29 marzo 2021

José Saramàgo – L’uomo duplicato – a cura di Marcello Sgarbi

 


José Saramàgo –
L’uomo duplicato (Edizioni Feltrinelli)

Collana: Universale economica

Pagine: 267

Formato: Tascabile

EAN: 9788807890611

Se potessi usare tre aggettivi per riassumere la vicenda raccontata in questo romanzo la definirei assurda, inquietante e surreale. E straordinario è il modo in cui si dipana: un’escalation che dal registro ironico, curioso e divertito passa ai toni della commedia per concludersi con le tinte fosche della tragedia.

Da una irrilevante banalità scaturisce, per Màximo Afonso Tertuliano, protagonista del romanzo, un rovello ossessivo che lo porta a compiere azioni insensate e irreparabili.

Con una cifra stilistica di estrema personalità, fatta di dialoghi non virgolettati con iniziali maiuscole a seconda di chi parla (una caratteristica dell’autore), salti temporali e verbali dal presente al passato remoto all’imperfetto e un inizio in media res che ci fa guardare al protagonista come se lo seguissimo con la macchina da presa, il romanzo ci porta a riflettere sul caso e sul destino.

E soprattutto sul senso dell’identità, tema tipico del Novecento il cui esempio più emblematico è forse Uno, nessuno e centomila di Pirandello, ma già presente nell’’800 con racconti quali La coscienza di Zeno di Italo Svevo, Monsieur de Miroir di Nathaniel Hawthorne o Lo specchio deformante di Guy de Maupassant.

Ciò che dev’essere sarà, è una filosofia che conosco, solitamente la chiamano predestinazione, fatalismo, fato, ma in realtà significa che farai quello che ti andrà di fare, come sempre, significa che farò ciò che dovrò fare, niente di meno, ci sono persone per le quali ciò che hanno fatto e ciò che hanno pensato che avrebbero dovuto fare è lo stesso, al contrario di quanto ritiene il senso comune, le cose della volontà non sono mai tanto semplici, semplice è piuttosto l’indecisione, l’incertezza, l’irresoluzione”.

Il caos è un ordine da decifrare”.

L’anima umana è una scatola da cui può sempre balzare fuori un pagliaccio che ci fa le smorfie e la linguaccia, ma ci sono occasioni in cui quello stesso pagliaccio si limita a guardarci dal bordo della scatola e se vede che, per caso, stiamo agendo secondo quanto è giusto e onesto, annuisce con il capo e scompare pensando che non siamo ancora un caso perduto”.

Si dice che odia il prossimo soltanto chi odia se stesso”.

© Marcello Sgarbi


IL MAESTRO ANDREA SIMONCINI E DANTE ALIGHIERI di Maria Marchese

 IL MAESTRO ANDREA SIMONCINI E DANTE ALIGHIERI di Maria Marchese



 "O divina virtù, se mi ti presti

tanto che l’ombra del beato regno

segnata nel mio capo io manifesti,

24vedra’ mi al piè del tuo diletto 

legno venire, e coronarmi de le foglie

che la materia e tu mi farai degno".  


Quest'anno ricorrono le celebrazioni per i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri. In questa sede, voglio porre l'attenzione sul "canto artistico" rivolto al Sommo Poeta da Andrea Simoncini, Maestro Fiorentino. 

Andrea Simoncini indova Dante Alighieri entro le condizioni espresse dal sintagma estetico/dissertativo "de praeteritis/in virtute artis/ad aeternum" (dal passato/la virtù dell'arte/all'eternità)
 : in questa continuità dalle scelte pregnanze argomentative, l'acuto e oltremodo capace Maestro fiorentino annichila il plausibile senso nostalgico attraverso una catarsi, che si dirime tra le setose trame del vello artistico e il mellifluo linguaggio dell'acquerello.
L'esteta ammanta l'opera di tessuti inusuali e accattivanti, ammaliando l'osservatore e avvincendolo addentro il rapporto sintagmatico sopra citato.


Nel "sine tempore" al centro di quest'ultimo, egli crea un'ineffabile soglia, che trasla nel vorticoso avvicendarsi di condizioni odorose di terra, naturalezza, storia, intuizione intellettiva e intima introspezione mistica; esse vengono espresse in un vivido seppur composto cenacolo tonale, in cui si distinguono le tinte verde oliva, ocra, giallo, nero e blu, dai respiri decisi seppure quieti.
Andrea Simoncini sembra creare, per onorare il Sommo Poeta, una corona d'alloro virtuale, che fregia il valico, alla quale quale Dante stesso aspira nel primo canto del Paradiso; quel varco temporale, così opportunamente creato dall'esteta, diviene così effigie di una condizione privilegiata in termini artistici, culturali e letterari.
Fiero e serafico s'affaccia, oggi, questo sempiterno Vate. 
L'artista di Firenze ne vibra la presenza nel marmoreo bianco, per sancirne l'inviolabilità; ne attualizza poi l'involto, sottolineando con tinte quasi psichedeliche alcuni particolari. 
Il termine "psichedelico"  significa «rivelatore della psiche» , composto del greco ψυχή «anima, psiche» e tema di δηλόω «manifestare» . In quest'ottica, l'utilizzo, da parte dell'autore, di queste sfumature è in grado di condurre l'astante nella rada dell'alea, liberando il suo approccio e il pensiero da ogni sovrastruttura. 
Due sono le particolarità cromatiche che si distinguono: il fucsia (o magenta elettrico ) e il blu. La prima sposa, in sé, grazia e leggiadria, passionalità e freddezza, estroversione e introversione, dolcezza e aggressività: uno stato dicotomico, che sprigiona energia e rimanda ai miti di una giovinezza spensierata. Il fucsia è altresì sinonimo di affermazione di sè e di perseveranza nel realizzare le proprie ambizioni. 
Un blu elettrico regna, invece, sovrano nello sguardo di Dante Alighieri... 



Se gli occhi sono lo specchio dell'anima quelli dell'intellettuale di Firenze custodiscono un eloquio, che ci parla di profonde e vive "peregrinazioni"  nella sfera della riflessione.  
Il capo è cinto da un'ennesima corona d'alloro, il cui verde acceso lo conferma come caposaldo della nostra storia. 



