LA SOLITUDINE DELL’ANZIANO di Antonio Laurenzano


LA SOLITUDINE DELL’ANZIANO

di Antonio Laurenzano

E’ scattato il primo esodo estivo, milioni di italiani in viaggio verso le località turistiche. Si rinnova l’annuale rito delle vacanze con la fuga verso mare e monti, con le città che si andranno sempre più spopolando. Un fenomeno sociale di forte impatto sulle condizioni di vita degli anziani che restano in città.

Fa riflettere l’ultimo rapporto della Caritas sulle tante emergenze sociali, un impietoso squarcio sulle realtà nascoste della nostra società che “facciamo finta di non vedere, rimuovendole subito”. Sempre più “aggressivo” nelle città il nemico invisibile: la solitudine, compagna triste e silenziosa di tante persone. In dieci anni è raddoppiato il numero degli anziani che vivono da soli, bisognosi di un aiuto, una persona su quattro è in una condizione di povertà cronica. Caritas ricorda che l’Italia è al settimo posto in Europa per incidenza di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale, una condizione presente soprattutto tra gli anziani in solitudine. Il numero degli anziani non autosufficienti è ormai di tre milioni e crescerà a dismisura come effetto della diffusione delle malattie croniche legate all’avanzare dell’età. Aumentano i nuclei monofamiliari che in soli vent’anni sono passati a Milano, in particolare, dal 45 al 57 per cento del totale. La maggior parte degli anziani è femminile.

L’Italia è il secondo Paese al mondo più vecchio, dopo il Giappone, con una speranza di vita tra le più elevate. In Europa siamo il Paese con la percentuale più alta di cittadini con età pari o superiore a 65 anni (23,5%) e più bassa di giovani (13,2%). ll crescente “inverno demografico” con un indice di natalità al ribasso ci consegna una prospettiva di ulteriore crescita della parte più anziana della popolazione. Il futuro vedrà anziani sempre più soli, perché aumenteranno ancora le famiglie senza figli, non solo per la diminuzione delle nascite, ma anche per la fuga dei giovani all’estero in cerca di un lavoro e di prospettive occupazionali migliori. Poco incoraggianti le previsioni: nei prossimi vent’anni dieci milioni di italiani vivranno da soli, quasi una persona su cinque. Per gli over 65 si passerà dagli attuali 4,2 milioni a 6,1 milioni. E’ inquietante il disagio sociale degli anziani, espressione delle tante contraddizioni in cui vive la società contemporanea, sensibile alle sagre dell’effimero ma indifferente ai bisognosi di ascolto. La solitudine è isolamento, mancanza di affetti, di sostegno concreto e psicologico, tanto più grave perché subita. Senza uno status sociale la persona tende inesorabilmente a isolarsi, a escludersi da un mondo che non gli appartiene, così diverso dal “piccolo mondo antico” dei suoi ricordi, abitato da uomini e donne con un cuore e con un progetto d’amore da condividere.

L’anziano che resta solo in città sconta la nuova struttura della famiglia che, da patriarcale e numerosa che era nella società contadina, si è ridotta spesso a un mononucleo, disgregata e poco munita, e comunque poco attenta alla figura del nonno. Privo di amicizie che il tempo e le contingenze hanno cancellato e senza una vera copertura affettiva a livello familiare, l’anziano, con l’aumentare degli anni, con il calare delle forze e con il sopraggiungere di malattie debilitanti, oltre a un inesorabile declino cognitivo, sente sempre più incombente la fragilità fisica, il peso della vita, la sottile voglia di…togliere il disturbo. Una desolante sconfitta per una società che non ha saputo soddisfare i suoi bisogni di protezione, le sue aspettative di sicurezza e di appartenenza, calpestandone la memoria storica, la ricchezza interiore di valori, l’identità sociale.

Quale futuro nella solitudine? Come curare questo insidioso male sociale? Di fronte alle paure della vecchiaia l’antidoto resta quello naturale, quello di sempre: la famiglia. Alla cellula base della società spetta il gravoso compito di saldare il rapporto affettivo della catena, attraverso una “soggettività sociale” che le istituzioni devono proteggere e consolidare. La Terza età non deve essere l’età delle paure, ma un’età da vivere, pur nei suoi limiti oggettivi, nella certezza di sentimenti che genera fiducia, sicurezza e integrazione. Un ritorno al passato per un futuro di speranza.

Per dare vita agli anni, per evitare cioè che la presenza sociale dell’anziano diventi un peso per la famiglia e la società, sono indispensabili politiche che garantiscano, lungo l’intero arco della vita, il processo di invecchiamento attivo. Gli anziani non sono un fardello, ma -in una differente dimensione sociale- costituiscono una miniera di risorse per le future generazioni, in termini di competenze, esperienze, opportunità di crescita. E’ importante avere una cornice normativa nazionale che riordini una materia trattata in modo frammentario da norme diverse. Un primo passo avanti nella costruzione di un sistema di welfare più completo e attento alle esigenze della popolazione anziana è stato fatto con la Legge delega 33/2023 approvata per “semplificare e coordinare le normative sull’invecchiamento attivo e sull’autonomia e assistenza agli anziani”, ma dopo i decreti attuativi emanati dal Governo lo scorso anno la riforma è bloccata per insufficienza di fondi (a regime la riforma ha un costo tra i 5 e i 7 miliardi, difficili da trovare). Il solito muro resinoso di parole.

Voltare dunque pagina per assicurare la dignità dell’anziano, la piena consapevolezza e l’esercizio in libertà dei propri diritti. Una presa di coscienza collettiva e un salto culturale per scongiurare di far cadere l’anziano nel dimenticatoio sociale, in compagnia della sua solitudine. Specialmente in estate.

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