30 luglio 2021

Cimitero Partigiano di Certosa di Pesio A cura di Marco Salvario

Cimitero Partigiano di Certosa di Pesio

A cura di Marco Salvario


I valori della resistenza e il sanguinoso travaglio che ha portato l’Italia alla democrazia, sembrano perdersi in una nebbia velenosa, dove il passato è dimenticato, confuso in episodi spezzati, rimesso in discussione, banalizzato o vigliaccamente capovolto.

Per fare un esempio, che cosa sia successo a Cefalonia nel settembre del 1943, perché su quella bella e incantata isola greca abbiano trovato la morte migliaia di militari italiani, è un episodio che ai nostri giorni raramente suscita nei giovani e nei meno giovani un ricordo.

Come si possono dimenticare gli insegnamenti di una guerra che non deve ripetersi, assurda come tutti i conflitti armati, per molti aspetti incomprensibile, diventata ancora più spietata quando, dopo il proclama di Badoglio, l’Italia divenne terreno di scontro tra eserciti contrapposti e gli italiani combatterono con ferocia gli uni contro gli altri?

Per troppe persone il passato è inutile e tutti gli errori sono ancora davanti a noi, pronti a essere compiuti di nuovo; non abbiamo imparato nulla e siamo fieri della nostra ignoranza. Internet è la nostra scuola, ma non la internet dei siti riconosciuti e documentati, mi fa piacere citare la ricchezza della Wikipedia, enciclopedia libera e collaborativa, pronta sempre a mettersi in discussione e a segnalare le affermazioni non documentate; purtroppo le fonti cui spesso si preferisce fare riferimento, sono forum di parte, dove si cerca solo di aggredire e ferire chi la pensa diversamente, pagine caotiche dove influencer senza nessuna reale preparazione e affidabilità accumulano panzane e battute banali, ricevendo in cambio decine di migliaia di entusiasti “like”, che in realtà sono meno significativi di bottoni messi nelle cassette delle elemosine in chiesa.



Faccio due passi indietro e, se indietreggio, non sparatemi.

La resistenza, le sue idee, restano per fortuna vive nei luoghi dove più violenta e sanguinosa è stata la guerra partigiana, lasciando ferite aperte che il tempo non ha lenito.

Nel cuneese, poco lontano dalla cittadina di Chiusa di Pesio, superata la Certosa di Santa Maria ora destinata a Casa di Spiritualità dei Missionari della Consolata, si può vistare quello che, a mia conoscenza, è l’unico cimitero partigiano nel nord dell’Italia; un sacrario la cui edificazione è iniziata subito alla fine della guerra.

Il cimitero si erge sul fianco della montagna alla destra del torrente Pesio, e lo si raggiunge salendo una ripida scalinata; ha una pianta circolare, semplice e senza abbellimenti, che fa venire in mente l’essenza primitiva e profondamente religiosa di un tempio celtico. Al centro un’alta stele di marmo bianco punta verso il cielo, come un grido d’invocazione e dolore.

Sulla base sono incise queste frasi:


ODIO CI UCCISE
CI FA RIVIVERE AMORE

A DIO PACE
AI MONTI UNA CAREZZA - UN CANTO - UN FIORE
A VOI OPERE DEGNE
CHIEDIAMO
AFFINCHE' IL SOGNO NEL QUALE MORIMMO
VIVA NELLA VOSTRA VITA


Chiedevano opere degne: siamo sinceri, non abbiamo saputo dargliele, eppure la loro richiesta non si è spenta e non deve essere dimenticata. Le parole scritte nella pietra resteranno a lungo a monito.

Opere degne. Dobbiamo sperare nelle generazioni future, nella loro responsabilità.


Ai lati della stele decine di nomi, tra loro militari, donne, combattenti di altre nazioni. Intorno tombe di partigiani, da quella della medaglia d’oro Ignazio Vian, lungamente torturato e impiccato a Torino, ad altri combattenti senza nome. Una tomba contiene reliquie della terra del campo di sterminio femminile di Rawensbruck e dell’acqua del lago di Fursterberg, dove i nazisti fecero gettate le ceneri dei forni crematori:


QUI VIVE IL SIMBOLO

DEL MARTIRIO DEI DEPORTATI


Un dolore è di essermi trovato da solo nella mia visita, solo con il ronzio lontano di tante api, solo sotto lo sguardo di lucertole così pigre e annoiate, da non fuggire neppure al mio avvicinarsi. La solitudine aiuta a meditare, ma la sofferenza va condivisa.