 Tanto Andrea Simoncini si distingue nel panorama artistico internazionale che, in occasione delle celebrazioni per i 700 anni dalla morte del Poeta, tre opere sono, ora, esposte nella casa di quest'ultimo. 









25 marzo 2021

L’opera pittorica di Francesco De Marco A cura di Marco Salvario

 

L’opera pittorica di Francesco De Marco

A cura di Marco Salvario


Zone rosse e arancioni continuano a rendere le mostre e le gallerie d’arte di tutta Italia chimere irraggiungibili e dalle ali tarpate. Oggi ci siamo, domani saremo chiusi.

L’arte coraggiosamente non si ferma e spesso la sua vetrina diventa quella virtuale del mondo internet. Già in passato questo mi ha permesso di fare la conoscenza con le opere di pittori come Domenico Mingione e, in questi giorni, tramite “IL CLUB DEI PITTORI” su facebook, di Francesco De Marco.

Nato in Sicilia ma residente da tantissimo tempo in Veneto, De Marco è un artista che si divide tra la musica, si è diplomato in pianoforte presso il conservatorio di Caltanisetta, e la pittura. Nei suoi quadri riesce a riportare le stesse emozioni e la stessa perfezione che la musica richiede, un’accuratezza a volte maniacale che non abbandona nessun dettaglio, per quanto apparentemente minimo e secondario, fino a quando non ne ha raggiunto la totale padronanza.

Le sue opere possono essere visionate sul profilo facebook dell’artista dal quale, dopo avere ricevuto gentile autorizzazione, sono state estratte ridimensionandole, le illustrazioni dell’articolo. Sempre sullo stesso profilo, di cui consiglio caldamente la visita, nella sezione video è possibile apprezzare sia il De Marco pianista jazz, sia il De Marco pittore, filmato mentre dipinge.

Non è stato facile per me scegliere fra le molte opere esposte nella sua galleria virtuale, tutte intriganti e di ottima qualità, quindi le mie proposte non rappresentano una selezione effettuata esclusivamente sulla bellezza, quanto il tentativo di offrire al lettore una visione d’insieme, il più possibile completa.



L’autore divide le sue opere in sei cartelle. Io ne presenterò tre: Natura morta, Paesaggi e Ritratti.

Cominciamo dalle nature morte. Sono creazioni di estremo realismo e De Marco non ha timore di ispirarsi a capolavori come la “Canestra di frutta” del Caravaggio, seguendone fedeltà la composizione, ma sapendo renderla moderna, viva e vera. Il risultato è di un’esattezza che potrebbe far pensare alla fotografia ma che sa superare le immagini catturate dall’obiettivo perché De Marco ne indaga i dettagli e gli effetti visivi, rimodulandoli con il proprio sguardo attento e la propria sensibilità poetica.

Le mele, l’uva, le foglie, diventano curiosamente il simbolo di una perfezione della natura, anche quando sono segnate da qualche difetto, e le loro forme si esaltano nelle ombre, nei riflessi di luce e nei contrasti.



Se le nature morte impressionano per i colori vigorosi dei pastelli, i paesaggi sono disegnati perlopiù con le tinte tenui dell’acquarello e le sfumature della grafite. Se possiamo ritrovare una cura attenta al particolare, come nel ponte di pietra di Verona, altre volte le linee e le forme si perdono e attenuano, come nelle figure in controluce sulla spiaggia o in Casteltermini, rivelata sotto una nevicata, avvenimento inusuale in comune siciliano.

Le immagini sembrano perdersi in ricordi lontani, densi di rimpianto, malinconia, sogno.



La sezione dedicata alla ritrattistica è quella che presenta il maggior numero di lvori, più di centoventi. Una galleria di personaggi che comprende uomini e donne di ogni età, sconosciuti o famosi. Attori, attrici, cantanti, modelle, sportivi, gente comune.

Negli occhi del monello torbido e scanzonato, dalle unghie sporche e dal berrettino ribelle, vediamo riflesse altre persone, forse altri monelli, come raffinate miniature che la dicono lunga sulla cura del dettaglio che arriva a livelli quasi maniacali: osservate la precisione delle ciglia. Tale raffinata attenzione, non è mai inutile o ridondante, ma aumenta l’impatto dell’opera su chi la ammira. Una vera realtà arricchita, che emoziona e seduce.



Volti di uomini e donne ho scritto, soprattutto di donne giovani e sensuali. L’arte spesso è esaltazione del bello, dell’emozione, del desiderio e della tentazione. Sovente il filo torbido che mischia purezza ed erotismo, è l’acqua, elemento che per gli artisti è una sfida difficile da rendere, fermandone lo scorrere continuo nell’attimo eterno dell’immagine fissa, rendendo immobile il difficile gioco di effetti con le luci e, prova ancora più ardua, comunicando oltre la tela quella sensazione fisica sulla pelle che rinfresca, pulisce, purifica.

De Marco è un vero maestro nell’affrontare e vincere queste sfide e torna sul gioco delle acque più volte, in ogni occasione regalando effetti e risultati nuovi, sempre ugualmente validi.

Non raramente al grigio di grafite e carboncino, dà maggiore forza l’uso dei pastelli per rendere il rosso delle labbra e della lingua, oppure colori sempre rossastri evidenziano luci e riflessi.


Purtroppo contemplare un dipinto in internet è sempre un’esperienza non completa. La mia speranza è di avere presto, in un mondo dove la pandemia sia un ricordo, l’occasione per apprezzare le opere di Francesco De Marco in una mostra dove un’opera possa essere osservata come veramente merita, avvicinandosi, spostandosi lateralmente, studiandone la resa del colore e respirandone il profumo unico che l’arte emana.


