento e il Novecento, epoca in cui è ambientata la narrazione, Michel sposa una donna che non ama veramente. Appena partito con lei per il viaggio di nozze in Africa riceverà la diagnosi di tubercolosi e sarà costretto a intraprendere un altro itinerario: quello dentro se stesso, per capire la sua vera natura – cioè la sua tendenza omosessuale - e che non ha mai davvero vissuto.

Non si vuole la felicità già fatta, ma su misura”.

È a se stesso che ognuno vorrebbe somigliare meno”.

La povertà dell’uomo è la sua schiavitù; per mangiare, accetta di fare un lavoro senza ricavarne piacere”.

Ogni lavoro che non è fatto con gioia è detestabile”.


© Marcello Sgarbi


15 gennaio 2022

Stella del mare di Umberto Belardinelli a cura di Vincenzo Capodiferro

 


È USCITA LA “STELLA DEL MARE” Seconda silloge per Santa Faustina, mistica raccolta del poeta Umberto Belardinelli

È uscita alle stampe “Stella del mare”, una raccolta poetica di Umberto Belardinelli, edita da Youcanprint, per conto di Scriptores. Umberto Belardinelli nasce a Messina nel 1956 e nello stesso anno la sua famiglia si trasferisce a Varese che diviene la sua città adottiva. Fin da ragazzo coltiva dentro di sé la passione per la poesia ed in virtù di questa, scrive molti brani che custodisce gelosamente. «In questa seconda silloge dedicata a Santa Faustina Kowalska, segretaria della Misericordia, voglio riprendere dal diario della mistica le sue visioni e rivelazioni, cercando ancora una volta di comprendere il dono della profezia e di conoscenza delle anime» (Dalla Prefazione di Umberto).

Andai verso il sentiero delle nebbie,

la moltitudine di anime pregava

immersa in sofferenze e desideri,

bruciavano nel fuoco senza toccarmi.

Rimase accanto l’angelo del bene

e mi svelò il tormento di quelle voci

immerse nel dolore e nella pena

che lì piangendo invocavano il Signore.

Ecco il Purgatorio! Questa seconda raccolta va rapportata alla prima silloge “La luce duplice del bene” (ed. Tracce per la meta - Borgoricco 2019). Anche questa è dedicata a Santa Faustina. Questa santa ha avuto un ruolo importante nella vita del poeta. Lo ha accompagnato nei momenti difficili della sua esistenza, quando intaccato dal morbo, si è affidato alle braccia della Misericordia illimitata del Creatore. Nella prima raccolta Umberto ci descrive l’inferno, riprendendo le riflessioni dei diari di santa Faustina. In questa raccolta ci descrive il purgatorio e il paradiso. Inutile ravvisare l’itinerario dantesco che il Nostro segue.

In questa raccolta il lettore, seguendo un topos classico, ma nello stesso tempo attualissimo di attraversamento dell’al di là, potrà seguire il cammino ascensionale dell’anima, dalle nebbie dorate del Purgatorio, ove troneggia Maria, dispensatrice delle grazie, la “Stella Maris”, come viene nomata da quelle parti, fino ai cieli dei cieli. Il bello è che Umberto descrive con dovizia di particolari ed esegesi i cori angelici, fino a giungere al sommo cielo.

E’ un gioiello di poesia religiosa che riflette contenuti umanistici di alto livello e soprattutto riflette l’acuta sensibilità estetica del poeta, che come “passero solitario” guarda e pensa dall’alto del campanile le vicende umane. Ogni poeta, ogni scienziato, è così, un osservatore O., come lo chiamava Einstein rispetto a cui ruota il cosmo.

La raccolta sarà presentata sabato 15 gennaio alle ore 16.00, presso la sala conferenze della parrocchia S. Massimiliano Kolbe di Varese.


Vincenzo Capodiferro

13 gennaio 2022

La brace dei ricordi di Giovanna Fracassi: il booktrailer diretto da Cristina Del Torchio a cura di Alessia Mocci

 


La brace dei ricordi di Giovanna Fracassi: il booktrailer diretto da Cristina Del Torchio