26 luglio 2021

25 luglio 1943: la notte del fascismo a cura di Angelo Ivan Leone

 


25 luglio 1943: la notte del fascismo


La storia non è solo dato, fatto e documento, ma anche e, soprattutto, interpretazione dei caratteri e della psicologia dei popoli e dei protagonisti. Questa particolarità del sapere storico ci serve soprattutto per capire passaggi e snodi fondamentali come questo del 25 luglio. In particolare la figura di Mussolini che sapeva perfettamente dell'ordine del giorno di Grandi che gli era stato presentato giorni prima in visione privata, tuttavia non fece nulla per fermare l'opera che lo avrebbe defenestrato. Potrebbe darsi che Mussolini, stanco e sfiduciato nei confronti della guerra che sapeva persa, preferiva che l'opera di traditori nei confronti dell'alleato tedesco, ricadesse e fosse ascritta interamente ai gerarchi e al Re. Così da poter recitare il ruolo del capo solo e tradito. Forse una cosa sola non si aspettava: di essere arrestato nella stessa casa di quel Re, che si dimostrò oltre che traditore anche fellone con la vergognosa fuga dell'8 settembre, che tanto aveva contribuito a far rimanere sul trono. Chissà se allora tornò in mente al Duce il Mussolini giovane rivoluzionario socialista e anarchico che scrisse sul momento di Umberto I: monumento a Gaetano Bresci.

(c) Angelo Ivan Leone

24 luglio 2021

LA CASA CAPOVOLTA di Elisabetta Pierini a cura di Miriam Ballerini

 


LA CASA CAPOVOLTA di Elisabetta Pierini Tutti si scordavano di lei. E lei, da un angolo li osservava-

© 2021 KINDUSTRIA

ISBN 978-88-98983-46-9 Pag. 382 € 16,00

Protagonista di questo romanzo è Eva, una bambina di dieci anni che vive coi genitori: un padre scontento e una madre malata di mente.                                                                                     Per rifuggire alla sua solitudine, Eva vive in un mondo di fantasia: un mondo dove le sue bambole le parlano. Dove un fratello mai nato l'accompagna e, un signore con una valigia, le offre i suoi consigli. Spesso i personaggi di fantasia che animano la vita della piccola, hanno più spessore dei protagonisti effettivi della vicenda.                                                                             La trama si snoda tutta in una via, una via fatta di case tutte uguale, ognuna con una famiglia e una storia; nessuna felice.                                                                                                                         Eva restava a guardare da lontano che ne faceva quella gente di quel calore, di quella morbidezza. Spesso non ne facevano proprio nulla. Vivevano come bambole su uno scaffale”.     L'unica amica della piccola è Laura, la figlia dei vicini di casa. Eva, ogni giorno, s'introduce fra le pieghe della vita dei vicini, cercando di passare inosservata, lei che a casa sua è poco più di un fantasma: un fantasma trascurato per giunta. Laura aveva la risata facile e da sola non sapeva mai come far passare il tempo: stava alla finestra a guardarlo passare”.                                                                                                                                             L'autrice, per ogni personaggio, ha come creato una sorta di descrizione che riporta in toto al lettore, risparmiandogli la “fatica” di comprendere caratteri e situazioni dagli eventi narrati. Come scrittrice, la Pierini, è davvero una buona penna. Il suo forte, sono le frasi contenenti similitudini; qui l'autrice esprime tutta la sua originalità e la sua forza descrittiva. C'era qualcosa di allegro in quelle case uguali, dai colori vivaci che ospitavano gente dai pensieri pesanti come dense bolle d'inchiostro”.                                                                 Il romanzo è un buon romanzo, con tanto da insegnare e da mostrare al lettore. Quello che smorza un poco il mio entusiasmo è che non c'è, in nessuna pagina, un sorriso. Un momento di sollievo, di ristoro. È solamente tragedia: tristezza, decadenza. C'è solo un istante dove brilla un moto di ribellione, ma anche questo viene subito smorzato. Non poteva continuare a vivere come un morto”. È come se, nel quartiere dove vive la piccola Eva, si sia sparso un morbo che renda ognuno triste.                                                                                                     Abbiamo la famiglia di Eva, in primis: mamma folle, padre stanco e sfinito. Anche nel suo allontanarsi dalla casa per trovare uno svago con una amante, si mostra indifferente e infelice. I vicini di casa: i genitori di Laura. Borghesi, lei casalinga insoddisfatta, lui cinico. Gli altri vicini: Fabiola e il marito, insoddisfatti. Pure il gemello di quest'ultimo è una figura infelice.                                                                                                                                                             Il personaggio che più ho apprezzato è il professore che vive nel camper e che viene costretto ad andarsene dopo una serie di atti di bullismo nei suoi confronti. La sola a provare a ridere è la piccola Eva, quando le sue fantasie si fanno più strambe, ma subito viene giudicata da chi la vede parlare da sola, persa nel suo mondo fantastico. Insomma, un libro che ho letto con piacere scovando tante frasi che mi hanno colpita. Dove ho apprezzato il tentativo dell'autrice di immedesimarsi in una bambina trascurata e di donarle una via di fuga quale la fantasia; ma dal quale ne esco un po' depressa, per un mondo che mi è stato mostrato così piatto: senza speranza, senza futuro.                                                                                                                                 Il titolo prende spunto da una fantasia di Eva che vede la propria casa, appunto, come capovolta rispetto a quelle dei vicini.                                                                                                         Il finale mi consola un pochino, perché mi porta al di sopra di tutta quella infelicità: “Osservò le punte degli alberi tremare, contorcersi, ma poteva alzarsi più in alto di loro senza difficoltà. Era contenta di essere riuscita a trovare la misura di qualcosa”.