24 marzo 2021

Da Appunti brevi su Cremona n.1 di Gian Carlo Storti La città e la musica

 


Da Appunti brevi su Cremona n.1 di Gian Carlo Storti

La città e la musica

Il passato musicale e liutario di Cremona ha lasciato in città importanti testimonianze ad iniziare da quelle legate alla vita del grande Antonio Stradivari come la casa nuziale di corso Garibaldi 57, che fu sua abitazione e bottega dal 1667, o la copia della sua pietra tombale, oggi nei giardini pubblici di piazza Roma, sorti nel 1870 sul luogo ove sorgeva la chiesa e il convento di San Domenico, luogo della sua sepoltura. A breve distanza dai giardini, in piazza Stradivari, una statua moderna commemora la figura del grande maestro, ma le testimonianze più dirette della sua arte sono visibili nel nuovo Museo del Violino in p.zza Marconi che espone in un corpus unico al mondo: forme di legno, modelli ed attrezzi provenienti dalla sua bottega e venduti dal figlio alla sua morte; passati in seguito in varie collezioni furono alla fine donati alla città nel 1930 dal liutaio Giuseppe Fiorini. Frutto di acquisti e donazioni è anche la preziosa e pressoché unica collezione di violini nel Palazzo Comunale che permette agli appassionati di ammirare in una sola occasione alcuni irripetibili capolavori dell’antica liuteria cremonese realizzati da Andrea Amati, Antonio e Gerolamo Amati, Nicolò Amati, Giuseppe Guarneri, Antonio Stradivari e Giuseppe Guarneri del Gesù. La città continua ad essere ancor oggi la capitale della moderna liuteria come confermano non solo le numerose botteghe liutarie, disseminate nelle tranquille vie del centro, ma alcune importanti istituzioni specialmente operanti nel campo didattico. Così in palazzo Raimondi hanno sede la Scuola Internazionale di Liuteria, la Facoltà di Musicologia e la Fondazione "W. Stauffer" che promuove, fra l’altro, annuali corsi di perfezionamento per violinisti; nell’elegante palazzo Fodri, eretto nel 1490 e ricco di esuberanti decorazioni in cotto hanno invece sede l’Ente Triennale e la Mostra degli strumenti ad arco vincitori delle varie edizioni del Concorso Internazionale di Liuteria. E’, infine, in corso di realizzazione in palazzo Pallavicino di via Colletta il Centro Nazionale per il Restauro e la Conservazione degli Strumenti Musicali, un unicum a livello nazionale e quindi sicuro segnale del ruolo che ancor oggi la città può svolgere nel campo della liuteria e della musica in generale.

IL LIBRO DEL PROFETA PERDUTO di Vincenzo Capodiferro

 


