M.A.C.A.M.
Museo
d’Arte Contemporanea all’Aperto di Maglione
A
cura di Marco Salvario
Nel
torinese, circa a metà strada tra i laghi di Candia e di Viverone, è
situato il simpatico paese agricolo di Maglione con poco più di 400
abitanti. Un’associazione
senza fini di lucro, nata nel 1985 sviluppando un progetto di
Maurizio Corgnati per “un mondo artistico globale, senza steccati e
senza scuole”, ha dato vita al M.A.C.A.M. - Museo d’Arte
Contemporanea all’Aperto di Maglione. Maurizio
Corgnati, nato a Maglione nel 1917 e morto nel 1992, è stato uomo di
grande cultura, laureato in legge, regista, documentarista e lanciò
la carriera di Milva di cui fu marito per nove anni; sembra
conoscesse a memoria – in greco – l’Iliade e l’Odissea. Artisti
di ogni nazione sono stati invitati, e qui Corgnati ha usato le sue
amicizie e conoscenze personali, ad arricchire con le loro opere gli
spazi del paese, i muri esterni delle case, gli angoli nel verde. Un
percorso particolare è quello in salita lungo via Castello, che
conduce al cimitero del paese, da dove si può godere di uno
splendido belvedere sui territori circostanti; purtroppo io sono
arrivato in una triste giornata di pioggia e foschia. Del castello
ivi edificato dalla famiglia Masino, rimane solo una torre che è
diventata col tempo l’attuale campanile del cimitero.
Il
M.A.C.A.M. è un percorso museale in continuo divenire, nel quale le
opere esposte sono destinate a perdersi e a essere sostituite da
altre nuove. Le piogge e l’umidità dei vecchi muri rendono spesso
inutile il lavoro dei restauratori, volontari anch’essi come gli
artisti. La
morte di Corgnati e il particolare momento che stiamo vivendo, i
lunghi mesi della pandemia, hanno rallentato ma non fermato la
vitalità del progetto. Museo
d’arte contemporanea abbiamo detto, senza preferenza o pregiudizio
per correnti e stili; spazio di proposta, dove l’unico canone è la
qualità delle opere. Capire
l’arte moderna è una sfida difficile per i critici e per gli
esperti, categorie a cui chi scrive non crede di avere le conoscenze
per appartenere; a Maglione, le opere sono esposte quotidianamente
allo sguardo di residenti e turisti, riportando così l’arte alla
gente e la gente all’arte in un circolo virtuoso e logico che
andrebbe proposto molto più spesso, educando il gusto e la capacità
di comprendere il bello.
Elenco
alcune delle opere che mi hanno colpito:
“Baudelaire”,
un sacco traboccante di lettere dell’alfabeto realizzato da Antonio
Trotta, scultore apprezzato in Italia e all’estero, morto
nell’agosto 2019. Di lui si è detto che trasformava il marmo in
carta.
Il
ritratto intenso e pensieroso di Maurizio Corgnati, modellato in
terracotta da Mauro Mazzali.
La
scultura/fontana in bronzo di Aldo Mondino, torinese, perfezionatosi
a Parigi e affascinato dall’arte orientale.
Le
poetiche case di Francesco Tabusso, pittore allievo di Felice
Casorati. Come non amarne il cielo rossiccio nel tramonto?
Giulio
Picelli propone un tema che è ricorrente nella sua opera: l’uomo,
un guerriero a cavallo, e la donna, la dama che egli desidera
conquistare non con la forza ma con l’offerta di un mazzo di fiori.
Non c’è tracotanza nell’innamorato, solo esitazione, timore di
essere respinto, mentre l’amata sembra immobile, in attesa e in
qualche modo incoraggiante.
Una
parola si deve spenderla per i nidi in ceramica, leggo che in tutto
sono ventisei, creati da Luigi Serafini, artista che ha girato il
mondo, scrittore, architetto, pittore, scultore, ceramista. Mi
dispiace che i suoi nidi non abbiano trovato, per quanto ho potuto
riscontrare, nessun inquilino pennuto.
Personaggio
a tutto tondo, attivo in molti campi e impossibile da etichettare, è
Federico Gismondi. A Magione la sua opera è magia, forza e mistero,
un prorompere dove la natura dimostra all’improvviso un’inattesa
componente artificiale e meccanica.
Da
segnalare per la sua simpatia e vivacità è l’affresco “Bambini
a Maglione” di Pietro Manzo, dove l’angolo della casa spezza il
disegno, ricreando l’atmosfera di tensione e attesa del giocare a
nascondino.
Gianni
Asdrubali appartiene al movimento “Astrazione Povera”, che
teorizza la pittura come riduzione; via i colori, via la materia, si
arriva a un residuo che non è anima quanto essenza, la traccia
estrema del limite, il collasso del concetto iniziale alla sua forma
finale. Il bianco non contiene il nero e il nero non contiene il
bianco, c’è equilibrio, non armonia.
Non
ha bisogno di presentazioni il maestro Giò Pomodoro. La proporzione
spaziale della sua opera “Sole spirale 1980” è un tale
sorprendente equilibrio di spigoli, angoli e curvature, da fare
gridare al miracolo. Non è la quadratura del cerchio, piuttosto è
la cubatura della sfera!
Lungo
la salita al Castello tra le opere che si incontrano, non si può non
ammirare “Il Pensatore” dello scultore uruguaiano Ricardo
Santerini. Mi sarei volentieri fermato a dare una ripulita per
recuperare il colore originale, ma in fondo è giusto che il tempo
voglia dare anch’esso il suo tocco personale.
Poco
oltre, si trova il Pendolo di Giuseppe Spagnulo, opera in ferro e
bronzo. Per favore, lo so che resistere alla tentazione è difficile,
però non toccatelo e non giocateci!
A
metà tra pittura e scultura è “Come ti modello il cielo”, opera
di Antonio Carena, che si definisce: "Vocazionato
disopacizzatore di spazi neutri". La sua casa museo, l’artista
è morto nel 2010, è visitabile su prenotazione a Rivoli.
Tra
le belle opere che purtroppo il tempo sta cancellando, “Skywalkers”
dell’americano di nascita ma torinese di adozione Victor Kastelic.
Triste questo svanire dei colori e dei contrasti, ma questo è il
M.A.C.A.M., la sua filosofia, la sua essenza.
Resistono
meglio alle intemperie, pur portandone le tracce, le sculture in
ottone “Ottone cartografico” dell’artista inglese Rebecca
Forster.
Mi
piace chiudere questo articolo, oltremodo veloce e parziale, con la
scultura in ferro “O pneu furou” del brasiliano Ricardo Campos
Mota, anche conosciuto come “Rica”. Purtroppo più che lo
pneumatico, è proprio il cerchione che è a pezzi.