© Miriam Ballerini

fonte

"La casa capovolta" di Elisabetta Pierini: un morbo che rende tutti tristi - OUBLIETTE MAGAZINE

23 luglio 2021

ABECEDARIO POLITICO. PRIMA DI TUTTO UN UOMO: INDRO MONTANELLI DI ANGELO IVAN LEONE

 


ABECEDARIO POLITICO. PRIMA DI TUTTO UN UOMO: INDRO MONTANELLI DI ANGELO IVAN LEONE

Indro Montanelli si ribellò al Fascismo e al comunismo. La storia gli ha dato ragione

Montanelli contro Fascismo Comunismo. Un uomo che seppe rinunciare al vento di consenso del suo tempo contemporaneo.

Montanelli contro Fascismo Comunismo

Indro Montanelli smise di essere fascista nel 1936-1937 all’inizio della campagna di Spagna, quando il Fascismo, dopo la campagna di Etiopia e le sanzioni aveva raggiunto il massimo del suo consenso. Sfido chiunque dei nostri accademici a saper fare altrettanto, proprio loro che rifiutarono soltanto in 12, dicasi 12, il giuramento al Duce e al Fascismo.
Detto ciò, per questo suo rifiuto al Fascismo, Montanelli pagò con l’ostracismo e con l’esilio in Estonia, tornò alla ribalta grazie alle cronache fatte sul Corriere della Sera della guerra tra Finlandia e Urss e da allora iniziò la sua parabola come giornalista più amato dagli italiani, tanto che lo definirono il principe.
Montanelli pagò il suo rifiuto al Fascismo con la condanna a morte che gli diedero i nazisti che lo imprigionarono nel carcere di San Vittore e, dal quale, solo fortunosamente riuscì ad evadere. Montanelli pagò, ancora di più se è possibile, il suo rifiuto al Comunismo con le 4 pallottole che i brigasti rossi gli spararono mentre si recava alla sede del Giornale da lui diretto e fondato per 20 anni.