IL LIBRO DEL PROFETA PERDUTO

Un romanzo storico-fantasy che si ambienta nell’inferno di Treblinka

A cura di V. Capodiferro


Il libro del profeta perduto”, uscito adesso alle stampe, per GPM edizioni, racconta la storia immaginaria di una famiglia che miracolosamente ha resistito alle fiamme dell’inferno di Treblinka. È la famiglia di Adamito Nikodemicos, un ebreo internato a Treblinka, nel 1943. La storia prende le mosse dal Natale del 1942, quando le mostruose SS concedono una tregua, come nel Natale del 1914, nella Grande Guerra. Gli antichi compagni d’arme che avevano fatto la prima guerra mondiale insieme, si rincontrano e rievocano quel miracolo: dalla trincea al lager! Ma un altro miracolo sta per succedere a Treblinka, miracolo che gli annali non hanno riportato, perché scomodo: Adamito essendo un discendente dei Titani, intanto vive molto di più di un comune mortale, egli infatti, è nato nel 1348, ma resiste alla morte. Cioè non muore se non per morte naturale dopo almeno 1000 anni. Alcuni discendenti dei Titani giungono fino a 1300 anni. Il miracolo è che né Adamito, né la figlia Rebecca muore col gas, né con le fiamme. Intanto era giunto a Treblinka un giovane psichiatra, Nikolaus Prinkula. È un giovane brillante, ma folle, il quale espone le sue strane teorie sulla razza e soprattutto assiste psicologicamente i deportati, preparandoli alla morte. E qui accade un altro miracolo, perché le SS rimangono ammaliati dai discorsi di Prinkula e dal modo come egli stoicamente riesce a far sopportare le sofferenze e la morte ai deportati. Molti delle SS di fronte a questo miracolo piangono e si addolciscono. La fama di Prinkula diventa nota in tutto il lager ed anche esponenti delle SS vanno a cura da lui, come il maggiore Hohenstoufen. Dopo il miracolo di Adamito il medico di campo Erbert fa sparire lui e sua figlia e lo conduce a Hitlerberg, una città sotterranea nella Foresta Nera. Anche Prinkula viene fatto sparire e condotto al castello del maggiore Hohenstoufen. Intanto cade il Terzo Reich. Hitler apparentemente si suicida, ma in realtà non è lui, è un sosia. Il vero Hitler raggiunge l’Argentina e sposa Eva. Il figlio Alois poi stranamente verrà a conoscere Rebecca e si sposeranno, dando luogo alla vera razza ariana. Domina il tema profondo del male, il male storico che crea un malessere indissolubile, peggio del “rivo strozzato”, o del “cavallo stramazzato” di Montale. Ecco un’immagine che l’autore deporta dei deportati: «Se esistono gli oltre-uomini: ecco, più oltre-uomini di questi? Ecce ultra-hominem! Sono larve umane, subumani, hanno perso tutto, hanno consumato la più totale alienazione. Donde può giungere tanto male al mondo? Arriva Ivan il Terribile, il suo volto è esanime, amorfo, i suoi occhi sono spenti, il Male si è impossessato ormai di lui, non ragiona più: è parte della massa dei dannati viventi della regina Morte. La Natura qui è tutta contaminata: il cielo partecipa del pianto antico. L’aura maligna circonda ogni essere. L’”atomo opaco del male” viene disintegrato da una fatidica reazione a catena. L’aere è plumbeo. Il muro di nebbia asconde il popolo ammassato, gassato, bruciato. È il sacrificio a Dio. È l’olocausto dei Nazorei. L’incenso dell’olocausto sale al cielo, ma grida vendetta contro i discendenti di Caino: - Dov’è tuo fratello Abele? Non uccidete Caino! Il fuoco consuma eterno le vittime. Ecco la Gehenna! Questa è la Gehenna: qui si sacrificano i bambini a Moloch, il gigante Moloch, che mangia carni umane, arrostite. Come si può arrivare a tanto? Eppure in questa precarietà sussistono i discendenti di Elim, cantato dal profeta Meon. Essi sono immortali. Non li uccide il gas, né il fuoco. Resistono alla morte imperterriti». Il dramma del male umano ci pone l’eterno dilemma, che già ha tormentato tanti, da Agostino a Leibniz: Si Deus est, unde malum? Et si non est, unde bonum? Da Schelling a Berdjaev: il male dimostra l’esistenza di Dio. Dio anche si ritira di fronte a questo profondo male. E un Dio che è morto, nei campi di sterminio Dio è morto – canta Guccini. Purtroppo Dio non è morto, aspetta oltre Treblinka i trapassati per abbracciarli. Stolto è chi pensa che Dio è morto. Dixit stultus in corde suo: Deus non est. Scrive Mazzini: - Il primo ateo fu senza dubbio un uomo che aveva celato un delitto agli altri uomini, e cercava, negando Dio, di liberarsi dall’unico testimone a cui non poteva celarlo. Oltre Treblinka c’è un altro Treblinka, quello riservato agli sterminatori. È l’eterno Treblinka. Eternamente in questo eterno Treblinka gli sterminatori, i terminator, saranno gassati e bruciati, eternamente risorgeranno ed eternamente saranno di nuovo gassati e bruciati. Questo è l’Eterno Ritorno vero, non quello storico. Lo stesso ‘eterno ritorno’ implica una razionalità assoluta, una giustizia infinita. Ma una razionalità implica necessariamente una ragione. Non puoi dire che tutto è assurdo, tutto irrazionale, che Dio è morto e poi ammetti l’eterno ritorno: è una contradictio in terminis! Oltre quel “fumo saliva lento”, non c’è più nulla? Chi può dirlo? L’uomo è talmente folle da credere che oltre Treblinka non vi sia nulla, che tutti i crimini di guerra: dagli stermini alla bomba atomica, passino inosservati. Dio è morto: apparentemente. Il morto è colui che non muore mai. Il male esige una giustizia cosmica, karmica. Dio chiamerà a rapporto i popoli e non solo i singoli: questo è il triste, ma necessario presagio di questo profeta immaginario: Meon. Nessuno potrà discolparsi. Nessun potrà dire: è colpa di Hitler, o di Napoleone, o di Mussolini! È colpa di tutti. Ogni colpa merita una pena eterna. Talleyrand salvò la Francia al Congresso di Vienna: - è colpa di Napoleone! Napoleone si è convertito a Sant’Elena. In questo romanzo storico, paradossalmente anche Hitler passa per Sant’Elena, isola sperduta nell’immensità dell’oceano e si converte. «Il filosofo diceva: «Lo stato è un fatto di natura e per natura l’uomo è un animale politico, e chi rimane fuori della comunità per naturale tendenza e non per qualche circostanza fortuita, è certamente un sottuomo o un superuomo, una bestia o un dio». Purtroppo anche il Terzo Reich era un fatto di Natura: la Natura è madre e matrigna. Ma qui abbiamo raggiunto il massimo della peripezia del Male. Né le belve, né i demoni arrivano a tanto. Quando il Male si impossessa dei cuori può raggiungere vette inaudite. «Non ti ho fatto né celeste né terreno affinché tu da solo potessi scolpirti con le tue mani e diventare un angelo o un demone». Così un grande umanista faceva dire in un dialogo da Dio ad Adamo. Ma qui siamo al disumanesimo assoluto, alla negazione di ogni umanità. Alla negazione assoluta del Nihil humani alienum a me puto. Ma no, no! Homo non sum. L’uomo solo tra gli esseri viventi può superarsi nella negazione totale dell’umanità. Questo è il problema dell’oltre-omismo, non previsto da chi l’aveva ideato. Superare il limite dell’umanità è un rischio fortuito, ma che se accade, diviene il lembo di un precipizio senza fondo. In queste catacombe, in cui si preparava l’ecatombe quotidiana, viveva Adamito Nikodemikos e la sua famigliola: Eva Tromka e la figliola Rebecca. Ogni cuore è un profondo lager. Le tracce del dolore non si cancellano. Il mio cuore è il paese più straziato. Le ferite rimarranno per l’eternità nell’anima del popolo. Nelle profondità ci sta sempre l’umanità, un’umanità trafitta, prostrata, trafugata. Essere o non essere? Sono assillati dal dilemma amletico. Esserci e non esserci qui sono una cosa sola, non c’è confine, non c’è limite». L’ungarettiano San Martino del Carso è contrapposto al San Martino carducciano. Eppure anche da quest’ultimo possiamo trarre una macabra simbologia: la “nebbia” è il fumo che sale dai comignoli dei forni crematori, l’”aspro odor” è il fetore della salma gettata, come il montaliano “incartocciarsi della foglia riarsa”, lo “spiedo scoppiettante” è un’immagine viva dell’Olocausto. Gli “stormi d’uccelli neri”, come nei quadri di Vincent van Gogh, sono presagi di sventure. Lo stile è molto discorsivo e tende a teorizzazioni intrinseche ed a molti spazi di riflessione morale. È un romanzo filosofico e morale quello che viene proposto, la cui lettura è certamente meditativa. La riflessione forte è sull’irrazionalismo della razza umana, il quale vien cercato di spiegare dalle strane teorie del Dottor Prinkula, secondo cui le tendenze di fondo della natura umana, vanno cercate proprio nella natura e nella divisione originaria tra erbivori e carnivori, sadici e masochisti. Il confronto quindi diventa tra “carneficisti” e vittimisti. Adamito è l’eccezione della Natura. Questo romanzo è la rappresentazione di una teodicea narrativa.


23 marzo 2021

LA PIAZZA di Angela Vecchione a cura di Miriam Ballerini

 


LA PIAZZA di Angela Vecchione

- La famiglia è quella che sceglie di stare insieme -

© 2020 Robin Edizioni srl

ISBN 978-88-7274-729-2

Pag.267 €16,00


Opera prima di Angela Vecchione che sceglie, come scenario su cui fare muovere i propri protagonisti, la piazza, una piazza di Napoli, ambientando il libro all'incirca intorno al 1999. C'è ancora la lira e, il mondo che si delinea loro attorno è quella della camorra, della droga, del degrado. Rosa è la protagonista: la donna sposata con un camorrista che ora si trova in carcere. La madre di due ragazzini che deve fare crescere in quell'ambiente. La sorella di Giuliana, lesbica, e di Antonio, che fa il barbone perché si droga e spende tutto per quello. Giuliana e Antonio hanno subito le violenze del padre e Rosa, da un pessimo padre, è finita con lo sposare un pessimo marito. Ma commette pure un altro errore: lei che ancora ha in custodia i quaderni del marito dove sono segnati i suoi traffici illeciti, si innamora di un poliziotto. Un “falco”, di quelli che si muovono nei vicoli di Napoli con la moto. A sua volta anche Domenico, il poliziotto, ha i suoi scheletri nell'armadio e le sue ferite.