[…] Aspetterò/ per ascoltare/ il respiro della notte/ fra i crepitii delle pozze di ghiaccio/ quando l’erba sarà di candida rugiada/ ed i miei pensieri saranno la polvere dorata/ che incipria il bosco spoglio.// Allora il buio non farà più paura/ e il dolore non sarà più così aspro/ e i ricordi avranno il fruscio/ delle onde sui ciottoli/ e la carezza della terra argentea/ non sarà più un cuneo perlaceo che trafigge l’anima// […]” – dalla lirica “Fanali”                 Il booktrailer della raccolta poetica “La brace dei ricordi” di Giovanna Fracassi, edito da Rupe Mutevole Edizioni nel 2021, è stato diretto dall’editrice Cristina Del Torchio.     Fra tutte le poesie presenti nel libro è stata selezionata “Fiamma” per presentare nel booktrailer “La brace dei ricordi”. Con lo scorrere delle immagini di una danza di una ballerina classica in un’antica casa abbandonata lo spettatore potrà leggere i versi della poesia.                                                                                                                    L’accompagnamento musicale proviene dalla produzione di Mark Drusco, pseudonimo di Mauro Salvi, conosciuto come compositore di musiche per film dal 1995 e fondatore della corrente musicale “Harmony Haiku”. Ed è con la musica di Drusco e la lenta ed elegante danza che si schiudono i versi: “Note ritmano/ il mio respiro/ s’adagiano delicate/ sulla pelle dell’anima/ come carezze d’emozioni/ cullano i ricordi/ […]”.                 Sino all’arrivo di un’altra immagine che cambia l’armonia raffinata del corpo della donna presentando degli scogli e la forza del mare ed il movimento dell’acqua sugli scogli così come i versi della poesia: “[…] e poi all’improvviso/ crescono come onde/ […]”.                         Ed è con il seguito “[…] incendiano il cuore […]” che incontriamo le fiamme che ardono, inizialmente non si comprende la provenienza della fiamma, ed appare in dissolvenza la ballerina in tutù bianco della scena iniziale.                                                                                     […] ed è fuoco selvaggio/ che tutto brucia/ ed io/ sono fiamma nella notte”                             La dissolvenza incrociata continua sino a mostrare il tronco di un albero da cui prende avvio la fiamma, quella antica che l’essere umano ha conosciuto tramite il cielo, il fulmine, quell’ispirazione che arde incessantemente e da cui nasce la poetica del tutto. Ed è dunque legno, fiamma, acqua e danza in movimento circolare e raffinato a portare lo spettatore alla riflessione sulla brace di un fuoco sempre vivo: quello del ricordo.

Seguo/ con dita di nostalgia/ il ricamo/ che fece del tuo tempo/ il ricordo più caro.// Vivido/ ancor presente/ neppur scalfito/ dalla ruggine degli anni/ il tuo star quieta e composta/ china e sorridente/ su quella stoffa/ che s’infiorava/ magia/ ai miei occhi di bimba/ mentre lieta narravi/ la fiaba prediletta.// […]” – dalla lirica “Il ricamo” dedicata alla madre

Dopo aver visto in anteprima il booktrailer Giovanna Fracassi ha dichiarato: “Ho molto gradito la scelta della mia poesia “Fiamma” per creare questo bellissimo booktrailer. È infatti una delle liriche più rappresentative di questa mia silloge “La brace dei ricordi”, e che, non a caso, inizialmente volevo intitolare “La fiamma dei ricordi”. L’accostamento dei tre elementi: la danza, le onde del mare, le fiamme di un ceppo, è perfetto.                                         La danza di una ballerina classica, con le sue movenze armoniose e leggiadre, è una bella immagine, metafora di come ritengo siano i miei versi che limo nell’uso delle parole e nella loro musicalità al fine di renderne la lettura scorrevole, piacevole oltre che significativa.        Come nella poesia “Fiamma”, vi sono poi le onde del mare e le fiamme del ceppo. Anche qui nulla è casuale. Infatti le note musicali, che accompagnano lo scorrere delle immagini, nella loro essenzialità sono poche e ripetute in una composizione che, nella sua semplicità risulta fluida e orecchiabile. Esse fanno da sottofondo ai ricordi che, per me, sono dirompenti come le onde marine che s’infrangono sugli scogli, in una giornata di sole, perché non vi è nessuna angoscia o rammarico o malinconia nel loro affacciarsi alla mia mente. Infine vediamo le fiamme guizzanti di un ceppo. Immagine che ben rappresenta un’atmosfera di calde riflessioni e il ripiegamento vivificante, e per me, spesso liberatorio, del lasciarsi andare al flusso dei miei ricordi più intimi e cari. Quei ricordi che mi rammentano che tutto brucia, tutto finisce e si rigenera in nuove energie ed io pure quindi sarò fiamma nella notte.     Ritengo pertanto che gli autori di questo booktrailer, Cristina Del Torchio e Mark Drusco, a cui vanno i miei più sentiti ringraziamenti, siano riusciti davvero a rappresentare al meglio questa mia poesia e a creare un “invito” suggestivo e significativo alla lettura della mia silloge.”