Montanelli contro Fascismo Comunismo: fu anche contro Berlusconi e lasciò il Giornale

Montanelli, dopo svariati anni, perdonò i suoi sicari e strinse loro la mano perché, frase sua, indimenticabile: con i nemici sconfitti si brinda. Montanelli pagò il suo rifiuto al berlusconismo lasciando il Giornale da lui diretto e fondato per 20 anni e fondando la Voce. Lasciò la sua creatura editoriale amata e venerata di cui lui era stato padre e bandiera per ricominciare un avventura a 85 anni suonati. Sfido chiunque dei vegliardi attuali di questa macilenta e tremebonda italietta a fare altrettanto.
Le opere scritte da Montanelli, la sua storia d’Italia in particolare, ma anche tutte le altre, ebbero un immenso successo di pubblico e questa fu la sua opera più grande: aver reso un servigio immenso al popolo e alla nazione di cui era un immenso figlio, quello di avvicinare gli uni all’altra, quella di aver fatto conoscere la storia del proprio Paese ad un popolo che se ne è sempre strafottuto proprio perché ha trovato quei professori universitari di cui fu sempre acerrimo nemico, quasi tutti di sinistra seppur con parecchi soldini, che hanno reso la cultura italiana distante e lontana dal popolo, proprio il contrario di quello che dovrebbe essere, e hanno reso lo stesso circuito culturale una sorta di grossa mafia, come se non ce ne fossero già abbastanza in questo Paese.
Sul fatto, infine, che il comunismo di Mosca, come tutti i comunismi che arrivano al potere, fosse: inumano, violento, persecutore e creatore di povertà non è che aveva ragione Montanelli, è stata la storia a dimostrarcelo, altrimenti non si spiegherebbe il perché il comunismo sia imploso dal di dentro, lasciando partita vinta al regime capitalista che non è certo il Paradiso in terra, eppure si è rivelato, alla prova dei fatti, migliore e più duraturo del regime nato in Urss.
Per quanto riguarda la sua prosa che era semplice, pulita e bellissima io mi auguro che anche uno solo, uno soltanto dei tanti intellettuali da strapazzo che abbiamo in Italia sappiano scrivere bene, anche solo la decima parte di come scriveva Montanelli e, soprattutto, che abbiano anche solo un millesimo delle palle che aveva lui.

19 luglio 2021

IL RECOVERY FUND E I MALI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE di Antonio Laurenzano

 


IL RECOVERY FUND E I MALI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

di Antonio Laurenzano

Esame superato. Ok dell’Ue al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Il Consiglio dei ministri economici e finanziari (Ecofin) dei 27 Stati membri ha dato il via libera ai primi 12 piani, fra cui quello presentato dal Governo Draghi. In arrivo nelle casse del Tesoro un prefinanziamento di 25 miliardi di euro in un unico versamento, pari al 13% dell’importo di 191,5 mld. dei fondi assegnati (sovvenzioni e prestiti).

Per Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lussemburgo, Portogallo, Slovacchia e Spagna si volta pagina. Di rilevante interesse le aree di intervento definite nel regolamento che istituisce Next Generation EU, il pacchetto per la ripresa volto a rilanciare l’economia dell’Ue dopo la pandemia di Covid-19. In particolare, la transizione climatica e la trasformazione digitale rappresentano le sfide principali per disegnare un futuro diverso nel segno della solidarietà europea.

Il percorso di Next Generation EU durerà fino al 2026 e ogni anno ci sarà un esame della Commissione: i bonifici di Bruxelles arriveranno solo se si raggiungono gli obiettivi nei tempi previsti dal calendario. Per l’Italia l’apporto dei fondi europei, in misura così cospicua, è un’occasione per cambiare la nostra economia, per tornare a crescere e guardare con ottimismo ai nostri conti pubblici, in perenne apnea finanziaria. “Il Recovery Fund, ha commentato il premier Draghi, sarà la grande assicurazione sulla vita, sulla crescita e sulla prosperità del nostro Paese, per attrarre sempre più capitali esteri per investire, fare impresa e creare ricchezza.” Occorre impegno, spirito di coesione e forte collaborazione tra tutte le istituzioni per superare divisioni e miopia politica.