Ma cos'è per la scrittrice la piazza? “La piazza, casa loro. Un microcosmo dell'umanità tutta. Un impasto spocchioso di affare e malaffare che calcava l'asfalto suo e del reticolato di strade adiacenti”.

Di questo luogo ho amato i personaggi di Antonio e dell'amico Vincenzo, paraplegico, tossico e barbone come il suo compagno di sventura. La loro forza è l'unione, l'aiuto che Antonio dona a quel poveraccio sulla sedia a rotelle; lo spartirsi il poco o niente che hanno.

Vincenzo che, in un bellissimo passaggio, viene descritto “un perdente Minotauro, metà uomo e metà carrozzella”.

La maggior parte dei dialoghi è scritta in dialetto napoletano, e questo li rendi più … veraci. L'unica cosa che mi lascia perplessa è una forma insolita. Mentre nei dialoghi, chi scrive lo sa, si dice, ad esempio: “Perché? Farebbe differenza?” disse Giuliana come un automa. La scrittrice lo pone in questo modo: “Perché? Farebbe differenza?”Giuliana come un automa.

Devo dire che è un modo di porre il dialogo abbastanza insolito, che mai ho trovato in nessun libro. I capitoli sono suddivisi in titoli e mai, in tutto il romanzo, c'è lo spazio per un sorriso, per un momento di sollievo da quanto si sta leggendo. C'è solo spazio per la durezza di quella vita; fra astio, rancori e alcuni sprazzi concessi al perdono. In tutte le pagine trova posto solo il degrado dello spirito e del luogo. Con i personaggi che si disperano, subiscono, reagiscono, arrancano.

Si può riassumere la vicenda del narrato in questa frase che troviamo all'interno del libro, da una considerazione di Rosa: “Quella città che con la sua identità aveva determinato tutta la sua esistenza, e quella di tutti gli uomini che ne facevano parte. Un uomo alcolizzato senza un lavoro, imbruttito dall'ignoranza e dall'immoralità; un uomo spietato senza empatia, arruolato nell'esercito della criminalità; un altro ingannato, privato dell'affetto di un fratello e cresciuto su quella perdita; un altro ancora dilaniato dalla droga, presa in prestito ogni giorno per astrarsi da tutto quanto”.

La scrittrice, nei ringraziamenti, fa notare che quella piazza l'ha vissuta e ha ascoltato storie vere per potere scrivere il suo libro.

Un libro che non lascia spazio alcuna alla redenzione, alla minima speranza. In fondo si avverte una sorta di riscatto quando Rosa denuncia e fa allontanare la propria famiglia dalla piazza; ma anche in fondo, c'è l'amarezza del perduto. Un romanzo realista per chi non ha paura di scontrarsi con un quotidiano che pare lontano da chi non lo vive, giorno dopo giorno, sulla propria pelle.

© Miriam Ballerini


fonte: "La piazza" di Angela Vecchione: la famiglia è quella che sceglie di stare insieme - OUBLIETTE MAGAZINE

22 marzo 2021

MARIBEL DE ALBA FERNÁNDEZ E IL π GRECO di Maria Marchese



MARIBEL DE ALBA FERNÁNDEZ E IL π GRECO di Maria Marchese

Oggi vorrei soffermarmi su un aspetto curioso della personalità artistica di Maribel De Alba Fernández nonché approfondire, ulteriormente, la conoscenza della pittrice di Siviglia. Un matematico sposò lo spicilegio floreale, nel contesto sottostante riprodotto, con il π greco; confermò anche Maribel De Alba Fernández come precursore del pensiero artistico “Florecimiento” …

La parola esprime un rinnovamento, che parte dal periodo storico Rinascimentale per approdare ad un’attuale rinascita dell’intima coscienza: più consapevole della propria compenetrazione con la condizione universale, essa evolve in un divenire senza limite alcuno.

“Tra un fiore colto e uno donato l’inesprimibile nulla” (G. Ungaretti)

In quel nulla s’apre la pienezza del simbolo greco, quale effige dell’irrazionale e del trascendente. Esso, infatti, involve infiniti risvolti numerici e, tradotto mediante il codice ASCII, si manifesta quale matrice di indefinite combinazioni di lettere. Questo suo risvolto, traslato addentro la condizione umana, si esprime attraverso un fluire continuo tra le trame immaginarie, realizzate da una leggendaria Penelope, che custodiscono “l’ineffabile presenza” di messaggi esistenziali mai pensati e altresì futuri.

In quest’ottica, l’artista spagnola trasla la vertigine esistenziale promanata dallo sbòccio del fiore nelle proprie opere . Maribel rivela, nelle vibrazioni artistiche da lei realizzate, una metamorfosi, che parte dal mondo sensibile per approdare alla non concretezza tangibile della sfera in cui coscienza e conoscenza regnano sovrane. Senza il connubio tra l’immanente e il trascendente, infatti, l’individuo si manifesta come essere acefalo, ossia privo della propria interezza.

L’infiorescenza diviene, in seno alle levità concretate a pennello dell’autrice, genera mater, alcova di un’imperitura genesi umana.



 

Ambrogio Borsani – La claque del libro – a cura di Marcello Sgarbi

 


Ambrogio Borsani
La claque del libro (Neri Pozza Editore)


Collana: I Colibrì 

Pagine: 176

ISBN: 978-88-545-1681-6


Sapevate che la prima pubblicità su un giornale è stata originata da un duello fra due editori? E che i primi romanzi a puntate – i cosiddetti feuilletonda cui il termine utilizzato anche per un genere narrativo – sono stati pubblicati dall’editore che è sopravvissuto al duello? Nelle pagine di questo prezioso volume - che indirettamente rappresenta un omaggio al libro in quanto tale – è attraverso curiosità come queste, aneddoti e importanti avvenimenti storici, che veniamo a conoscere in profondità il mondo della stampa, del marketing editoriale e della pubblicità, non solo libraria.