L’autrice, Giovanna Fracassi, è laureata in Filosofia presso la facoltà di Lettere e Filosofia di Padova, specializzata in Pedagogia e nel metodo di scrittura Braille, ha conseguito un Master in Counseling ed uno in Cinema, teatro, spettacolo. Ha frequentato svariati corsi per approfondire i suoi interessi quali la poesia, la narrazione, l’esplorazione del sé, l’etica applicata alla vita quotidiana ed alla difesa della donna. Docente di Lettere ha insegnato per molti anni in tutti gli ordini scolastici.                                                                                                     Ha esordito con la casa editrice Rupe Mutevole nel 2012 con la raccolta poetica “Arabesques”, segue nel 2013 “Opalescenze”, nel 2014 “La cenere del tempo”, nel 2015 “Emma alle porte della solitudine”, nel 2017 “Nella clessidra del cuore”, nel 2018 “L’albero delle filastrocche”, la sua prima raccolta di filastrocche per i più piccini. Nel 2016 ha pubblicato con Kimerik la raccolta “In esilio da me”, nel 2018 con Kubera Edizioni “Il respiro del tempo” e nel 2021 con Rupe Mutevole una raccolta di filastrocche e fiabe dal titolo “Nel magico mondo di nonna Amelia”.

L’autrice è disponibile per eventuali richieste di interviste riguardo la sua produzione letteraria, se interessati scrivere all’indirizzo e-mail giovanna.fracassi@libero.it (cellulare: 3405559794). Per acquistare una copia del libro ci si può recare in qualsiasi librerie fisica oppure online; per una copia del libro con dedica personalizzata è necessario scrivere direttamente all’autrice in e-mail oppure tramite WhatsApp.


Guarda il Booktrailer su Youtube:

https://www.youtube.com/watch?v=fhuXmasEMrI


Written by Alessia Mocci



Info

Acquista su Rupe Mutevole “La brace dei ricordi”

https://www.rupemutevole.com/shop-online?productidn=1148953

Acquista su IBS “La brace dei ricordi”

https://www.ibs.it/brace-dei-ricordi-nuova-ediz-libro-giovanna-fracassi/e/9788865916650


Fonte

https://oubliettemagazine.com/2021/12/16/la-brace-dei-ricordi-di-giovanna-fracassi-il-booktrailer-diretto-da-cristina-del-torchio/


"favelas" di Arturo Bosetti a cura di Maria Marchese

 




FAVELAS”

ARTURO BOSETTI

a cura di Maria Marchese

(tecnica mista su masonite , 59x48, 2012)

“Lieve è il dolore che parla.

Il grande dolore è muto. “

Seneca



È una realtà muta, quella delle favelas brasiliane: confusa da interminabili distese sabbiose e baciata dal fragore di acque incantevoli, la miseria degli affollati agglomerati viene tacitata.    Arturo Bosetti ama, oggi, quei mesti e angusti silenzi, addentro un pensiero artistico, in cui raddolcisce la mera realtà, disgregando la forma e intridendo, poi, questa rivisitata “asprezza” esperienziale, di un mirabile uso del pigmento cromatico.                                                     L’autore si allontana dai contorni della tela, polverizzando e liquefacendo la verità dello spazio terraqueo: è un procedere fumoso e intenso, dapprima, che muta in lacrimosa sensatezza, via via che la composizione presagisce l’intervento umano.                                 L’autore friulano sembra esprimere il pianto della natura, allorché la mano dell’uomo avvince quel diastema, rendendolo abitativo; mescia, poi, quella dolorosa pioggia, con purpurei versi, poetando l’amaro sangue del popolo.                                                                                                         Il Maestro allora interviene, inasprendo il confuso stato cromatico naturale, attraverso l’imposizione di segni decisi e forti, intensificati da nere trame: le favelas, così, appaiono al ciglio, scandite da graffianti dinamismi.                                                                                     L’incontro tra questi ultimi dà vita ad innumerevoli e oscuri “favi” , interstizi, eloquenti di una povertà urticante e febbricitante.

Io appartengo a queste case,

a queste vie,

a questo amore grondante melanconia”

(Mario de Andrade)

Arturo Bosetti sembra altresì ritrarre la breve affermazione del poeta postmoderno brasiliano Mario De Andrade: in essi pure, la terra natia rappresenta croce e delizia.                             Questa composizione farà parte delle opere presenti alla collettiva spagnola “FRAMMENTI DELL’IO” , la cui parte organizzativa e curatoriale è stata seguita dal professor Valeriano Venneri, storico dell’arte, e da Maria Marchese, poetessa e curatrice artistica.                 L’evento verrà inaugurato il 27 di Gennaio, presso “QUO IMMOBILIARIA” , nella città di Alicante.

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