23 settembre 2020

“ART '900 - 100 opere della collezione d'arte di Davide Lajolo” a cura di Marco Salvario

 

ART '900 - 100 opere della collezione d'arte di Davide Lajolo”

Esposizione permanente

Palazzo Crova Via Crova 2, Nizza Monferrato

A cura di Marco Salvario




Camminando nel centro storico di Nizza Monferrato, è inevitabile notare la raffinata architettura di Palazzo Crova, realizzato da Filippo Nicolis di Robilant nel 1775. Il Palazzo è oggi sede dell’Enoteca regionale, che offre ai visitatori sublimi assaggi gratuiti dei vini del Monferrato, di un validissimo ristorante, del Museo del Gusto e della collezione Art ‘900. Le opere esposte, tutte di grandi maestri italiani del novecento, sono state raccolte da Davide Lajolo e messe a disposizione del comune di Nizza dalla figlia Laurana.

Davide Lajolo nasce nel 1912 da una famiglia contadina, che compie grossi sacrifici per permettergli di studiare. Ragazzo dal carattere avventuroso e complesso, segue con passione l’avvento del fascismo, partecipa volontario alla guerra di Spagna, in seguito entra nell’esercito combattendo in Grecia e Albania. Fa carriera nel partito fascista e ne diventa vicesegretario ad Ancona.

Solo dopo la caduta del fascismo e la tragedia dell’8 settembre, a trentuno anni Lajolo sconfessa il proprio passato e aderisce alla resistenza, conservando lo stesso nome di battaglia di Ulisse che aveva scelto in precedenza. Tra i partigiani, superata la comprensibile diffidenza, si impone per le doti di comando e si segnala nella liberazione di molti comuni e, il 23 aprile del 1945, della stessa Nizza Monferrato.

Dopo la guerra è assunto dal quotidiano l’Unità e dopo due anni ne è il direttore, incarico che ricopre per undici anni. Stringe rapporti con molti esponenti della cultura e dell’arte legati all’ambiente della sinistra italiana e ne riceve a titolo di amicizia le opere, che fanno oggi parte della sua collezione.

Scrive numerosi libri, nel 1959 è eletto deputato nel partito comunista e lo resta fino al 1972. Muore per un infarto nel 1984.

Tra le sue opere letterarie ricordo: Quaranta giorni quaranta notti, Il "vizio assurdo", Il voltagabbana, I mé, Veder l'erba dalla parte delle radici.



In Art ‘900 è difficile fare una scelta tra tante opere importanti e tra maestri che hanno fatto la storia del secolo scorso.

I curatori della mostra hanno proposto una divisione in otto tematiche (Partigiani, Lavoratori, Terra, Pittori contadini, Figure, Maternità, Donne e Paesaggi), che non mi ha convinto e che semplicemente mi limito a ignorare.

Quasi ogni opera è accompagnata da una brevissima nota scritta da Davide Lajolo.



Accoglie il visitatore la testa di Davide Lajolo, giustamente in duro bronzo, realizzata da Sergio Unia, scultore capace sia di cogliere la dolcezza della figura umana, soprattutto femminile, sia di levare alto il suo grido contro la guerra e la sofferenza.

Accosto volentieri l’opera di Antonio Ligabue, che ha saputo rendere con grande tragica espressività la propria natura di artista malinconico, infelice e maledetto e quella di Francesco Messina “Volto del padre”, con la quale lo scultore siciliano ha reso omaggio al padre contadino di Davide Lajolo. Donandogliela ha detto: “L’ho costruita attraverso la tua descrizione e mi pare abbia i segni della fatica e dell’amore”.

Agenore Fabbri ci presenta una crocifissione, dove il dolore non è solo nell’agonia dell’Uomo crocifisso, ma soprattutto nello sguardo denso di domande senza risposte del bambino, forse il figlio, che lo contempla ai suoi piedi. Perché la guerra, perché tanta violenza?



Pittore naif di origine contadina, Pietro Ghizzardi con “Cristo sulle acque del Po”, riesce a rendere con efficacia la fede contadina, in bilico tra cristianesimo e paganesimo, tra spiritualità e natura.

Pietro Morando utilizzando il carboncino su carta, ci presenta una delle opere a mio parere più coinvolgenti dell’esposizione, “La madre del soldato morto”. Gli occhi chiusi e spenti, la bocca serrata senza espressione, le braccia abbandonate, la semplicità del vestito, il conforto scontato e un po’ distratto delle altre donne, tutto parla di un dolore enorme e solitario che la madre non riesce ad accettare. Impossibile non farsi commuovere.

Sembrano invece creature della luce, tra sogno e ricordo, le opere di Domenico Purificato, che a Lajolo ricorda il Masaccio. Può essere, ma Purificato è se stesso, orgogliosamente.



Sempre di Pietro Morando, “Viandante” mi richiama la carta del Matto dei Tarocchi. L’uomo che avanza solo e in povertà verso una strada lunga, ignota, simbolo della nostra vita.

Friulano, amico di Pasolini, pittore e saggista, Giuseppe Zigaina con “Operai in treno” apre uno squarcio sull’esistenza di lavoratori ammassati in un vagone e stremati dalla stanchezza.

Marino Mazzacurati è stato un assertore della funzione sociale dell’arte. L’acquaforte “Eccidio partigiano” è la cruda e inorridita testimonianza di corpi di giovani uomini ammucchiati dopo una fucilazione.

Voglio finire con “Incontro” di Luigi Biffi, pittore e grafico milanese. Nelle sue figure la crisi esistenziale della società lombarda, la difficoltà borghese di interagire con il nostro prossimo, circondati da un gelo più metaforico che reale, che ci fa chiudere in noi stessi.


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