Il primo scoglio sono le riforme, da quella della giustizia (che tati problemi sta già creando in Parlamento) a quella fiscale, e soprattutto a quella della Pubblica Amministrazione. Una P.A. debole e impreparata rappresenta un problema molto serio per l’attuazione degli investimenti previsti a livello comunitario. Una legislazione debordante, frammentata e contraddittoria, una burocrazia amministrativa snervante, sorda alle esigenze di cittadini e imprese, con livelli di efficienza imbarazzanti, rischiano di compromettere il trasferimento delle risorse economiche previste dal Recovery Fund. Delle 48 riforme che saremo chiamati a realizzare entro il 2023, 8 riguardano la “sburocratizzazione” della nostra P.A. “Non ci sono più alibi e non c’è più tempo, ha dichiarato il Ministro Brunetta, l’efficienza della Pubblica Amministrazione è una priorità essenziale per la ripresa, i paladini dell’immobilismo se ne facciano una ragione.”

Sono allarmanti le risultanze che emergono dal rapporto della Cgia di Mestre riferito a un’indagine della Commissione europea sui servizi pubblici dei 27 Stati membri: solo il 22% degli italiani li considera soddisfacenti, contro la media europea del 46% (92% in Lussemburgo, 86% nei Paesi Bassi,81% in Finlandia, 55% in Germania, 50% in Francia, 38% in Spagna). Chiaro il commento finale degli analisti della Cgia: ”la P.A. va rifondata, non riformata, e per migliorarne l’efficienza serve innanzitutto sfoltire il nostro ordinamento, incentivare il meccanismo del silenzio-assenso, scoraggiare il ricorso alla burocrazia difensiva con la fuga dalla firma dei funzionari pubblici, oltre a una legislazione più chiara e trasparente, alla semplificazione delle procedure. Dulcis in fundo, la trasformazione digitale per offrire servizi a cittadini e imprese in modo semplice e diretto, superando ogni disparità regionale, intergenerazionale e di genere che frenano lo sviluppo dell’economia.

Notoriamente la bassa produttività del settore pubblico italiano ha rappresentato la palla di piombo dell’intero sistema produttivo, un ostacolo al miglioramento dei servizi offerti e agli investimenti pubblici. Si vuole ora invertire rotta. Come è ben evidenziato nel testo del Piano Draghi, “uno dei lasciti più preziosi del PNRR deve essere l’aumento permanente dell’efficienza della P.A. e della sua capacità di decidere e mettere a punto progetti innovativi, per accompagnarli dalla selezione e progettazione fino alla realizzazione finale.” Un’operazione che richiede la competenza dei suoi dirigenti per rendere i processi di gestione e utilizzo delle risorse veloci, efficaci ed efficienti. Ribaltare dunque il negativo posizionamento in Europa: per il grado di efficienza dei servizi prestati, siamo al 23° posto su 27. Un posizionamento che evidenzia un grave problema per il nostro Paese se si considera che la P.A. italiana rappresenta più del 16% del Pil pari a circa 253 miliardi di euro. Inoltre, la P.A. è il “primo datore di lavoro” italiano con circa 3,12 milioni di addetti e i dipendenti pubblici rappresentano il 5,3% della popolazione e il 13,6% degli occupati totali.

Per effetto del blocco delle assunzioni, collegato a 132 mila pensionamenti registrati negli ultimi dieci anni, l’età media all’interno della P.A. sfiora i 55 anni, con punte fino ai 58-60 anni, con ripercussioni sui costi indiretti per l’intero Sistema Paese in termini di potenziale crescita, in particolare della produttività. Necessita una inversione di tendenza alla quale il PNRR potrà dare una svolta sostanziale per trasformare la Pubblica Amministrazione da “peso aggiunto” a “fattore di sviluppo” per i cittadini e per l’economia italiana.


La violenza nelle carceri è frutto anche del silenzio delle cosiddette persone perbene a cura di Carmelo Musumeci


 La violenza nelle carceri è frutto anche del silenzio delle cosiddette persone perbene


“Eseguimmo ordine”. Molti pensano che quello che è accaduto a Santa Maria Capua a Vetere sia un caso isolato, purtroppo non lo è. E se non ci fossero stati quei video nessuno lo avrebbe mai saputo.

