08 febbraio 2022

“L'ANIMA DELLA PIANTA” CARLO RIVA a cura di Maria Marchese

 


“L'ANIMA DELLA PIANTA” CARLO RIVA a cura di Maria Marchese

“La conclusione di tutte le nostre ricerche sarà di arrivare dove eravamo partiti e di conoscere il posto per la prima volta. ” (Thomas Stearns Eliot)

Quasi al culmine della ricerca, Carlo Riva percorre, apparentemente, a ritroso, la via del ricongiungimento alla sublimità.                                                       Nell’immaginario comune, essa si rivela in cilestrini aneliti di cielo: tra impalpabili e mutevoli altezze, l’individuo indova il senso dell’interezza. Il ciglio dell’autore di Sirone, invece, la percepisce risolversi addentro la lignea vita; ivi ha la consapevolezza di trovarla.

E come il vento / odo stormir tra queste piante, io quello / infinito silenzio a questa voce / vo comparando: e mi sovvien l’eterno, / e le morte stagioni, e la presente / e viva, e il suon di lei. Giacomo Leopardi, L’infinito

Un ventoso e irrequieto pensiero incontra il drappo, che è vela di una metaforica navigazione, nello scorrere esistenziale: ne intride le trame, riempiendole di irragionevolezza al punto tale da condurre questo spirito nel mare della ricerca.                                                                     L’autore, come un moderno e poetico Ulisse, supera il confine conoscitivo…



Carlo Riva frange indi l’orizzonte, sospinto dal vivo ascolto del silenzio; compara ciò che vive oltre la finitezza di quella linea, allora, alla propria voce interiore, e approda ad un’immaginaria realtà acquea e melliflua. Nasce così la necessità astrarre, concretamente, il privilegio di una ritrovata estasi e l’unità di quest’ultima. L’autore identifica quello spazio uterino, nel proprio oblio boschivo: nel legno dimora, poi, la quiescenza amniotica, ove cresce una realtà ineffabile e essenziale.

Così l’autore ritorna all’archè, impugnando una carezzevole lama, per figurare la visitazione e vita, insita nell’assoluto. Fiorisce una molteplicità di volti femminei o maschili, esperienze intime e personali, in costante gestazione; pieni seni ammiccano prepotenti e fecondi, come riservati e misteriosi dorsi, dissolvenze appaiono al ciglio… L’autore asseconda gli umori del suolo materico, che si manifesta tra asprezze e levità: la sensatezza di un cangiante crescendo e digradando echeggia, nel leitmotiv di una continua scoperta. Gli spazi sono così travolti da marosi e bonacce, abbracciando la verità di un’esperienza piena. L’osservatore viene così coinvolto non da un atto scultoreo bensì da un centellinato viaggio di scoperta, laddove si confronta con se stesso, con l’altro, con l’artista e con più pagine conoscitive, passate, presenti oppure ancora da scrivere.


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