L’autore, già copywriter e direttore creativo in importanti agenzie pubblicitarie, nonché titolare di una nutrita bibliografia sia per adulti sia per ragazzi, con lo stesso stile indagatore e curioso caratteristico di altre sue opere, cattura da subito la nostra attenzione e ci porta in un mondo inedito. In tutti i sensi, perché un libro così preciso e dettagliato e dal taglio tanto particolare non era finora comparso presso alcun editore. Vivamente consigliato sia ai forti lettori sia ai neofiti, ma soprattutto a chi ama i libri e la lettura.

Se, come dice Watzlawick, in qualsiasi momento in cui ci si trovi in presenza di altri individui ‘non si può non comunicare’, allora la comunicazione è, dopo la respirazione, l’attività che occupa più tempo nella vita di ogni uomo eccetto quella degli eremiti”. (Marco Vecchia, Hapù)

Il 6 novembre 1455 fu una giornata nera per Johannes Gutenberg. La bibbia a quarantadue linee entrava nella storia, lui entrava in un mare di guai. Verso mezzogiorno i fratelli Johann e Jacob Fust, Peter Schöffer, il regio notaio Ulrich Helmasperger e alcuni testimoni si incontrarono nel convento dei Carmelitani Scalzi di Magonza. L’oggetto dell’incontro riguardava una richiesta formale di risarcimento dei capitali che la famiglia Fust aveva prestato all’inventore dei caratteri mobili per sostenere la sua impresa. Johannes Gutenberg non si presentò davanti ai creditori, mandò tre suoi rappresentanti per essere informato sulla riunione. Con la testimonianza fondamentale di Peter Schöffer, Gutenberg venne condannato a pagare il suo debito, come documenta l’atto notarile steso in quella data. Dalla sentenza emessa nel convento dei Carmelitani Scalzi il grande stampatore uscì rovinato e non fu più in grado di riprendersi”.

Già nel Settecento si era capito che il libro poteva essere un ‘affare’, un affare colto. Uno dei casi più eclatanti fu Paul et Virginie, un’opera strappalacrime con fondali esotici, amore appassionato e perverso senso del pudore. La prima edizione del 1788 divenne subito un bestseller e dopo qualche anno si contavano decine di edizioni pirata”.

La pagina intera di un grande quotidiano nazionale dedicata a un solo libro in Italia si ebbe il 20 giugno 1974, quando sul Corriere della Sera Einaudi lanciò La Storia di Elsa Morante. Nell’annuncio si precisavano i dati del libro: 670 pagine, 2000 lire, tiratura iniziale 10.000 copie. La Storia viene pubblicata direttamente nella collana economica Gli Struzzi perché è un libro che vuole parlare a tutti’. Il lancio era stato preceduto da un annuncio teaser: A giorni in libreria il nuovo romanzo di Elsa Morante, La Storia, Einaudi’. La critica si divise, ma il libro toccò le seicentomila copie in cinque mesi”.

Uno degli annunci pubblicitari più intelligenti è quello creato da Bill Bernbach, maestro assoluto nella storia della pubblicità, per la National Library Week negli anni Sessanta. Abcdefghijklmnopqrstuvwxyz. Nella vostra biblioteca pubblica queste lettere sono combinate in modo da farvi piangere, ridere, amare, odiare, sognare, pensare e capire’. Un’idea che tocca i sentimenti del lettore svogliato, svela il potere magico della parola, il fascino del libro”.

© Marcello Sgarbi

18 marzo 2021

ALLERTA di Miriam Ballerini

 


ALLERTA di Miriam Ballerini


Cosa succede quando, chi ci dovrebbe tutelare, è chi in realtà raggira? Ho riflettuto molto prima di scrivere questo articolo perché, in un certo senso, mi vergognavo di essere stata vittima di una presa in giro. Ma poi ho pensato che la mia esperienza può essere di monito per altri ingenui come la sottoscritta. Non posso scendere nei dettagli e fare nomi, ma posso dirvi che, una delle associazioni per la tutela dei consumatori, è il soggetto di questo articolo.                                                                                 Avendo un problema da risolvere mi sono rivolta a una di queste associazioni. Quella della mia zona era oberata di lavoro e, così, mi hanno messo in contatto con un ufficio di Milano. Parlando per telefono con l'avvocato che mi avevano affidato, lei si è detta fiduciosa del risultato e mi ha dato appuntamento nello studio dove lavora, che è anche lo studio di uno dei presidenti di zona.                                                                                                                                 Ho esposto il mio problema e hanno ritrattato, dicendo che no, non si poteva risolvere; però, la questione era semplicissima e bastava fare una lettera di diffida. Benissimo, mi fanno firmare il mandato per questa operazione. Al momento di arrivare al dunque blocco tutto, perché mia madre si ammala e, purtroppo muore. Loro insistono, mi fanno tornare in studio con la controparte. In dieci minuti ci mettiamo d'accordo e, l'avvocato, propone di prepararci lui una scrittura privata. Mi viene un dubbio e, per email, faccio presente che la questione mi pare esuli dall'associazione. Mi viene detto che sì, in effetti è così, ma non vengo avvisata a cosa sto andando incontro.                                                                                                                         Al momento delle firme, infatti, mi viene presentata una parcella di oltre 7200 euro! Ritengono di aver fatto ottenere a me e a mio fratello l'eredità, quando noi ci eravamo rivolti a loro per altri motivi!                                                                                                             Avviso l'ufficio legale dell'associazione e, dal momento che ho ancora tutte le mail che provano quanto vado asserendo, loro si dicono dapprima stupiti: come è possibile che mi abbiano chiesto di pagare qualcosa? Poi, mi avvisano di aver parlato con l'avvocato, verrò richiamata perché c'è la possibilità che non debba pagare quella cifra. Invece, l'avvocato, arrabbiata, mi telefona urlando e insultando, pretendendo il pagamento; anzi, dal momento che ho avvisato l'ufficio legale, ma questo viene detto solo per telefono così che non ci sia prova alcuna, mi mandano una ingiunzione di pagamento!                                                     Successo tutto questo non resta altro da fare che pagare e abbassare la testa. Perché, quando a essere in malafede è chi è affiliato a un nome importante che passa quale benefattore, nessuno ti crede o, perlomeno, nessuno vuole fare niente.                                                                                 Mi sento impotente, ma anche arrabbiata e delusa. Credo nello giustizia, credo in queste associazioni e so quanto siano pregevoli. Ma vorrei anche che controllassero chi si mettono in casa. Perché ti senti ferito due volte.                                                                                                     Cari lettori, perciò, state attenti: fatevi sempre spiegare tutto bene e, soprattutto, chiedete a quale spesa state andando incontro, perché se l'avvocato si comporta in questo modo poco limpido, per non dire in modo disdicevole, non ci sono tutele per noi, poveri ingenui.