 La prigione è un mondo ignoto per tutti coloro che sono liberi ed è difficile far conoscere alla società e ai nostri politici l’inferno che hanno creato e mal governano. Alcuni detenuti vivono come cani bastonati e all'ordine del giorno vi sono: autolesionismo, suicidi, tensioni interne che sfociano a volte in condotte aggressive dell’uno o dell’altro, abusi, soprusi, ingiustizia istituzionali, pestaggi, e la lista sarebbe troppo lunga per andare avanti. Ma le botte che fanno più male sono quelle che l’Assassino dei Sogni, come chiamo io il carcere, dà ai cuori e alle anime dei prigionieri e dei loro familiari.

L’altro giorno facendo ordine nelle mie carte mi è capitato fra le mani un vecchio verbale del lontano 1992, quando ero detenuto nel carcere dell’Asinara. Ed ho riletto letto una frase che avevo urlato durante un Consiglio di disciplina: “I buoni hanno bisogno dei cattivi e del carcere per apparire buoni”, che mi era costata 15 giorni di cella di rigore e una pioggia di manganellate. Purtroppo molti “buoni”, comunque e nonostante tutto, continuano a vedere nel carcere una soluzione e non capiscono che il problema, sia per le guardie sia per i detenuti sia per la società, è proprio il carcere, perché una pena che fa male è come buttare benzina sul fuoco. Nessuno parla dei morti del carcere di Modena, purtroppo di quell’evento non ci sono video e poi sembra che siano morti di metadone e non è certo colpa degli infermieri, dei medici o della polizia penitenziaria... Forse erano occupati a fare altro, visto che non si sono accorti che stavano male. 

Margherita Hack, commentando il mio libro “Gli Uomini Ombra”, mi scrisse:

“Quando si legge di casi reali di giovani rei di aver partecipato a qualche manifestazione, o di aver reagito alla forza pubblica, che entrati in carcere in piena salute ne escono avvolti in un lenzuolo e con sul corpo i segni di pestaggi selvaggi, si vuol credere che si tratti di casi eccezionali, poi si pensa a quello che è successo durante il G8 a Genova e si comincia a dubitare. Il carcere che dovrebbe essere scuola di riabilitazione si rivela un centro di abbrutimento per i carcerieri e di annullamento della personalità dei carcerati a cui questi si ribellano con la violenza, carcerieri e carcerati egualmente vittime di un sistema degradante”

 

Carmelo Musumeci

Luglio 2021 

13 luglio 2021

Il decreto Zan


L'appello dei credenti che bussano al Senato per chiedere di APPROVARE il ddl Zan SENZA ulteriori modifiche

 Alla vigilia della discussione sul ddl Zan, che inizierà in Senato martedì 13 luglio, sono state consegnate alle Senatrici e ai Senatori italiani tutte le firme raccolte in questi giorni, tramite il passaparola, da un gruppo di cittadini, credenti LGBT+ e i loro genitori, gruppi e associazioni, credenti e non, e di operatori pastorali che conoscono da vicino la condizione delle persone LGBT+, per chiedere ai nostri rappresentanti di APPROVARE SENZA ULTERIORI MODIFICHE il ddl Zan.


Un appello firmato da 71 associazioni italiane, cristiane e non, tra cui troviamo i genitori di AGEDO, il CIPAX Centro Interconfessionale per la pace, il Consiglio Nazionale Federazione Femminile Evangelica Valdese e Metodista (FFEVM), la Rete delle donne luterane, la Parrocchia cattolica di Sant’Alberto di Trapani, l’Arcigay di Piacenza, la Federazione Donne Evangeliche in Italia (FDEI), le Comunità Cristiane di Base italiane (CDB), la FGEI - Federazione Giovanile Evangelica in Italia, il collettivo di ADISTA (settimanale di informazione su mondo cattolico e realtà religiose), NOI SIAMO CHIESA del Movimento Internazionale IMWAC, i gruppi e le associazioni di cristiani LGBT+ e dei loro genitori e tante altre realtà associative.


