19 giugno 2006

"La guerra civile" di Giovanni Pellegrino

19 agosto 2005
di Augusto da San Buono

L'ultimo libro di Giovanni Pellegrino è difficile da "digerire", un libro che farà discutere. Parliamo de La guerra civile (Bur-Rizzoli, pp.176 ), un libro che ricostruisce per grandi linee la storia del dopoguerra, intrecciando un "filo rosso" che parte da Salò e arriva all'ascesa di Berlusconi al potere passando, inevitabilmente, per la fine della Prima Repubblica, che - secondo l'autore - coincide con la morte di Moro. La "guerra civile" è, naturalmente, quella che ha caratterizzato sessant'anni di storia repubblicana. Ovvero una guerra potenziale, che solo grazie a due grandi personaggi come Togliatti e De Gasperi , non è passata ad una situazione di guerra fratricida. Nel libro, Pellegrino è fortemente autocritico nei riguardi della sinistra e del suo partito (DS) : «Berlusconi è nato perché a sinistra in tanti erano convinti che la magistratura poteva essere una leva per arrivare al governo, e c'era un leader come Occhetto che era convinto di avere il monopolio dell'astuzia». Pertanto, com'era da prevedere, sta alimentando forti polemiche anche e soprattutto all'interno del suo stesso partito. Pellegrino afferma nel libro che la moderazione, in questo paese, è una parola che andrebbe rivalutata, intendendo proprio il riconoscimento della legittimità delle posizioni contrapposte: «Di questo sono profondamente convinto, ma ancora non accade e basta guardare i dibattiti televisivi per rendersene conto. Personalmente li trovo insopportabili. Io concepisco il dibattito politico nella logica greca dell'agorà: dove si andava per convincere ma si metteva in conto di poter essere convinti. Noi invece abbiamo quelle posizioni pregiudiziali per cui le persone non discutono, si abbaiano addosso, e questo determina un allontanamento dell'elettorato dai temi della politica; così come credo che la frattura del ceto politico italiano è causa, non ultima, del declino del paese»Tutti i libri di Pellegrino (vds. in particolare il precedente " Segreto di Stato") sondano, investigano continuamente il passato , la storia , cercando in quest'attività storica che non cessa mai frammenti di verità , tasselli che si aggiungono ad altri precedenti per completare il quadro della verità vera , - se mai ci si arriverà - o per consentirne letture diverse. Sono ferite della memoria , documenti correlati al tempo più buio e travagliato della nostra storia recente. Ma, diceva Mann, anche se "senza fondo è il pozzo del passato, dovremmo forse per questo dirlo insondabile?"Certamente no. Dobbiamo continuare a cercare quella verità, quel frammento, o quella scheggia che fa un po' più di luce. Per la nostra coscienza civile storica e umana , ed anche per la democrazia. La democrazia - diceva Popper - è un obiettivo verso cui si va, si cammina, si procede, sapendo però in partenza che è un obiettivo mai pienamente raggiungibile. In qualche modo è una meta che, a mano a mano che ci si avvicina, si sposta in avanti. Certamente la democrazia dovrebbe portare ad una assoluta trasparenza delle istituzioni e, quindi, a qualcosa di non compatibile con il concetto stesso di segreto, ovvero con l'occultamento di una verità ai cittadini. Ma nessuna democrazia nel mondo è riuscita a fare a meno del segreto.

(La guerra civile, Fasanella-Pellegrino, BUR, Euro 8,20, pp.166, 2005)

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