© Miriam Ballerini


17 marzo 2021

VALERIA FRANCO IN “COCCI DI VETRO" a cura di Vincenzo Capodiferro

 


VALERIA FRANCO IN “COCCI DI VETRO”

Narrativa giovanile ardita e sublime


Cocci di vetro. Brevi racconti a caccia frammenti di luce” è un libro di Valeria Franco, edito da Bookabook, Vignate, nel gennaio del 2021. Valeria Franco è nata a Varese nel 1999 ed è laureanda in Comunicazione alla IULM. Nel 2017 ha pubblicato un’altra raccolta di racconti: “La landa delle strane idee”. Fin dai tempi del liceo Valeria nutriva la passione dell’espressività artistica e narrativa. I suoi racconti si fondono in un unicum che si muove tra sperimentazioni ipo-realistiche scaturenti da flussi coscienziali continui e slanci vitali interconnessi con aneliti personali, scene di reality, frammenti psichici taglienti, come quei “cocci di vetro”. Questi cocci, purtroppo, il più delle volte affiorano alla coscienza e la graffiano, la feriscono. Come scrive Valeria: «Siamo il vaso di vetro che è andato in frantumi nella stanza della porta semichiusa… L’animo umano: talvolta si rivela un luogo di tenebre e irrisolti che celiamo a noi stessi dietro una maschera di integrità…». Inutile è ribadire il concetto pirandelliano di vita: «Nella vita troverai molte maschere e pochi volti». Tutta la realtà, da dopo Kant, si risolve nella fenomenologia, cioè nell’apparire, non nell’essere. Eppure questo essere c’è: sono i cocci di cui parla Valeria, i cocci di quello strano Es di Groddeck, ripreso poi da Freud. «Ma perché parliamo di cocci e non di vasi di vetro? Perché dobbiamo narrare di ciò che è rotto, di ciò che è rifiuto, di ciò che può ferire? Perché l’animo umano è proprio questo: un artistico e maestoso vaso di vetro che è stato scagliato contro il pavimento. È andato in frantumi. Uomo e umanità assieme». Ricorda “L’uomo di vetro” di Vittorino Andreoli. Siamo esseri fragili, frantumati. I cocci nell’antichità avevano varie valenze: ma in questo caso significano l’ostracismo psichico. Sono cocci che tagliano, frammenti insostenibili, che creano patologie, problemi. Bisogna smussare questi frammenti, renderli inoffensivi. Come avverrebbe in uno specchio ogni frammento riflette l’intero. Questi cocci, se bene intesi, possono servire a ricostruire la personalità. Ciò che Valeria ci getta in faccia, senza mezzi termini, con uno stile a volte aggressivo, a volte mite, uno stile variegato, molto vivo, è il tema fondamentale del naufragio esistenzialistico dell’esistenza umana oggi. Sono racconti brevi, talora lunghi, ma tutti scrigni, da cui certamente si deve dipanare la riflessione. Sono parole immediate, domante reiterate, come i “Perché?”, molte volte senza risposte, come in “Sotto l’albero dei limoni”. «Non lo so. Non lo so. Non lo so». Ci ricorda “I limoni” di Montale. «Non mi avete mai parlato. non vi siete mai chiesti il perché» grida Ettore nelle piazze, in “La magia secondo Hume”, accusato ingiustamente di aver fatto cadere una donna, uccidendola. Pare il modello greco del Diogene, il “Socrate pazzo”, o il nietzschiano Zarathustra che urla: Dio è morto! Il perché? Il cos’è di Socrate: Tì estìn? La domanda che assillava Leibniz: cur potius sit quam non sit. Perché qualcosa esiste anziché non? Perché qualcuno esiste anziché non? Perché esisto io? Domanda fondamentale dell’umanità, che faceva esclamare al Petrarca: Donde veniamo, dove andiamo, perché esistiamo? I racconti di Valeria seguono la logica del paradosso. La vita può essere dimostrata solo col credo quia absurdum di Tertulliano. La si accetta per fede. Non c’è una ragione, almeno visibile. C’è una ragione incomprensibile. «La tenebra non ha corpo. L’ombra non ha cuore. Il buio ha solo occhi. Un unico paio di occhi…». Ricomponendo questi cocci taglienti, che ti feriscono forse, ma che sono utili per la riflessione sul senso della vita, come un puzzle, questo libro ci propone un percorso narrativo non facile, di ultra-comprensione del reale psichico, ma bello. Si parte dal rotto, dal frammento e tramite un’induzione trascendentale possiamo ritrovare orme tangibili di ogni uomo, di noi stessi. Valeria è una giovane in gamba, sincera e seria, la quale ci ha lasciato queste perle luccicanti. La sua umiltà è veramente grande. Basta leggere cosa ha scritto: «Ma ci terrei a ringraziare anche coloro che non mi hanno aiutata, che volevano (o addirittura auspicavano) che fallissi».

Vincenzo Capodiferro

15 marzo 2021

Leonardo Sciascia – A ciascuno il suo – a cura di Marcello Sgarbi

 


Leonardo Sciascia
A ciascuno il suo (Edizioni Adelphi)


Collana: Fabula

Pagine: 158

EAN: 9788845902888


Ecco un altro autore che non ha bisogno di presentazioni, antesignano del romanzo di denuncia sociale. In questo romanzo breve ambientato nella Sicilia del 1960 il professor Laurana, insegnante di italiano in un liceo classico, si trova suo malgrado ad indagare su un duplice omicidio.                                                                                         Il movente sembra in apparenza l’adulterio, ma mentre il protagonista prosegue le sue ricerche affiorano elementi che mettono in luce la fitta rete di ambiguità, omertà e collusioni politiche alla base dei crimini.                                                Asciutto e insieme circostanziato, essenziale nei dialoghi e nei profili dei personaggi, con Il giorno della civetta è un altro grande esempio di connubio tra romanzo poliziesco e letteratura d’indagine più ampia, sui mali della società e sul Male in senso maiuscolo, quello rappresentato dal potere della corruzione capace di paludarsi dietro apparenze di irreprensibilità.                                                            Un’opera che ci fa comprendere bene la differenza fra - come li chiamava l’autore, - uomini, mezz’uomini, ominicchi e quaquaraquà.