L’appello è stato sottoscritto anche da 1.078 persone, tra cui troviamo: i giornalisti Mauro Castagnaro e Luca Attanasio, don Andrea Bigalli di Firenze e don Massimo Biancalani di Pistoia, le pastore valdesi Letizia Tomassone e Daniela Di Carlo, il gesuita Paolo Gamberini sj, le pastore battiste Elizabeth Green e Anna Maffei,  le teologhe cattoliche Cristina Simonelli e Selene Zorzi con Gerard Lutte, ex docente all’Università Pontificia Salesiana e fondatore del movimento per il sostegno dei giovani di strada del Guatemala, insieme ad insegnanti, scout, catechisti, a famiglie cristiane e a genitori con i loro figli LGBT+ di tutt’Italia.


Realtà associative e persone diversissime che hanno firmato l’appello alle Senatrici ed ai Senatori "consapevoli della complessità del tema in oggetto e delle perplessità espresse anche in ambito ecclesiale", ma convinte "in coscienza di dover dare la nostra convinta adesione al disegno di legge così come è stato proposto dall’onorevole Alessandro Zan, primo firmatario", perché certi "che la mancata approvazione del ddl, per queste persone e per la società italiana, certamente comporterebbe un danno molto maggiore rispetto agli eventuali inconvenienti, su cui si potrà intervenire in seguito grazie ad un confronto schietto e fecondo".


Non deve stupire la presenza maggioritaria, tra i firmatari dell’appello, di credenti che conferma semplicemente i dati già emersi dal sondaggio ISPOS diffuso dalCorriere della Sera, sabato 10 luglio 2021, che a sorpresa e con buona pace del Vaticano, mostra che in Italia anche tra i cattolici praticanti prevalgono i favorevoli al ddl Zan, rispetto ai contrari.

 

Correva il 15 maggio 2002 quando venne presentato per la prima volta, dall'onorevole FrancoGrillini, un disegno di legge contro la discriminazione omotransfobica in Italia; da allora si sono succedute in parlamento varie proposte legislative ampiamente discusse e sempre accantonate; dal 2013 ad oggi, dopo 1.287 vittime della violenza dell’omotransfobia, di cui 185 solo quest’anno (dati del 13 luglio 2021, tratti da www.omofobia.org), "riteniamo che il ddl Zan”, affermano i firmatari, “sia al momento lo strumento più adeguato" per affrontare questo grave problema.


Perciò come la vedova importuna, protagonista di una parabola del Vangelo di Luca (Lc 18,6-8), continueremo a bussare incessantemente al nostro Parlamento finché non ci "farà giustizia".


Gionata news

"IL GLICINE" L'INFINITO CREATIVO MARIBEL DE ALBA FERNÁNDEZ a cura di Maria Marchese

 

"IL GLICINE" L'INFINITO CREATIVO MARIBEL DE ALBA FERNÁNDEZ a cura di Maria Marchese



Il glicine 

… e intanto era aprile,

e il glicine era qui, a rifiorire.

Prepotente, feroce

rinasci, e di colpo, in una notte, copri

un intera parete appena alzata, il muro

principesco di un ocra

screpolato al nuovo sole che lo cuoce.

E basti tu, col tuo profumo, oscuro,

caduco rampicante, a farmi puro

di storia come un verme, come un monaco:

e non lo voglio, mi rivolto – arido

nella mia nuova rabbia,

a puntellare lo scrostato intonaco

del mio nuovo edificio.

Tu che brutale ritorni,

non ringiovanito, ma addirittura rinato,

furia della natura, dolcissima,

mi stronchi uomo già stroncato

da una serie di miserabili giorni,

ti sporgi sopra i miei riaperti abissi,

profumi vergine sul mio eclissi,

antica sensualità.

Pier Paolo Pasolini 


Maribel De Alba Fernández coglie l'essenza della virginea furia declamata da Pasolini e la carezza su naturali e cartacei velami. 

L'artista di Siviglia, fiorentina d'adozione, rapisce la sensatezza dell'atto creativo e la lacrima gioiosamente, attraverso tocchi delicati e spontanei, in una violacea pioggia d'estro. 


L'artista esprime ogni singolo petalo di quel corimbo esperienziale soprasensibile, posando tocchi di pigmento oleoso e affida al tempo di asciugatura di quest'ultimo l'eternità dell'intante. 

La pienezza dell'attimo involve un'energia intrinseca, che frange la limitatezza dei sensi per divinare il domani. 