Proverbio, regola: il morto è morto diamo aiuto al vivo. Se lei dice questo proverbio a uno del Nord, gli fa immaginare la scena di un incidente in cui c’è un morto e c’è un ferito: ed è ragionevole lasciare lì il morto e preoccuparsi di salvare il ferito. Un siciliano invece vede il morto ammazzato e l’assassino: e il vivo da aiutare è appunto l’assassino. Io non sono siciliano fino a questo punto: non ho mai avuto inclinazione per aiutare i vivi, cioè gli assassini, e ho sempre pensato che le carceri siano un più concreto purgatorio”.

© Marcello Sgarbi


PRIMAVERA DI LIBRI IL FOGLIO TV

  



PRIMAVERA DI LIBRI

 

IL FOGLIO TV

 

Nuovi appuntamenti sul Gruppo Facebook Edizioni Il Foglio, ore 18 e 30, il nostro Salotto Letterario organizzato in collaborazione con UNITRE PIOMBINO. Collegatevi al Gruppo FB: https://www.facebook.com/groups/65808867039/

 

PROGRAMMA 15 marzo – 20 marzo

 

Lunedì 15 marzo – Patrizio Avella Modigliani e i quartieri di Parigi Seconda Parte

(dal libro Modigliani, l’amore & Paris)

 

Martedì  16 marzo – Pablo Gorini – UniTre Piombino – Il vino e le sue origini - Una storia senza tempo – Prima Parte   

 

Mercoledì  17 marzoRiccardo Fulcheris – Serata di poesia-  La stratosfera

 

Giovedì 18 marzo – Patrizia Lessi incontra Tennessee Williams  

 

Venerdì 19 marco - Pablo Gorini – UniTre Piombino – Il vino e le sue origini - Una storia senza tempo – Seconda Parte   

 

Sabato 20 marzo - Gordiano Lupi legge Pier Paolo Pasolini poeta maledetto – Seconda parte (Le ceneri di Gramsci, Trasumanar e organizzar, L’usignolo della chiesa cattolica, Poesia in forma di rosa …)

 


 

Le nostre novità su IBS:

 

https://www.ibs.it/libri/editori/ass.-culturale-il-foglio?sortPublication_date=desc

 

Adriana Pedicini – Fiordalisi e papaveri (poesie) – Pagine 50 – Euro 10

Andrea Fanetti – Nuvole passanti – Memorie di una generazione tra Piombino e dintorni - pag. 260 – euro 15

Alessandro Fulcheris – Il mistero del Falcone – pag. 150 – euro 14

Anna Lanzetta -  Parole e pensieri di Bona Bianchi, donna di Piombino” - Pagine: 212 -

Carlo Gambescia, Metapolitica del Coronavirus. Un diario pubblico,  postfazioni di Alessandro Litta Modignani e Carlo Pompei, Edizioni Il Foglio 2021,  (“Saggi”),  pp. 170, euro 14.00

Patrizio Avella – Modigliani, l’amore & Paris – pag. 250 – euro 16


IN USCITA:

 Corsivo di Sabatina Napolitano – euro 16 - pagine 160

Corsivo è un libro di testi poetici. La prima sezione è composta da poesie erotiche, segue “Primi trenta” una sezione composta da testi che ho tratto dal vissuto, da quando ho cominciato più o meno a scrivere poesie consapevole del mio ruolo. Ho trovato giusto chiamare questa raccolta Corsivo alludendo al cognome dell’uomo che amo. Corsivo ha un andamento narrativo a cominciare dalle poesie degli ultimi anni. L'autrice: https://it.wikipedia.org/wiki/Sabatina_Napolitano

Il poeta e critico letterario Maurizio Cucchi, sul quotidiano La Repubblica, ha detto di lei:Ragiona su vita, amore e libri, introducendo immagini di viva concretezza.

Nudo, tutto nudo ti voglio

 

Nudo. Nudo mi possiede

con silenzi brevi e con dita leggerissime

viene qui sul mio monte di Venere.

Sono ancora giovane, ancora audace.

Posso farlo, posso lasciargli penetrare il nido.

Ha la voce rauca scavata in dieci anni di promesse.

Ora metto fantasie masticate nel giardino.

Mi striscia la barba addosso,

scuotendomi l’anima, aprendomi le cosce.

Prima le dita, poi le date, poi scivolare

i dieci anni, il tempo, i libri.

Il vuoto che mi inventava

non conosce più difetti.

Riempio l’abitudine di tutti i tuoi pretesti

collezionati i sbagli, mi guardo

in uno specchio nuovo

ma voi? Voi mi guardate mentre in ginocchio

gli chiedo di fare l’amore ogni notte.

Sì ero diventata indifferente

ma lui ha deciso che se non vivevo insieme

dovevo morire. Lui ha deciso

di dominare la natura:

così anche quando torno a scrivere

voi mi guardate.

 

Papà che cosa è il kamasutra

 

Alessandro gli chiede che cosa

è il kamasutra. Lui gli ha comprato

il motorino quando ha compiuto cinque anni

illudendosi che il figlio

avesse preso una forma di mascolinità

diversa dalla sua.

Il padre che è un accademico ha cercato

di fare una lezione al figlio che ormai ha sette anni.

A scuola gli hanno detto del kamasutra

e lui è andato dal padre a chiedere informazioni.

Rimanevo a guardare la scena indifferente.

Considerando il fatto che per essere genitori

necessariamente e tacitamente

asserivo che lui, mio marito,

è un perfetto educatore, di fatto lo è veramente.

Se non fosse che per parlare del kamasutra

ha usato una metafora del calcio e del campionato italiano.

Confusa mi sono messa a piegare i panni

e li ho lasciati perdere.

I sette peccali capitali sotto l'obiettivo di Sauar Articolo di Marco Salvario

I sette peccali capitali sotto l'obiettivo di Sauar Articolo di Marco Salvario Formatosi all'Accademia delle Belle Arti di Cune...