La sfera umana e eterna si congiungono nel palpitante vibrato promanato dal viola, mentre innocenza e riflessione, sfumati nel blu e nel bianco, ne chiarificano la forza.  


Il glicine si sviluppa in un modo molto particolare: gemma rapidamente con un movimento costante a spirale, in senso orario o antiorario, e ciò lo effigia a rappresentanza della coscienza dell'uomo, che si espande dai centri vitali dell’interiorità per estendersi a influenzare il mondo esterno. L'infiorescenza tende ad avvilupparsi attorno a qualunque sostegno si presenti a disposizione e per questo è divenuto altresì il simbolo del gioco e dell'avventura nell'arte cinese. 

Maribel De Alba Fernández poeta la possanza di questa pianta su tre esperienze artistiche distinte ma indissolubili.


“Il numero Tre” possiede lo spirito: è il compendio dell’Uno e del Due ed è un numero completo, che si esprime con l’azione e la parola.

Il tre evidenzia la predisposizione all’arte e il suo archetipo è il Giullare.

L’estro e l’ingegno sono sue peculiarità come, del resto, buon gusto, talento ed espressività si addicono a questo poliedrico personaggio, capace di inventarsi la vita istante per istante. 

Tre, pure, sono le fasi evolutive del Giullare... 

Il primo passo evolutivo lo vede attratto da tutto ciò che può procurargli gioco e divertimento; vive e si esprime però ancora  superficialmente. 

Il secondo passo evolutivo lo accompagna mentre affronta la propria percorrenza esistenziale con una maggior percezione delle sue capacità: apprende via via le modalità per esternare i propri talenti e interagisce attraverso questi ultimi. 

Le doti creative sono il suo punto di forza e le utilizza nell’arte e nella comunicazione... così inizia a dar vita al proprio destino.

Il terzo e ultimo passo evolutivo lo trova in relazione con il proprio divino interiore, che risveglia in lui il dono della conoscenza. Questa maturazione del sé gli permette di trovare nuovi modi per comunicare con gli altri, può diventare egli stesso strumento di guarigione, grazie all'arte, e divenire una guida illuminata. 

La terza lettera dell’alfabeto ebraico è Ghimel: la sua funzione è la Rotazione. La Vita e l’universo sono dinamismo. Questa funzione mette in movimento tutte le energie e potenzialità che sono in Alef e in Beth. Quando ci sentiamo nei nostri sogni e ci muoviamo nella vita di tutti i giorni a partire dai sogni, dai progetti, dalle immagini belle e regali che stanno nel nostro intimo più amorevole e vero, le energie della mente e del corpo si mettono in “movimento” , attivate dalla passione e dall’entusiasmo che ci anima. Ghimel mette in movimento rotatorio questo processo,che si disvela senza alcun attrito. 

Particolare è l'accostamento di Ghimel con il terzo capitolo(più correttamente: parashah) del Bereshit, ovvero libro della Genesi, che è intitolato "Lech lecha" . 

Questa locuzione è un'esortazione che letteralmente significa "vai, vai!  ed è il comando che Dio diede ad Abramo, ordinandogli di lasciare la casa paterna ad Ur, in Mesopotamia. " 

Estendendone il significato essa vuole essere un invito a muoversi per trovare se stessi. 


Il glicine ha una capacità di accrescimento difficilmente contennibile: Maribel De Alba Fernández in esso indova la non finitezza dell'essere umano, quale nucleo creatore, nel momento in cui la sua parte umana si ricongiunge con quella divina e con il fluire universale. 

Nell'ode, Pier Paolo Pasolini è avvinto dalla irrefrenabile e mirifica rigenerazione di quest'infiorescenza che, depositaria altresì della sensualità femminile, dirompe e divelle gli argini della sfera terragna. 

L'opera è attualmente esposta presso Palazzo dei Rolli Gio Saluzzo n' 7,nel contesto della collettiva "ΓΕΦΥΡΑ:TRA PASSATO E PRESENTE" , il cui art director è lo storico dell'arte Valeriano Venneri e la cui curatela è stata seguita da Loredana Trestin e da Maria Marchese. 

Buona Pasqua

  Auguri di Buona Pasqua ai collaboratori, ai lettori, a chi passa per curiosità! A rileggerci dopo le festività!